Trasparente
"Mamma apri tu?", urlo affacciandomi dalla porta del bagno.
Due secondi dopo sento la porta di ingresso cigolare e i tacchi di Kate che rimbombano nel corridoio che separa la cucina dal salotto.
"Kate vieni di sopra", urlo.
"Dov'è che andate?", la voce di mia madre è tranquilla. Almeno so che non mi farà la solita ramanzina come fa di solito ogni volta che esco di sera.
Ultimamente si è dimostrata molto più comprensiva con me. Infatti mi ha anche permesso di andarmene due giorni fuori con David.
Okay, non è che abbia propriamente permesso la cosa con entusiasmo, anzi, a dire il vero è scoppiata a piangere e a blaterare qualcosa a riguardo di un certo programma televisivo che una volta avevamo intravisto insieme durante la cena. Mi pare si chiamasse "14 anni incinta". O forse era 15.
Il succo comunque non cambia.
Il succo è che aveva dato per scontato che io e David avremmo fatto sesso e proprio per essere certa di impedircelo aveva bloccato David in mezzo alla strada che separa le nostre rispettive case sbraitando: "Vuoi portarmi via Ashley per una notte? Allora fammi parlare con tua madre. E già che ci sei aiutami a portare dentro la spesa".
Cosa che David aveva effettivamente fatto, ignaro che una volta dentro casa mia mamma avrebbe cominciato a fargli dondolare sotto il naso il tablet aperto sulla pagina internet "rapporti anali tra carcerati".
Era stato un momento assolutamente imbarazzante. Così tanto imbarazzante che ancora adesso mi chiedo come sia possibile che David non mi abbia mollata su due piedi chiedendomi di rimborsargli i soldi del biglietto del treno. Ero già pronta a chiamare la mia capa per chiederle di farmi fare degli straordinari.
Poi però David aveva guardato la mamma scoppiando a ridere e se ne era uscito con una frase volgare che non sono riuscita a comprendere ma che, a giudicare dalla faccia stralunata, mia madre era riuscita a capire benissimo.
Cos'è che aveva detto esattamente?
Vabhe, proprio non riesco a ricordarlo.
Al massimo potrei chiederlo alla mamma. Sono certa che lei lo ricordi benissimo. Anche perché la sua faccia non è più tornata quella di sempre.
Ad ogni modo alla fine si era lasciata convincere dalla vena poetica di David mentre le spiegava che questa sorta di vacanza ci avrebbe permesso di capire come sarebbe stato vivere la nostra storia alla luce del sole. O forse era stato quando lui le aveva detto che non gli serviva un letto per togliermi la verginità.
Afferro il cellulare e digito veloce un messaggio a David, inventando che ho il mal di testa e che sto andando a dormire. La doppia spunta blu di Whatsapp non tarda ad arrivare, come la risposta. Chissà come fa a scrivere così veloce dalla tastiera del cellulare?
Da David Sentfort - 21.13
-Hai scritto la biografia su Leopardi?-
Ruoto gli occhi e ribatto con una emoticon triste, per fargli capire che non ho ancora ultimato il lavoro. Se dovesse chiedermi spiegazioni, potrò sempre tirare in ballo la scusa del mal di testa.
Devo assolutamente scoprire chi è questo Leopardi...
Quindi metto via il cellulare e torno a impiastricciare le ciglia col mascara. Ne ho messo così tanto che le ciglia sono diventate tutte un unico pezzo. Non sono convinta sia un bene.
Kate spalanca la porta investendomi col suo profumo. La sua immagine si riflette nello specchio, accanto alla mia, ed io posso chiaramente vedere la mandibola scivolarle lentamente e inesorabilmente verso il basso in una posa sorpresa.
"Dici che ho esagerato?", abbozzo incerta.
La mandibola resta ferma così com'è. Sbatte solo le palpebre. Un volta. Due volte. Tre volte.
"Forse ho esagerato col mascara", mugugno arresa.
"Perché ti sei messa un rossetto nero?".
"Fa dark".
"E lo smalto nero?".
"Fa dark anche quello", mi metto sulla difensiva.
"I jeans strappati invece..."
"Che hanno che non va i miei jeans?".
"Sono strappati e tu non indossi jeans strappati".
"Sì che li indosso".
"No che non li indossi. Dove li hai scovati?".
"Al negozio dell'usato sulla 32esima. Li ho pagati 10 dollari. La commessa me li ha scontati per 3 dollari, convinta fossero rotti". Ruoto su me stessa, a caccia di complimenti che però non arrivano.
"Perchè ti sei conciata così?", mi rimprovera bonaria.
"Volevo avere un'aria da dura", confesso, lasciandomi cadere sul bordo della vasca per allacciarmi il laccetto della scarpa.
Dov'è finita l'altra scarpa? Mi guardo attorno e la trovo infilata tra il cesto della biancheria sporca e il mobiletto degli asciugamani. Sono sporchi anche quelli ma è meglio che non lo faccia notare alla mamma. Ultimamente è stanca, con la testa tra le nuvole, sopra pensiero. Sulle prime avevo pensato fosse innamorata ma poi 'avevo sentita litigare con un ragno perché aveva osato tessere la sua tela nella piccola crepa tra il soffitto e il frigorifero.
Convinta stesse in realtà litigando con un uomo mi ero nascosta dietro lo stipite della porta. Nella mia testa ovviamente avevo già creato castelli talmente grandi da far rimpicciolire la regina Elisabetta e, sempre ovviamente, avevo supplicato silenziosamente mia madre di non obbligarmi a chiamare "papà" il suo nuovo fidanzato. Poi però l'avevo trovata intenta a fare una ramanzina ad un minuscolo ragnetto, scuotendo il dito indice con fare perentorio e scrollando la testa in segno di diniego. Concludendo il tutto con un "non si fa".
Ragionandoci su, forse in effetti potrei avviare la lavatrice prima di uscire con Kate.
"Sai che non riuscirai mai a convincere Marcus a rinunciare alla partita di poker?! Lo sai, vero?Fossi in te mi tirerei indietro".
Dopo che le ho raccontato tutto quello che Lucas mi ha detto su Marcus e i Perl Black, la sua cottarella adolescenziale per i motociclisti le è passata in un batter d'occhio. Si è scusata con una serie di messaggi lunghi come l'anno della fame, dicendo che non pensava, non credeva, non sospettava che Marcus fosse un tipo simile.
Anche se a onor del vero avrebbe potuto arrivarci da sola. Per un attimo sono anche stata dispiaciuta per lei. La sua delusione è stata autentica ma almeno mi ha assicurato di non averci fatto sesso. Ovviamente ha provato a convincermi di stare a casa a guardare Alla ricerca della felicità ma ormai ho deciso.
David avrà pure un mausoleo di scheletri nel proprio armadio, ma chi non fa qualche sciocchezza da ragazzo? Non è giusto che debba pagarne ora, mettendo a rischio la sua carriera. Se anche solo uno degli studenti della Bennet High school dovesse vederlo al Green Grill in compagnia di Marcus, il suo passato riaffiorerebbe in meno di mezzo minuto e questa cittadina è così piccola che se se mette in giro un pettegolezzo al mattino, già alla sera è sulla bocca di tutti.
Non posso neanche immaginare che David venga licenziato e spedito in qualche liceo di qualche paesino sperduto. Lui aveva pagato il suo debito, aveva pareggiato i conti, e la pretesa di Marcus è assurda.
Di colpo vengo presa dall'ansia. Cosa sto facendo? E' un mondo di cui non conosco nulla. Seduti sul muretto della scuola, Marcus ed io eravamo due semplici sconosciuti che scambiavano quattro chiacchiere. Ma una volta entrata nel Green Grill entrerò automaticamente nel suo mondo, fatto di contrabbando e fidanzate messe in palio.
Ad essere proprio sincera non so nemmeno se avrò il coraggio di entrare al Green Grill. Voglio dire, non ho nemmeno il coraggio di uscire di casa.
Me ne sto da dieci minuti buoni con la mano appesa alla maniglia, la bocca contorta in una smorfia pensosa e gli sbuffi annoiati di Kate che mi sbattono sulla nuca.
"Ashley, dacci un taglio. O ci andiamo o non ci andiamo. "Alla ricerca della felicità" non è ancora cominciato, quindi non butteremo nemmeno all'aria la serata".
"Se David mi scoprirà sarò io a finire all'aria".
"Oh, questo è poco ma sicuro. Che poi proprio non ti capisco. Perché non glielo hai detto?".
Mi mordicchio un labbro. "Volevo aiutarlo. Lui mi protegge sempre. Lo fa fin dall'inizio. Per una volta vorrei essere io a risolvere un suo problema".
"Non vorrei sottolineare l'ovvio ma se perderai a poker con Marcus dovrai finire a letto con lui per una settimana. E questo, Ashley, equivale a creare problemi più che risolverli".
"Chi ti dice che perderò?", mi acciglio davanti al suo pessimismo. Santo cielo, dovrebbe puntare su di me.
"Perché?", mi fissa stralunata. "Non vorrei risottolineare l'ovvio ma tu non sai giocare a poker".
"Conto sulla fortuna del principiante", sorrido impacciata, abbassando la maniglia con rinnovata convinzione.
Sì!
Sarà fantastico. Già lo so.
Entrerò in quel pub a testa alta, sorriderò cordiale al cameriere e con assoluta tranquillità cercherò il tavolo di Marcus. Non dev'essere nemmeno troppo difficile perché mi basterà cercare un tavolo verde. Di solito i tavoli da gioco hanno tutti un tappetino verde.
O almeno, nei film si vede sempre così.
E comunque se non dovesse essere verde non sarà poi così problematico. Voglio dire, quanti cavolo di tavolini ci saranno mai al Green Grill?
E poi sono in grado di riconoscere Marcus, quindi il problema non si pone.
Appena lo avrò adocchiato mi stamperò in faccia un'espressione annoiata, della serie "facciamo 'sta cosa e togliamoci il pensiero. E a proposito, la tua giacca fa proprio schifo" e mi avvicinerò ancheggiando perché ho i tacchi.
In realtà quando ho i tacchi ancheggio perché rischio di cadere ad ogni passo ma una volta mi sono osservata camminare allo specchio e non si nota assolutamente che i miei ancheggiamenti sono dovuti alla mia incapacità di stare dritta.
Quindi resteranno tutti sorpresi di come so destreggiarmi abilmente tra la folla di un locale, la stessa Kate mi sussurrerà all'orecchio che sembro una modella sulla passerella, mi siederò con grazia di fronte a Marcus e gli chiederò di mescolare le carte per ben due volte. Giusto per darmi un tono. E anche perché non mi fido di lui.
Soprattutto perché non mi fido di lui.
Ripensandoci è meglio se le mescolo io.
Anche se non so assolutamente fare quello strano movimento con le dita da professionista del gioco d'azzardo. Diciamo piuttosto che mescolo un mazzo di carte come un bambino che non è capace di tenerle in mano. Infatti puntualmente mi cadono tutte a terra e impieghiamo mezz'ora a raddrizzarle tutte e quando abbiamo terminato è passata a tutti la voglia di giocare.
Infine, quando avrò più o meno abilmente mescolato il mazzo, distribuirò le carte prima a Marcus poi a... aspetta.
"Kate?".
"Sì?".
"Quante carte di danno a poker?".
Lei ruota gli occhi, come a volermi dire "Visto? Te l'ho detto che non sai giocare", quindi spalanca la porta e con un gesto da condannata a morte mi invita a uscire di casa. "Sono quattro carte".
Perfetto! Quindi distribuirò quattro carte a Marcus e quattro carte a me. Magari nel frattempo potrei persino parlargli di Trevis. Magari si conosco già. Trevis è lo spacciatore ufficiale della scuola. Vende di tutto: calzini, giacche per cacciatori - è riuscito persino a venderne una al vecchio preside, o almeno, così ho sentito dire in mensa - libri usati, trapani, creme depilatorie. Una volta ha provato a vendere anche le mutandine di Kylie Minogue. Intendiamoci, nessuno ci ha creduto che fossero davvero le sue, però alla fine un tizio del primo anno ci ha speso tre dollari perché non si sa mai. E poi le ha rivendute a sua sorella più piccola per otto dollari.
Chissà se è vero?!
"Ho parcheggiato laggiù", Kate indica la stradina laterale che separa il mio giardino da quello della vicina e annaspa nella borsetta alla ricerca delle chiavi.
E dopo avergli parlato di Trevis inizierò la partita. E ovviamente intanto Kate lo distrarrà. Non so ancora in che modo ma ha detto che qualcosa si inventerà e sinceramente non me la sono sentita di indagare troppo. Ho già da pensare a cosa dovrò fare io, non posso preoccuparmi di quello che dovrà fare lei.
Le carte voleranno veloci sul tavolo ed io blefferò alla grande. Come un'esperta. Non lascerò trapelare nessuna emozione. Nessuna. Forse giusto un mugugno sofferente per le scarpe col tacco. Ma al massimo potrò sempre toglierle, tanto sotto il tavolo non guarda mai nessuno. E poi sarà buio, quindi sono certa che nessuno ci farà caso.
Riuscirò a vedere le carte se sarà buio?
Beh, al limite accenderò la torcia del cellulare giusto il tempo di darci una sbirciatina veloce. E potrei abbagliare Marcus così forse getterà la carta sbagliata. E vincerò.
Porterò a casa una vittoria schiacciante.
David non lo saprà mai purtroppo. Non saprà mai che ho risolto un suo problema come una donna matura. Come una donna che è abituato a frequentare. Di quelle che sanno come si paga una bolletta con la app e che sanno esattamente come dividere il bucato prima di infilarlo nella lavatrice. Che sanno uscire dai guai da sole.
Ma in cuor mio saprò che sono stata un pilastro per il mio David. Sarà un momento fantastico. Di quelli che di solito si vedono nei film. Se chiudo gli occhi riesco persino a sentire la musichetta epica che accompagna la mia uscita vittoriosa dal locale. E quando poi saremo vecchi gli accennerò giusto qualcosina. Non potrà certo sgridarmi per qualcosa successa circa cinquant'anni prima.
Oddio, anche se conoscendo David non mi sento di escluderlo completamente.
Ma in ogni caso sarà così anziano che le sue scarse energie gli permetteranno di tenermi il muso per massimo tre minuti e mezzo e poi come se niente fosse si rimetterà a cercare un centro estivo per anziani dove trascorrere le vacanze.
"Sali!".
Riapro gli occhi e la musichetta epica viene spazzata via dalla voce autoritaria di David.
Cosa...?
Che diavolo...?
Sbatto le palpebre un paio di volte ma il suo volto terribilmente furioso non scompare. Se ne sta con la schiena posata contro la fiancata della macchina di Kate. Le braccia incrociate al petto e l'espressione più infuriata che gli abbia mai visto. E voglio dire, ne ho viste di espressione furiose sul suo viso, eh!
Oddio, mi viene da vomitare.
"David...", provo a dire. La nausea aumenta.
Ma lui indica la sua auto parcheggiata un paio di metri più avanti con un rigido cenno del mento. "In macchina. Ora!".
Io e Kate ci scambiamo un'occhiata sconvolta e lei ha persino l'ardire di retrocedere di un passo, mollandomi come una condannata a morte al proprio esecutore.
"Ciao ragazzi", borbotta veloce, zampettando verso la sua auto.
Ma David la fissa storto, senza schiodarsi dalla fiancata della sua auto. "Tu vai con Lucas". Quindi i suoi occhi scuri mi puntano di nuovo. "Ho detto in macchina, Ashley".
E quando pronuncia il mio nome in quel modo non promette mai bene.
"Perché devo andare con Lucas?", gli domanda Kate.
"Ti porta lui al Green Grill".
Kate raddrizza le spalle, presa in contro piede. "Guarda che noi non stavamo andando assolutissimamente al...".
"Non una parola", la zittisce. E ci riesce persino senza nemmeno aver bisogno di guardarla in faccia.
Anche perché il suo ruggito, oltre a far tremare me e Kate, ha fatto vibrare persino i vetri della macchina. Dove diavolo ha imparato a ringhiare così? Su un documentario di Discovery Channel?
"David...", ci ritento. Ho il cuore in gola. Non riesco nemmeno a parlare.
"Ma porca puttana", scatta in avanti, afferrandomi per il gomito e sospingendomi verso la sua auto. Apre lo sportello in malo modo e mi sospinge dentro. "Sali, ho detto".
Quindi si volta come una furia verso Kate e digita veloce qualcosa sul cellulare prima di portarselo all'orecchio.
"Sì, sono qui con me", borbotta al telefono. "Ah, stanne certo!... D'accordo. A dopo".
Riaggancia e fa il giro al cofano senza perdere di vista Kate. "Prova ad andartene prima che arrivi Lucas e scoprirai cosa significa essere bocciati per dieci anni di fila".
Quindi sale in macchina, sbattendo lo sportello così forte che sono quasi tentata di ricordargli quanto gli è costata questa macchina. Sinceramente sono quasi indignata. Quando mi ha fatto fare scuola guida non ha fatto altro che urlarmi che se gliela avessi graffata mi avrebbe fatto dare insufficiente persino dal prof di educazione fisica, cosa che non è mai successa da quando è stato posato il primo mattono del mio liceo, ed ora invece lui maltratta l'auto come se di colpo non gli importasse nulla.
Il ché potrebbe anche essere dato che al momento sembra un tantinello occupato a pensare ad altro.
"Allaccia la cintura", ordina, avviando il motore.
Fa un'inversione a U e si immette nella strada principale, puntando al Green Grill. Al primo semaforo rosso mette in folle e si volta leggermente verso di me, lasciando scorrere lentamente gli occhi contro i miei jeans strappati. Incurva un sopracciglio e poi sposta l'attenzione sul mio smalto, concedendosi per ultima un'occhiata scontrosa alla mia bocca nascosta sotto il rossetto nero.
"Ne parliamo subito o preferisci aspettare che abbia sistemato Marcus?", domanda serio... forse anche un po' retorico.
Mi stringo le labbra, facendomi piccola piccola sul sedile. E' retorico o è serio?
"Dopo che hai sistemato Marcus?", propongo intimidita.
Oddio sono così agitata che mi scappa pure la pipì.
Senza aggiungere altro torna a fissare la strada e ingrana la prima quando il semaforo scatta sul verde.
Nel silenzio assoluto penso e ripenso a cosa potrei dire. A come calmarlo. Ma non c'è davvero nulla che mi venga in mente. A parte forse...
No! Neanche per idea.
Mi mordicchio un'unghia, valutando quante opzioni mi restano per calmarlo.
In effetti però potrei...
No. No. No!
"Togliti quel rossetto", dice ad un certo punto.
Ed io per lo spavento mi faccio quasi la pipì addosso.
Okay, mi arrendo. Devo calmarlo prima di arrivare al Green Grill. Ho seriamente paura possa commettere una strage.
"Volevo aiutarti", butto lì parlando così veloce che non mi riesco a capire nemmeno io.
"Come?".
"Volevo aiutarti", ripeto, abbassando lo sguardo. Il ché probabilmente è un bene perché in quel momento si volta verso di me e ho il sospetto che mi stia disintegrando con la potenza di uno sguardo.
E' peggio ancora di quella volta in classe che mi ha quasi sbattuta fuori dalla porta perché era convinto mi stessi mangiucchiando una merendina di nascosto.
"Credi non sappia cosa ti ha proposto Marcus?", ringhia piano, quasi sottovoce, allungando il braccio verso di me per aprire il cruscotto.
Le nostre guance si sfiorano mentre il suo sguardo nero non mi perde di vista. E Dio se mette ansia.
A dire il vero mi mette ansia anche che stia contemporaneamente guardando me, cercando qualcosa nel cruscotto e sorpassando un furgoncino del carico-scarico del mini market.
Quando finalmente recupera il suo pacchetto di sigarette ne estrae due e me ne porge una. "L'accendino è nella tasca dei miei jeans. Riesci a prenderlo?".
Fisso la sua coscia fasciata dal pantalone, lievemente in tensione mentre calca sull'acceleratore, e deglutisco.
"Ehm...", prendo tempo, sfiorando il bordo della tasca.
Insomma, è ovvio che so prendere un accendino da una tasca. Non è questo il problema. Il problema è che la tasca è la sua.
Ma perché hanno cucito le tasche così vicino a... a...
Chi è che ha inventato i pantaloni?
Sicuramente è stato un uomo. Deve essere proprio così. Ed ora si spiega perché i più grandi stilisti sono tutti maschi.
Infilo due dita e strizzo gli occhi, avanzando lentamente finché sento una protuberanza. A quel punto mi blocco, riaprendo gli occhi di scatto.
"Respira Ashley. Hai toccato l'accendino".
Sollevo lo sguardo e contro ogni aspettativa incontro un accenno di sorriso nascosto da un velo di barba.
Forse il peggio è passato. Forse ora fermerà la macchina anche se siamo in rotatoria, spegnerà il motore e mi bacerà, dichiarando di aver capito le mie motivazioni. Perdonandomi. E tutto tornerà come prima. Anche meglio. Sicuramente meglio. Ci lasceremo tutto alle spalle e torneremo a occuparci del nostro futuro. Della nostra casa con giardino e veranda. Del nostro futuro figlio.
Di sicuro non lo chiamerò Marcus.
"E come avresti voluto aiutarmi, esattamente?", torna serio, strappandomi l'accendino dalla mano.
Okay, il peggio non è assolutamente passato.
Siamo inoltre usciti dalla rotatoria, quindi non credo farà un'inversione a U per poter girare in tondo e fermare la macchina nel punto esatto che avevo immaginato.
Mi era sembrata in effetti una fantasia un po' ambiziosa...
"Volevo vincere a poker", mormorai. Tengo la faccia rivolta fuori dal finestrino, col desiderio di voltarmi verso di lui.
In tutta sincerità non so cosa mi spaventa di più: se la sua espressione o se l'insegna fosforescente del Green Grill.
"Quando Lucas mi ha detto cosa significasse l'invito di Marcus, ho pensato che se fossi andato tu al mio posto avresti rischiato di metterti nei guai e di perdere il lavoro. Così volevo aiutarti. Volevo essere io, una volta tanto, a risolvere un tuo problema. Capisco tu sia arrabbiato ma non sono una sprovveduta. Infatti ho anche seguito un corso online per principianti".
"Un cosa?".
Ma io non lo sto più ascoltando. Come al solito l'agitazione mi ha fatta partire in quarta e mi fa sragionare. Vedo solo l'insegna sempre più vicina del pub e vorrei distogliere lo sguardo ma so che se lo farò andrà a finire che mi volterò verso David. E onestamente fa meno paura l'insegna.
"A onor del vero mi aspettavo fosse più semplice questo corso", riprendo a blaterare. "Il titolo riportava la scritta per principianti ma il tizio che parlava nel video non si è nemmeno preso la briga di spiegare quali carte andassero usate. Ci sono arrivata da sola comunque, dopo una mezz'oretta. E comunque secondo me barava perché il suo avversario era una sagoma ritagliata su un cartone. Avessi dovuto vedere che faccia. Un bambino di tre anni disegnerebbe meglio. Fatto sta che dopo mezz'ora di gioco continuava a vincere lui e ho cominciato ad avere qualche sospetto".
"Così me ne sono andata a fare la pipì e quando sono tornata ho cambiato video e ne ho cercato uno intitolato -Come barare senza che il tuo avversario se ne accorga-. Se può interessarti è stato illuminante. Proprio illuminante. E molto più semplice del video precedente. Infatti in questo video il tizio non faceva altro che rimanere serio. Immobile. E questo lo so fare anche io".
"Però poi ho pensato che questo tale, essendo maschio, non indossava i tacchi. Sfido io chiunque a non fare qualche smorfia dopo due ore che si hanno addosso i tacchi. Ti viene male a tutta la parte davanti del piede, quella... come si chiama? Sì! Sì! La pianta del piede. E' un dolore terribile e se tu lo provassi finiresti col preferire i dolori mestruali o quelli che ho sentito dopo che abbiamo fatto l'amore".
"Le perdite marroncine non so se siano un bene. Ho continuato a perderle per qualche ora e ho passato il pomeriggio a lavare le mutandine per paura che la mamma scoprisse che tu sei entrato dentro di me".
"Perciò ho spento il video del poker e ne ho aperto uno sulle perdite post sesso. Dicono sia normale ma a Kate non è successo. La seconda volta che si fa sesso, comunque, non si perde più niente. Solo quel liquido bianco di eccitazione. Per alcune è trasparente. Mi piacerebbe sapere che tipo di liquido perdo e perché ad un certo punto, mentre stavi spingendo un po' più forte, mi è iniziata a scappare la pipì".
"Oddio mi scappa pure ora. Mi scappa così tanto che la farei persino dietro ad un cassonetto dell'immondizia. Solo che non ho il coraggio di chiederti di fermare la macchina. Non ho nemmeno il coraggio di parlarti, cosa che di fatto non sto facendo, perché quando hai quello sguardo da assassino mi tremano le ginocchia".
"A dire il vero lo stai facendo. Eccome", realizzo finalmente che David mi sta parlando.
Sbatto gli occhi, lentamente. "Cosa?"
Un sorrisetto sghembo lo fa apparire immediatamente meno alterato. "Mi stai parlando eccome, piccoletta".
"Mannaggia".
"E mi hai detto più di quanto desiderassi sentire", scoppia a ridere, scompigliandomi la frangia senza distogliere gli occhi dalla strada.
"Non sei più arrabbiato?".
"Oh sì!", corruga la fronte. "Lo sono eccome. Non così tanto comunque da giustificare la tua tremarella", ammicca. "Ho barato un po'".
"Hai barato un po'?".
Sbircia di lato per un secondo, ammiccando ancora. "Temevo non avresti risposto alle mie domande, perciò sapevo che mettendoti un po' di agitazione addosso avresti finito col dirmi tutto quanto".
"E' sleale", mi arrabbio.
"Diciamo che siamo pari, eh?!", frena bruscamente e si sporge verso di me per aprirmi lo sportello. "Scendi amore mio".
Fisso lo sportello spalancato, incerta. "Vuoi che continui a piedi?".
Dio, non può essere così vendicativo.
Con un cenno della testa indica un cassonetto e quando torna a fissarmi noto che sta faticando per non ruotare gli occhi. "Ti faccio da palo. Fai pipì ma sbrigati".
"Ah!". Sono ancora incerta. "Quindi non vuoi lasciarmi proseguire da sola?".
"No!", modula la voce ad una cucchiaiata di miele. "Mi combini così tanti disastri che a stento ti lascerei andare al bagno da sola, figuriamoci in una strada simile e di notte. Ce l'hai un fazzoletto?".
"Sì", annaspo nella borsetta. "Eccolo".
"Muoviti".
Mi fiondo dietro il cassonetto e dopo essermi guardata attorno con circospezione mi accuccio lasciando che l'agitazione si rovesci fuori dal mio corpo.
"David?", lo chiamo.
"Hai fatto?".
"Quasi. Lo sai che se passa la polizia ci arresta?! Stiamo facendo una cosa illegale".
"Piccola", lo sento ridere. "Io con te faccio una cosa illegale anche solo respirandoti accanto".
Mi sistemo i pantaloni ed esco dal mio nascondiglio improvvisato. "Esagerato. Manca pochissimo al mio compleanno".
"Già", si limita a commentare.
Il ché è abbastanza avvilente. Voglio dire, non è che mi aspettassi una ola o una proposta di matrimonio in grande stile con fanfara al seguito, ma nemmeno questo scarso entusiasmo.
"E poi che faremo dopo il mio compleanno?".
"Intanto fammi sistemare Marcus", taglia corto.
"E dopo?", non demordo.
"Dopo sistemo te", mi guarda storto, lasciandomi intuire che non la passerò liscia. "E ti ho già detto di toglierti quel trucco".
Prendo un altro fazzoletto e me lo passo sulla faccia, cancellando con un colpo di spugna la persona che non sono.
"Adesso mi ascolti bene", dice mentre parcheggia accanto all'insegna. "Resti in macchina e ti chiudi dentro".
"No...".
"Non era una richiesta, piccola". Toglie le chiavi dal quadro e si volta verso di me, posando il gomito sul volante. "Se vedrò il tuo bel culetto dentro il pub, te ne darò così tante che in classe dorai seguire le lezioni in piedi per tutto il resto del semestre".
Strabuzzo gli occhi. "Non lo faresti!".
"Piccola, non sfidarmi o comincio subito".
Incrocio le braccia. "Non sono tua figlia".
"E questo lo abbiamo appurato quando ti ho sfilato le mutandine", mi strizza l'occhio, complice.
Oddio ma perché deve sempre essere così eccitante quando parla?
"Credi di potermi fare quello che vuoi?".
"Sì". Allunga la mano verso la mia guancia, accarezzandola con le nocchie. "E anche questo lo abbiamo appurato quando eri stesa sotto di me".
"Mi sembra che tu appuri un po' troppe cose".
"E a me sembra che a te stia bene". La bocca ha un guizzo. Il classico guizzo che precede una risata.
"Cosa te lo fa credere?", lo sfido.
"Ummm", finge di pensarci su, quindi socchiude gli occhi, sfidandomi a sua volta. "Com'è che avevi detto? Se non sbaglio qualcosa a riguardo di ciò che ti ho fatto quell'unica notte insieme. Fammi pensare...".
Oddio no! Cos'è che gli ho detto esattamente? Perché non me lo ricordo? Perché lui invece ricorda sempre tutto?
"Ah sì!", finge brillantemente di avere avuto un'intuizione. Quindi abbassa il tono, trasformandolo in una carezza. "Le mie spinte ti hanno fatto avvicinare all'orgasmo, mia piccola. Perciò sì, cuore mio, posso farti quello che voglio". Spalanca la portiera. "Anche chiuderti nella mia macchina".
"No!", mi indigno.
Fa per richiudersi lo sportello alle spalle ma all'ultimo ci ripensa, chinandosi in avanti per potermi guardare dritta negli occhi. "Ah piccola?".
"Che cosa vuoi?", sbotto.
"Se te lo stessi ancora chiedendo, la tua eccitazione è quasi trasparente".
Oh. Mio. Dio!
"Stronzo!", esplodo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top