6.2 Cambiamenti
Cam
Aprii gli occhi lentamente, a fatica, capendo dove mi trovassi ancora prima di perlustrare la stanza con lo sguardo. Il bip elettronico che mi risuonava nelle orecchie era già di per sé un indizio sufficiente.
Sbattei le palpebre, cercando di mettere a fuoco, e la mia mano destra venne stritolata in una morsa ferrea.
«Mio Dio, Cam, sei sveglio!»
Lucy. Avrei riconosciuto la sua voce fra mille.
Aveva delle orribili occhiaie scure e gli occhi gonfissimi, come se avesse pianto, ma nonostante il volto esausto sprizzava gioia.
«Gli altri sono qui in giro, non ci siamo mai allontanati, per paura che ti potessi svegliare da solo. Sono così felice che tu sia sveglio! Il trauma cranico era grave e non riprendevi conoscenza, non puoi neanche immaginare quanto fossi preoccupata.»
Strizzai forte gli occhi e mi portai la mano sinistra, l'unica che riuscivo a muovere senza problemi, alla tempia, trovando una spessa fasciatura.
«Lucy, rallenta», dissi, la voce rauca e la gola dolorante. Provai a schiarirmi la voce, con scarsi risultati. «Non ricordo molto. So che qualcuno ci è venuto addosso e un secondo dopo ero sdraiato sull'asfalto. Cosa è successo, di preciso?»
«Cam!», esclamò una voce femminile, resa particolarmente stridula dall'emozione.
Senza sapere come, mi ritrovai le sottili braccia di Rachel introno al collo, la spalla destra che pulsava di dolore.
«Rachel, non si è ancora ripreso! Vacci piano», la rimproverò Seth, alle sue spalle.
Li guardai, uno ad uno, trovando gli stessi segni sul volto di ciascuno di loro: preoccupazione, ansia, paura.
«Ci hai fatto morire di paura», sogghignò il mio amico.
«Gli stavo spiegando cos'è successo, ma, dato che Charlie conosce i termici medici molto meglio di me, lascio che sia lei a dirtelo. Giusto, Charlie?», propose mia sorella, senza guardare nessuno in particolare.
Charlotte, che vedevo spettinata per la prima volta e che aveva tutti i vestiti stropicciati, come se ci avesse dormito sopra, si strofinò gli occhi e mi rivolse un sorriso tirato.
«Sono felice tu ti sia ripreso, Cam. Comunque, le circostanze dell'incidente non sono ancora ben chiare, si sa solo che un'auto proveniente dal senso opposto vi è venuta addosso. Fortunatamente non indossavi la cintura, così sei volato fuori dal parabrezza e sei finito sull'asfalto, procurandoti un brutto trauma cranico, varie lesioni superficiali e una spalla lussata. La spalla te l'hanno messa a posto subito, anche se probabilmente ti fa ancora un po' male, ma il trauma cranico era un problema. Avevi preso una botta così forte che si era formato un ematoma subdurale di dimensioni non trascurabili, così ti hanno operato. Non è un'operazione particolarmente pericolosa, ma non ti svegliavi, quindi tutti hanno iniziato a preoccuparsi, temendo che ci fossero danni più gravi di quelli evidenziati dalla TAC. Penso di parlare a nome di tutti nel dire che sono contenta non sia così.»
Charlie sarebbe di sicuro diventata un'ottima infermiera, una volta finito il college.
Mi sembrava impossibile che ci fosse successa una cosa del genere e soprattutto non capivo come e perché l'altra auto ci fosse venuta addosso.
E poi mi irrigidii, perché non potevo essere stato così stupido. Come avevo fatto a non accorgermi che tra i presenti non c'era la persona per me più importante dopo Lucy?
«Dov'è Allie?», chiesi, la voce che mi tremava.
Lucy cercò di farmi stendere, ma la bloccai.
«Dov'è?», ripetei, scandagliando le facce dei miei amici, alla ricerca di qualche segno, qualche indizio che mi facesse capire che ne era stato di lei.
«Cam, i dottori hanno detto che non devi agitarti, tra poco verrà il tuo medico a visitarti. Devi restare sdraiato!», mi sgridò mia sorella, posandomi le mani sulle spalle e spingendomi dolcemente, fino a farmi appoggiare la schiena al materasso. Mi stava scoppiando la testa.
«Cosa le è successo?», domandai di nuovo, la voce rauca.
Ditemi che sta bene. Per favore.
«Ehi, fuori tutti, lasciatelo respirare!», sbraitò una robusta infermiera, sgomitando per farsi largo tra i miei amici. Nonostante fosse piuttosto bassa di statura, incuteva timore.
«Bentornato tra noi. Come ti senti?», mi chiese una volta arrivata accanto al mio letto, con un sorriso a tirarle le labbra screpolate.
«Allison Darlen. Può dirmi come sta?», la supplicai, perché forse era l'unica che poteva dirmi qualcosa. Quell'attesa mi stava uccidendo.
L'infermiera aggrottò le sopracciglia, confusa. «Allison...? Oh, la ragazza che era con te. Mi dispiace, caro, non credo... non credo di poter essere io a dirtelo.»
Se non poteva dirmelo, voleva dire che era successo qualcosa di brutto.
Ma non poteva essere morta, gli altri me l'avrebbero detto, Jay avrebbe pianto e... Mi voltai verso di lui, che ricambiò il mio sguardo, gli occhi iniettati di sangue e i capelli arruffati come se ci avesse passato le mani in mezzo milioni di volte, pallido come un fantasma.
Dentro di me qualcosa si ruppe, si frantumò in mille pezzi.
La mia Allie.
Ma dovevo sentirlo da Jay. Se Allie era veramente morta, volevo che fosse lui a dirmelo.
«Jay...?», mormorai con un filo di voce. Non poteva essere vero. Mi rifiutavo di crederci.
Ma il suo sguardo valeva più di mille parole. Il dolore che lessi nei suoi occhi, la perdita, la rabbia, mi risposero al posto suo.
Poi trovò il modo di far uscire quelle maledette parole.
«Non ce l'ha fatta, Cam. Allie non ce l'ha fatta.»
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