UN'IDEA GRANDIOSA

POV ASHLEY

Al suono della campanella gli studenti si riversano lungo i corridoi, puntando la mensa. C'è una certa trepidazione tra alcuni di loro, come se fossero a conoscenza di qualcosa che a me sfugge completamente.

Sono quasi tentata di fermare il primo che passa accanto a me per domandare se per caso è previsto l'arrivo di qualche altro professore che magari, ignara, ho incontrato in un altro pub, convinta che fosse un normalissimo ragazzo fresco di laurea. Ma considerando la sfortuna che mi perseguita evito di porgere domande e mi crogiolo nella beata ignoranza.

E nella disperazione più totale ovviamente.

Da quando le porte dell'ascensore mi si sono chiuse davanti agli occhi, innalzando un muro d'acciaio tra me e gli unici due uomini presenti nella mia vita, sono riuscita a stento a respirare. Figuriamoci a pensare.

Non posso pensare a cosa si sono detti. Non posso farlo e basta. Sarebbe peggio di mettere il culo nelle pedate.

Cammino mogia verso le scale, cercando di non urtare un secchio dell'acqua che la bidella ha dimenticato accanto all'uscita dei bagni ed evitando in extremis di beccarmi sul naso un libro che due studenti del primo anno si stanno lanciando a mo di palla.

"Vincerò le selezioni. Entrerò nella squadra. Jason non potrà rifiutarmi", ansima uno dei due, parando il lancio del suo compagno.

Solo a sentire il nome del mio ex mi fa tornare la nausea: ascensore... professore... porte chiuse... la mia stupida voce che gli spiffera ogni mio pensiero...

Non devo pensare!

"Fossi in te mi accontenterei di fare la riserva", lo calma l'altro. E poi lo sento abbassare la voce. "E' lei?".

"Oh, cavolo, sì".

Un attimo dopo mi si parano di fronte con le guance accaldate e una strana emozione nello sguardo.

"Ciao", saluto titubante.

Scommetto che hanno scoperto che mia madre è insegnante. Ecco perché mi stanno parlando. In genere non lo fa nessuno... a parte Kate.

"Tu sei Ashley?", chiede il più alto.

Lo guardo di sbieco, già sulla difensiva. "Sono io".

"Ho saputo che tempo fa uscivi con Jason".

Annuisco lentamente, ancora più titubante di prima.

"Non è che potresti mettere una buona parola per il mio amico?", dice lo spilungone, indicando l'altro ragazzo accanto a lui.

"Io e Jason non siamo in buoni rapporti".

"Ah", mette il broncio. "Perché lui dice che andate ancora a letto insieme".

"Cosa?", scoppio a ridere. In realtà sono più sorpresa che irritata, anche perché io e lui non siamo MAI andati a letto insieme. E non certo per volere mio.

Non che ambissi a perdere la verginità con il primo arrivato, ma non posso certo dire che essere stata rifiutata a causa di uno sport abbia accresciuto la mia autostima.

Mi passo nervosamente una mano tra i capelli, strappando un paio di nodi. Okay, tutto sommato sono anche molto irritata, perché se lui se ne va in giro a dire queste baggianate, significa che probabilmente le ha dette anche a David Sentfohrt in ascensore.

Oh, no. Non devo pensare. Non devo pensare.

Il ragazzo alto si stringe nelle spalle. "Lui dice così. Non che siano affari miei comunque. Ma se tu potessi aiutare il mio amico te ne sarei davvero grato. Le selezioni nella squadra sono tostissime e senza una raccomandazione non ce la farà mai".

"Vedrò cosa posso fare", taglio corto.

"Pranzi con lui?", indaga mentre sto già puntando nuovamente le scale.

"Oggi no".

"E' per via di ciò che è successo in mensa?".

Mi fermo di colpo, perplessa. "Che è successo in mensa?".

"Non lo sai?", interviene Lucy Anderson, ancheggiando sugli ultimi scalini della rampa. Come al solito indossa una gonna firmata che ha tutta l'aria di essere made in Italy, accompagnata da un golfino di vero cashmere. Anche io ne ho uno nell'armadio nuovo di zecca. L'ho comprato a dei saldi tre anni prima, e se lo considero ancora nuovo è perché ho il terrore di metterlo e rovinarlo.

"Cosa dovrei sapere?", ribatto, preparandomi mentalmente ad una possibile catastrofe.

Funziona così con Lucy Anderson. Ogni frase che inizia con un non lo sai" prevede guai i vista. Be', a dire il vero ogni sua frase prevede catastrofi imminenti. In un futuro non troppo lontano la vedrei bene come annunciatrice di elogi funebri.

"La cuoca ha dato le dimissioni e a quanto ho sentito dire si mangerà peggio del solito", butta lì.

Un sospetto comincia a farsi strada dentro di me. E' ancora piuttosto sbiadito ma mi fa tremare lo stesso le ginocchia. "E perché si è licenziata?".

"Non lo so". Si fissa lo smalto e mi gira attorno per raggiungere una delle cheerleader. "Tu lo sai?", le domanda.

Gli occhi della cheerleader scattano emozionati su ognuno di noi e per riflesso all'emozione stringe con più foga al petto alcuni libri. "Pare che il nuovo professore di letteratura abbia sollevato una polemica contro il menù della mensa e che il Preside gli abbia dato ragione".

Resto a fissarle imbambolata mentre si allontanano lungo le scale.

David Stenfhort ha ordinato una modifica nel menù della mensa?

Prendo un lungo respiro e saluto i due ragazzi, seguendo a ruota Lucy Anderson.

Ad ogni passo mi ripeto mentalmente che non c'entra niente con me. E' assurdo pensare che dipenda da ciò che gli ho raccontato nel cortile di quel pub. Probabilmente aveva già in mente di polemizzare col preside la scarsa qualità del cibo. Probabilmente ne ha discusso con gli altri professori e tutti si sono detti d'accordo nell'apportare qualche modifica. Malgrado questo mi rendo conto che mentre attraverso il lungo corridoio verso la mensa le mie gambe non si muovono veloci come dovrebbero. Anzi, più la porta della mensa si avvicina, più vanno al rallentatore.

Non posso entrare là dentro.

Oh, sì che posso. Andrà tutto bene.

"Mi fai entrare?", sento la voce di Jason alle mie spalle.

Sussulto di lato, accorgendomi troppo tardi di essere ferma davanti alla porta della mensa con la mano ancorata alla maniglia.

"Scusami, ero distratta", borbotto.

Mi invia una strana occhiata seguita immediatamente da una smorfia. Che problema ha? Possibile che se la sia presa così tanto solo perché non volevo sedermi accanto a lui?

"Sei arrabbiato?", indago.

Ci pensa su per qualche secondo di troppo. "No".

"Sì, invece", non me la bevo.

"Semplicemente devo ignorarti e starti lontano".

Raddrizzo le spalle, presa in contro piede. "E da quando?".

"Da quando ho parlato col nuovo professore".

Una strana sensazione alla bocca dello stomaco mi fa quasi piegare in due. Cos'è che non so e che invece dovrei sapere? "Ti ha parlato male di me?".

Il che è anche probabile dopo avermi scoperta a guardare dildo con un ginecologo. Eppure si era dimostrato molto gentile e di larghe vedute, concedendomi del tempo per riscattarmi.

"Non mi ha parlato di te. Mi ha semplicemente consigliato di ignorarti".

"Ma perché?", domando, pur temendo la risposta. Giuro che se gli ha detto che mi ha vista... giuro che...

"Sei fidanzata, no?", sbotta. "Allora ti lascio in pace".

Detto questo mi volta le spalle e se ne va, pestando i piedi, mentre io lo fisso ammutolita.

Io fidanzata? E da quando? Con chi?

Possibile che fino a dieci minuti fa io fossi solo una studentessa sconosciuta senza vita sociale mentre ora mi ritrovo ad avere un fidanzato e a fare sesso col mio ex? Dov'ero mentre accadevano tutte queste cose?

Entro nella mensa con la stessa devastante amarezza di un condannato a morte che sta per sedersi sulla sedia elettrica.

Per quanto mi sforzi di sembrare naturale ho l'impressione di avere due pali di legno al posto delle gambe e, anche se nessuno mi sta guardando, la sensazione di avere un paio di occhi puntati contro non vuole andarsene.

A testa bassa faccio ruotare gli occhi un po' di qua e un po' di là finché individuo il tavolo occupato da Kate. Se ne sta seduta da sola, intenta a spulciare una rivista di moda mentre giocherella con la forchetta.

Mi tiro in avanti alcune ciocche, usandole a mo di scudo, e mi avvicino a lei.

"Dimmi che non centri niente", esordisce, abbassando la rivista.

Ruoto le spalle e mi lascio cadere sullo schienale della sedia. Sono tutta indolenzita per essere stata seduta e rigida per tutte le lezioni della mattina. Questa cosa sta nuocendo alla mia salute. Come farò a sopravvivere un intero anno di David Stenfhort?

"Non so più cosa pensare", mi lamento, rubandole la bottiglietta d'acqua. Ne bevo un sorso e tiro un profondo respiro. Non mi ero nemmeno resa conto che stavo trattenendo il fiato. "Doveva solo essere uno sconosciuto".

"Uno sconosciuto a cui hai detto tutti i tuoi segreti", mi sgrida. Poi si allunga sul tavolo e si avvicina al mio orecchio. "Stai attenta a quello che dici perché è seduto proprio a due tavoli dal nostro".

"Grandioso", sbuffo, combattendo contro l'impulso di voltarmi. "Che sta facendo in questo momento?".

Finge di osservare qualcosa dalla finestra e subito riporta gli occhi su di me. "Ti guarda".

"Sembra furioso? O divertito? O seccato?".

"Perché dovrebbe essere furioso, divertito e seccato?".

"Perché... perché... okay", comincio a contare sulle dita, "mi ha scoperta mentre ero nell'ufficio del dottor Smallhe a guardare dildo".

Mi fissa come se le avessi appena detto che ho scuoiato un gatto. "Dimmi che non è vero".

"E poi ho usato il suo cellulare per fare una specie di scherzo telefonico e ho temuto seriamente che venisse denunciato il su numero".

La sua bocca si spalanca lentamente e si richiude con un colpo secco.

"Mi vergognavo a dirtelo ma gli ho anche rivelato di sputare nel succo di ogni professore".

I suoi occhi si sgranano e involontariamente cercano David Sentofhort.

"E per ultimo oggi l'ho lasciato da solo in ascensore con Jason. E lui sa che siamo usciti insieme".

"Questo lo sanno tutti", obietta.

"Ma nessuno sa che Jason mi ha infilato una mano nella maglia per palparmi", piagnucolo. "A parte te e il professore".

La mia voce si affievolisce pian piano quando vedo che Kate mi fissa, inorridita.

"Ashley", mormora infine, "hai mai sentito parlare di quella cosa chiamata riservatezza?".

"Non volevo dirgli quelle cose", mi difendo. "Ero sconvolta per via del terremoto. Sai che quando sono sotto pressione comincio a parlare a vanvera".

"Potrebbe venire giù anche una pioggia di meteore ma non si raccontano certi segreti ad un professore".

"Ma io non lo sapevo", esclamo frustrata. "Doveva essere un ragazzo conosciuto in un pub, non il mio professore. E non avrebbe dovuto entrare nell'ufficio del dottor Smallhe mentre c'ero io. Chissà cosa penserà di me?".

"Puoi star certa che pensa tu odi profondamente la mensa della scuola", sospira, guardandolo velocemente un'altra volta. "Voglio dire, quell'uomo si è battuto per cambiare il menu solo perché tu gli hai spifferato che ti fa schifo".

"Potrebbe essere un caso".

"Ashley, per favore, sono concentrata", ribatte massaggiandosi le tempie. "Non distrarmi con inutili cavolate".

"Non sono cavolate", mi offendo.

"Respira", mi invita Kate, concitata, raddrizzando le spalle di colpo.

La fisso spiazzata. "Cosa? Perché?".

Lei muove velocemente la mano davanti a sé e gonfia il petto, simulando un esercizio di respirazione: dentro, fuori. Dentro, fuori.

"Concentrati: un respiro, due respiri... tre respiri...".

"Ma che ti prende?", chiedo.

E poi capisco.

David Sentfhort è lì, a pochi passi da noi.

E guarda nella nostra direzione.

Il cuore mi martella nel petto mentre lo osservo avanzare lentamente. Man mano che si avvicina mi sento travolta da una giostra di emozioni. Ho persino la nausea. Voglio scendere da questa giostra, vomitare nel primo cestino della spazzatura e poi ficcarmi sotto un metro di terra e risorgere con una nuova identità.

Questo è l'uomo che si diverte a schiacciare il tasto che fa partire la giostra. Anzi, è il maledetto proprietario di tutto il Luna Park. E sta venendo verso di me per parlarmi di Jason.

"Buongiorno", ci saluta entrambe, educato. Quindi tende una mano verso Kate per presentarsi. "Sono il nuovo professore di letteratura inglese".

Vedo chiaramente gli occhi di Kate ridursi in due fessure offese. "Sta scherzando, vero?".

Per un attimo David Sentfhort sembra spiazzato ma si riprende con un rapido battito di ciglia, ritraendo infine la mano.

Come è possibile che non riesca a ricordarsi di lei?

"Chiedo scusa per avervi interrotte". Si siede al tavolo accanto al nostro. "Ma avrei bisogno di parlarle, Ashley".

Segue un silenzio carico di tensione in cui scorgo Kate cercare di comunicarmi qualcosa col labiale. Ma sono troppo confusa e stravolta per decifrare i movimenti della sua bocca. E a dire il vero faccio fatica persino a sentire il professore. La sua voce mi arriva in un'eco lontana, attutita dai miei pensieri. Perché vuole parlarmi? E se Jason gli ha detto che io e lui facciamo sesso? E se vuole parlarne con i miei genitori?

Kate prova a mimarmi ancora qualcosa con le labbra, ma si blocca appena si accorge che il professore la sta guardando e beve un sorso della sua acqua.

"So che è in pausa, ma avrei davvero bisogno di discutere di questo con lei", conclude il professore.

Okay, questa frase l'ho sentita. E' tutto ciò che ruota attorno al "questo" che mi sfugge. Devo assolutamente ricordarmi di dare ascolto alle persone quando parlano. Magari più tardi me lo scrivo sulla mano.

"Ma certo", mi ritrovo ad accettare. E dentro di me tremo. Cosa ho appena accettato?

"Per la miseria!", esclama Kate, teatralmente. "Mi sono appena ricordata di avere una commissione importante da fare per mia madre prima che ricomincino le lezioni".

Cosa? Che sta dicendo? Sua madre è morta cinque anni fa.

"Ci vediamo dopo, Ashley".

"Non puoi andartene", protesto, già nel panico.

Ma lei si sta già infilando la giacca e con movimenti svelti raccoglie la tracolla da terra.

"Arrivederci, professore", lo saluta.

"Arrivederci... uhmmm... come ha detto di chiamarsi?".

"Io non ci credo", ruota gli occhi lei, allungando svogliatamente la mano. "Kate. Sono. Kate".

David Senfhort gliela stringe titubante, guardandomi di sfuggita con l'espressione di chi non ci sta capendo niente.

Sul serio, che problemi ha a ricordarsi di lei?

"Quindi, cosa ne pensa?", domanda, avvicinando la sedia alla mia.

Cosa ne penso di cosa? E' la continuazione del discorso di prima, ci scommetto. Quel discorso che non ho ascoltato. E che quasi sicuramente riguarda Jason.

"Penso sia... ecco, io penso che... sia... grandioso".

"Mi ha ascoltato poco fa?".

Fingo di indignarmi. "Ma certo".

Sarà anche vero che non ho ascoltato una sola parola che ha detto ma non occore avere un elevato QI per capire che vuole discutere del mio ex e di quello che si sono detti in ascensore questa mattina. Quindi decido di andare dritta al punto. Meglio parlarne subito e togliersi il pensiero.

"Senta, mi rendo conto che siamo decisamente partiti col piede sbagliato", attacco in imbarazzo. "Lei starà sicuramente pensando delle brutte cose sul mio conto, ma le assicuro che io e Jason non abbiamo fatto sesso. Quindi, qualunque cosa le abbia detto in ascensore non è vera".

I suoi occhi, scuri sulle prime di incomprensione, si illuminano di improvviso interesse.

"Jason non mi ha assolutamente parlato di questo", cerca di tranquillizzarmi. "Tra l'altro non glielo avrei permesso. Mi ha solo detto di aver commesso un errore con lei e che sta cercando di rimediare".

"Benissimo", ribatto con voce tremante. "E allora perché lei gli ha detto che sono fidanzata?".

"Non lo è?", si sorprende.

"No".

"Sua madre mi ha detto che è uscita qualche volta con un ragazzo, quindi ho dato per scontato che...".

Mia madre? Ma certo, è logico che loro due parlino dal momento che fanno parte dello stesso corpo insegnanti. Ottimo! Così adesso lui sa metà della mia vita privata che gli ho stupidamente spifferato io, e l'altra metà che gli sta raccontando mia madre. Mi sento profanata.

"Era Jason, il ragazzo con cui mi ha vista uscire un paio di volte", spiego.

"Be', questo non potevo saperlo". Si passa una mano tra i folti capelli scuri e un lungo respiro gli schiude le labbra. Come quando ci si lascia cadere di dosso un grosso peso. "Mi deve scusare allora. Ora possiamo tornare al discorso per cui sono qua?".

Un terribile dubbio mi assale. "Non mi ha cercata per discutere con me di Jason?".

"Ammetto che la sua vita privata è molto interessante, ma gradirei che i nostri rapporti si limitassero ad argomentazioni scolastiche".

Voglio morire.

"Quindi... quindi non racconterà a mia madre di me e lui?".

"No", mi assicura paziente.

"Bene", mi scosto la frangia dalla fronte e abbasso lo sguardo su una venatura del tavolo. "Di cosa voleva parlarmi, dunque?".

"Mi scusi se le sembrerò ripetitivo ma sento il bisogno di domandarglielo un'altra volta: mi ha ascoltato poco fa?".

"No", ammetto riluttante. "Mi dispiace".

"Lo avevo sospettato da come stava cercando di capire cose le stesse mimando la sua amica con le labbra. Non che io ci sia riuscito del resto, ma mi sembra di aver captato un Jason", ammicca complice.

Solo che noi non siamo complici. Io sono una studentessa. Lui un professore. O più precisamente, io sono la ragazza che gli ha spifferato metà della propria vita privata e lui l'uomo che ne sta approfittando per giocare a ping pong con la mia dignità.

"Ho avuto modo di parlare con sua madre", comincia a spiegarmi con lentezza, "riguardo i suoi scarsi voti nella mia materia". Mi guarda negli occhi, sfidandomi a contraddirlo.

E lo farei se non ci fosse un registro che conferma quanto sono scarsa. E se non gli avessi detto che odio letteratura inglese.

"Le assicurò che mi impegnerò al massimo per recuperare".

"Non ho dubbi su questo. Perché recupererà con me". Sorride e si alza, mettendosi la tracolla sulla spalla.

E' naturale voglia farmi recuperare, probabilmente mi sottoporrà a qualche interrogazione extra finché avrò raggiunto la sufficienza. Cosa mi aspettavo? Che mi proponesse di falsificare il registro?

Mentre mi alzo anch'io però, un terribile sospetto mi fa quasi ricadere sulla sedia.

"Che intende con recuperare?", domando alle sue spalle larghe e fasciate da un maglione blu.

La sua camminata fluida si interrompe e gli occhi spuntano aldilà della sua spalla. "Seguirà qualche lezione di recupero con me il sabato mattina".

Cosa? No. Non può essere. Non posso aver capito bene.

"Avrebbe almeno potuto chiedermi se ero d'accordo", brontolo, pur consapevole che lamentarmi non mi porterà a nulla.

"L'ho fatto". Sorride perfido. "Appena seduto al suo tavolo. E, da quel che ricordo, lei mi ha testualmente risposto che reputa l'idea grandiosa".

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