Campanellino

Campanellino arrivò una notte all'improvviso.

Non so bene come accadde o quando esattamente e ancora oggi non so spiegarmi il perché. Mi duole
dirvi che leggendo quanto finalmente mi sono deciso a scrivere e narrare,
non troverete una spiegazione razionale o al contrario illogica.

Soltanto la pura e trasparente verità.

Le parole di un vecchio che ricorda la faccenda ancora alla perfezione e che non se la sente di portarsi questo segreto nella tomba senza prima averlo confessato a qualcuno.

Naturalmente siete liberi di crederci oppure no, ma sarebbero diverse le persone che potrebbero confermare le mie parole. Solo che non lo faranno.

Come dicevo, Campanellino fece la sua comparsa inspiegabilmente.
Semplicemente prese forma, si fece vivo così come compaiono le stagioni e allo stesso modo delle stagioni scomparve, per poi ricomparire a cicli.

Non rammento esattamente il momento preciso in cui sentii
Campanellino per la prima volta, ma ricordo molto bene che non riuscivo
a dormire. Dovevo avere tra i dieci e gli undici anni, perché ci eravamo
trasferiti nel nuovo appartamento da pochi mesi. Fino a quel momento
non vi erano stati episodi strani e anche Campanellino inizialmente fu
archiviato come qualcosa di normale e passeggero, tanto che il soprannome con cui ancora oggi mi rivolgo a lui non ha niente di spaventoso. Lo avevo scelto perché era il nomignolo di Trilly, la fatina di Peter Pan, e nella mia innocenza mi era sembrato adatto. Quando lo avevo sentito per la prima volta, rannicchiato sotto le coperte nella mia stanza, avevo pensato che fosse soltanto frutto della mia immaginazione. Ero un ragazzino con la testa sempre per aria, dall'infinita fantasia e con il desiderio un giorno di diventare il più grande Esploratore di tutti i tempi.

Le notti a seguire, però, Campanellino riprese a farmi visita. Il rumore
cominciava in un punto imprecisato accanto alla porta della mia stanza e
sembrava proprio un piccolo campanellino che suonava, una di quelle sfere d'ottone di dimensioni ridotte, usate spesso per essere appese al collo dei gatti insieme al collare. O almeno era così che lo immaginavo io.

Ben presto mi resi conto che il suono cominciava ogni notte alla stessa
ora, con esattezza tre ritocchi dopo la mezzanotte. Non un minuto in
meno e non un minuto in più.

Campanellino divenne così tanto
un'abitudine che ormai non riuscivo più ad andare a dormire prima di
quell'ora, ma me ne stavo coricato nel mio letto con le orecchie tese e lo
sguardo perso nel buio, ad aspettare che cominciasse il suo leggero
scampanellio, nel suo percorso intorno alla mia stanza. Sì, perché
Campanellino non stava mai fermo. Cominciava a suonare accanto alla
porta, il rumore partiva sempre da lì. Ma poi si spostava e io, gli occhi
sbarrati a cercare di distinguere i tratti intorno a me, lo immaginavo
spostarsi lungo il perimetro della mia stanza, muoversi dietro le pareti,
dietro i mobili, davanti alla finestra e poi fermarsi esattamente dietro di
me, alle spalle del mio letto, dove il suo trillo sembrava farsi più intenso.

Forse era solo una mia impressione, forse ciò era causato dal profondo
silenzio della notte e dalla paura che il mio inconscio avvertiva in quel
momento, ma pareva veramente che Campanellino si bloccasse, e proprio
alle mie spalle, fatto che non accadeva in nessun altro punto della stanza, anche se era solito muoversi con grande lentezza. In quei momenti trattenevo il respiro, stavo lì ad aspettare, poi finalmente, quando era sazio di avermi spaventato a sufficienza, riprendeva il suo giro fino ad allontanarsi e io non lo sentivo più. Allora potevo ricominciare a respirare e, anche se ci voleva sempre un po', riuscivo finalmente ad
addormentarmi, finché la notte dopo lui non riprendeva il suo tragitto e
io dovevo aspettare ancora una volta che lo terminasse per ritrovare un
po' di pace.

Una mattina, a colazione, mia madre mi aveva osservata preoccupata
girare il latte nella mia tazza con sguardo perso, le occhiaie sotto gli occhi e una stanchezza evidente in viso. - Dovresti dormire la notte - mi aveva detto - altrimenti non sarai abbastanza in forma per la scuola e le faccende domestiche. Il tuo fisico finirà per risentirne se non gli darai il riposo che gli occorre.

Io ero talmente stanco che avevo finito per vuotare il sacco, anche se in altre circostanze avrei evitato per paura di essere preso per pazzo. - È
Campanellino che non mi fa dormire - avevo sbottato.

- Campanellino? - aveva chiesto mia madre confusa, lanciando
un'occhiata a mio padre, seduto anche lui a tavola con noi.

- Campanellino trilla dietro i muri della mia stanza e non mi lascia dormire - avevo spiegato trattenendo a stento le lacrime - non se ne va finché non ha fatto tutto il giro e io non riesco a dormire prima di allora.

-Ma cosa vai a dire, Samu - aveva commentato mio padre con un mezzo sorriso - sei troppo grande ormai per queste cose. Credevo avessimo già
superato la fase della paura dei mostri nascosti nel buio.

Io non avevo risposto, provando tanta vergogna quanto rabbia, ma mia
madre era intervenuta con voce dolce. - Il suono che senti sono
probabilmente le tubature dietro i muri, magari gocciola dell'acqua. Ci
potrebbero essere un topo o alcuni scarafaggi, ma non hanno alcuna
possibilità di raggiungere la tua stanza. Ignoralo.

E io avevo tentato, ma senza successo.

Quella stessa notte Campanellino
tornò a farmi visita, fece il giro della stanza con estrema lentezza, si fermò dietro il mio letto per secondi interminabili facendo sentire il suo trillo più forte che mai, per poi proseguire oltre fino a scomparire. Io tardai tanto ad addormentarmi ma alla fine lo feci, tranquillizzato dal fatto che lui avesse già terminato il suo giro e non sarebbe ricomparso più fino al giorno dopo.

E questa divenne la nostra routine giornaliera o, per meglio dire, notturna. Le giornate trascorrevano sempre monotone e io a stento mi rendevo conto di ciò che mi accadeva intorno ma solo del tempo che
passava, perché avevo in testa una cosa sola: le ore che mi separavano
alle tre di notte e all’incontro con Campanellino. La mia vita sembrava
ormai ruotare soltanto intorno a quel lasso di tempo, al giro di Campanellino intorno alla mia stanza, e spesso mi interrogavo cosa fosse,
perché avesse deciso di fare la sua comparsa e di cosa volesse da me.

Queste domande mi frullavano in testa mentre lo aspettavo nel buio,
rannicchiato sotto le coperte dalle undici, costretto ad andare a letto da
mia madre che non sapeva che in realtà non dormivo se non dopo le tre.

Ma poi cominciava il trillo accanto alla porta, nel buio pesto della mia
stanza, e allora qualunque altro pensiero svaniva e restava soltanto il terrore profondo che mi assaliva, l’ansia dell’attesa mentre lui compiva il suo giro e io sapevo che si avvicinava sempre di più a me. E l’unico momento in cui mi era permesso di rilassarmi era quando lui mi superava e si allontanava e io avevo almeno la certezza che non sarebbe ritornato fino alla notte successiva.

Così andò avanti per parecchio tempo finché, un giorno, non decisi che
ero stanco di quella situazione e che era giunto il momento di reagire. La
cosa che più mi stava a cuore, ancora prima di capire chi o cosa si
nascondesse dietro Campanellino, era capire se fosse reale o solo frutto
della mia fantasia. Perché, in quest’ultimo caso, i miei interrogativi sulla sua identità avrebbero perso di significato. Così una mattina, a scuola, mi confidai con Emilia, una ragazzina della mia classe minuta ma vispa, che era una delle mie più care amiche. Lei mi ascoltò con sguardo serio e non
mi interruppe mai, mentre ce ne stavamo seduti nel cortile della scuola durante la ricreazione. Alla fine mi mise una mano sulla spalla e mi disse semplicemente che mi avrebbe aiutato a risolvere quel mistero.

Emilia piaceva ai miei genitori e io piacevo ai suoi, perciò non fu un
problema quando chiedemmo il permesso affinché lei dormisse da me.

Mia madre assicurò alla sua che ci avrebbe accompagnati puntuali a
scuola la mattina successiva e che avrebbe controllato che svolgessimo
tutti i compiti, così il giorno dopo la mia confessione venne a casa mia nel pomeriggio. Prima di tutto finimmo i compiti molto velocemente, poi le
mostrai il percorso che Campanellino faceva ogni notte intorno alla mia
stanza. – E solo nella tua? – mi chiese.

- Sì.

- E non si sente in nessun’altra parte della casa?

- Questo non lo so – ammisi, imbarazzato perché non avevo mai
controllato quella eventualità – ma se fosse stato così, i miei genitori me
l’avrebbero detto.

- Hai detto che Campanellino fa il giro della tua stanza, perciò perché non
dovrebbe fare il giro di tutta la casa? Magari attraversa il resto
dell’edificio prima di arrivare da te, poi passa per il bagno e il salotto.

- E poi? – chiesi, curioso.

Lei scrollò le spalle. – Non lo so. Non posso sapere tutto. Va lì dove sta di
giorno, suppongo.

- E dove potrebbe essere?

Lei scrollò ancora le spalle.

Quella notte, aspettammo che i miei genitori fossero andati a letto, prima
di sgattaiolare fuori dalle coperte e sederci sul pavimento davanti alla
mia porta chiusa, in attesa. Avevo paura ma cercai di non darlo a vedere, di sembrare coraggioso. Emilia lo era e io volevo fare una buona impressione su di lei. Solo che Emilia non conosceva Campanellino, se non dai miei racconti. Non sapeva cosa si provasse a sentirlo muoversi dietro le pareti, con il trillo incessante e sempre uguale, così leggero ma
penetrante. Non conosceva l’attesa, quando nemmeno ti azzardavi a
respirare aspettando che lui passasse.

Ma lo avrebbe scoperto presto.

Quando Campanellino fece la sua comparsa, alle tre nello stesso punto di sempre, mi voltai a guardare Emilia speranzoso. Lei sgranò gli occhi, si
voltò verso di me e io seppi che anche lei lo sentiva. Non ero pazzo e quel
rumore non era frutto della mia immaginazione. La ragazzina si alzò, malferma sulle gambe, e premette un orecchio contro il muro e rimase
perfettamente immobile, zitta, in ascolto. – Lo sento – disse – ma è come se fosse dietro il muro ma allo stesso tempo non lo fosse. È lontano, come
se provenisse da un altro mondo.

Io non capii bene, così premetti anch’io l’orecchio contro il muro, così mi fu chiaro ciò che voleva dire. È difficile da spiegare. Il trillo era lì ma non lo era. Avremmo dovuto sentirlo più vicino in quel punto ma non era così.

Era alla stessa distanza di sempre, come sospeso, inconsistente, in
un’altra dimensione. Ma presente.

-Cosa significa? – chiesi.

Emilia non seppe rispondermi.

Poi mi resi conto di una cosa.

Campanellino non si muoveva, ma si era bloccato nello stesso punto in cui io e lei eravamo premuti contro la
parete. Ci guardammo, confusi. Il suono divenne più forte, proprio come succedeva quando me ne stavo sdraiato a letto e lui mi arrivava alle
spalle. Si fece assordante e le vibrazioni prodotte sembrarono far tremare il muro e tutto il mobilio e io temetti che potesse crollarci addosso.

Sembrava che lui sapesse in qualche modo, inspiegabilmente, che noi
eravamo lì, e non sotto le coperte. Ne era a conoscenza e voleva che
anche io ed Emilia fossimo consapevoli di questa sua percezione. Vidi Emilia trasalire, tremare, il suo coraggio sparire all’improvviso come se spazzato via da un soffio di vento troppo forte. Era impallidita
all’improvviso e si calmò soltanto quando Campanellino riprese il suo giro intorno alla mia stanza fino a sparire.

In seguito restammo per un po’ nel
mio letto, vicini, incapaci di dormire separati, soli con i nostri pensieri,
incapaci di dire qualunque cosa.

Fu Emilia a parlare per prima. – Credo che, se succedesse a me, finirei per
impazzire. Non c’è niente di logico in questo, niente che mi venga in
mente. E questo lo rende peggiore. Ma credo che, se riuscirai a superarlo,
andrà bene. Sono convinta che non voglia farti del male, non fisicamente. Solo spaventarti e fare il suo giro.

E io la ascoltai. O per lo meno ci provai. Non mi chiesi più chi fosse
Campanellino e quale fosse il suo scopo, cercavo di pensare che non mi avrebbe fatto niente. O almeno era quello che speravo.

Ma alla fine finii per impazzire, proprio come aveva detto Emilia.

Il non sapere, l’assenza di logica in quello che succedeva non mi lasciava dormire. Negli anni Campanellino sparì e tornò e incredibilmente, quando non avvertivo il suo
trillo caratteristico dietro le pareti, desideravo che tornasse. Ero terrorizzato dal non sentirlo perché non potevo controllarlo, sapere dove fosse o cosa stesse facendo, se fosse impegnato a spaventare qualcun
altro. Ritornava e spariva, lo faceva in continuazione senza apparente
logica. Ormai non dormivo più, non chiudevo occhio, stavo sveglio a
cercare una spiegazione che non c’era. Provai a dormire in salotto, sul
divano, o rannicchiato sul pavimento del bagno, ma mi sembrava di
sentirlo e ancora mi era impossibile trovare pace.

Alla fine, a quattordici
anni, preso dalla disperazione, presi un coltello da cucina e lo infilai nel
padiglione oculare, bucandomi il timpano di entrambe le orecchie.

Così Campanellino non tornò più e io me ne dimenticai, lo nascosi in un angolo della mia mente e non lo tirai fuori mai più.

Fino a stanotte.

Non abito più in quella casa già da molti anni, eppure sembra che
Campanellino mi abbia seguito fino a qui, come per salutare un vecchio
amico. Ha fatto il giro della stanza, a partire dalla porta, proprio come
quando ero più piccolo e lui ogni notte veniva a farmi visita. Ha seguito il perimetro della parete e si è bloccato dietro il mio letto, dove il trillo si è fatto più acuto, poi è passato oltre fino a sparire.

Ora è andato via ma so bene che domani tornerà. Io non so dirvi chi o cosa sia Campanellino, né
perché sparisca e poi ricompaia a cicli.

Ma una cosa so per certo.

Trent’anni fa mi sono reso sordo volontariamente e da allora non sono stato più in grado di sentire alcun suono. Ho provato dolore, ma la mia
mente era di nuovo libera. Adesso è tornato e ancora una volta il fatto
che io possa sentirlo va contro ogni logica. Mi è chiaro che c’è un solo
modo per liberarmi, perciò lasciatemi dire una cosa di cui sono
abbastanza sicuro.

Per qualche motivo Campanellino ha scelto me.

Forse tutti in realtà possiamo percepirlo, ma alcuni di noi non vogliono.

Campanellino arriva alle tre, a notte fonda, quando le nostre paure
prendono vita e perciò viene considerato come fantasia, immaginazione, come un incubo. E non facciamo caso alla sua corsa indisturbata. Ma fate più attenzione. Provate a tendere le orecchie e potrete sentirlo nel buio.

Ma non disturbatelo. Perché se ha scelto la vostra casa, potrà anche
allontanarsene, ma mai sparire del tutto. E state pur certi che tornerà,
finché non avrà trovato ciò che cerca e che gli serve. Non avevo la forza di
resistere al suo richiamo quando ero giovane e non potrei mai adesso che
sono più vecchio e stanco. Mi libererò da solo, ho una buona scorta di
medicinali qui con me. So come farlo in modo indolore. Così saprò che questa storia, per me, sarà definitivamente chiusa.

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