TI DIFENDERO' DA OGNI COSA
POV DAVID
Ciò che per lei non rappresenta né un difetto né un peso, per me invece, al contrario, è un costante tormento al petto.
Ma come cazzo si fa a vivere così?
Sul serio.
Come fanno gli altri a gestire le proprie donne? Dovrebbe essere semplice, come nei film, dove un copione prestabilito stabilisce i ruoli. Nessuna improvvisazione, nessun margine di sbaglio; l'uomo è l'uomo, la donna è la donna.
Con Ashley è più o meno così. Peccato che il mio ruolo sia quello del coglione, geloso e psicopatico. Mentre il suo è quello di un angelo.
Strattono la cravatta e annuisco di tanto con aria concentrata a quello che mi sta dicendo la professoressa di greco.
Non ho capito un'acca di quello che mi sta dicendo ma ho scoperto che se guardi tutti con aria incazzata, va a finire che non hanno il coraggio di sospettare che non li stai ascoltando neanche per sbaglio.
E la mia faccia, ora, è terribilmente incazzata.
"Santo cielo. Ho dimenticato i test sulla cattedra", si lamenta la mia collega. "Dio, che sbadata. Per fortuna sono tutti a ricreazione, altrimenti sarebbe un bel guaio...".
Ma perché questa tizia mi sta seguendo? Mica l'ho invitata.
Bè...
E poi chi si crede di essere quella ragazzina? Perché si diverte così tanto a tenermi sulle spine? Con quello lì ha impiegato meno di tre secondi ad accettare un caffè mentre con me cosa fa? La santarellina? Stavo sul serio per gettarmi in ginocchio ai suoi piedi ed implorarla di uscire con me. E se non fosse che i suoi ormoni sono così sfacciati da parlare al posto suo, lo avrei anche fatto.
Mentre raggiungo la sala caffè nell'atrio del liceo saluto i vari studenti che incontro, che come sempre non mancano con i loro modi rispettosi verso i miei confronti.
Ma che Cristo! Perché mi ha detto di no?
Tolgo alcuni spiccioli dal portafoglio e li inserisco nella macchinetta. L'erogatore attacca col suo ronzio e a quel punto mi ricordo di non essere da solo.
Mi volto e trovo la professoressa di greco ancora intenta a lamentarsi di qualcosa. Questa parla più di Ashley!
"Cosa prendi?", le chiedo cortese.
"Un caffè. Macchiato, per favore, e senza zucchero".
Tolgo il mio bicchiere e inserisco altre monete.
"Stavo dicendo", riprende.
Oddio che strazio. Sono distrutto dalla sue chiacchiere, e nemmeno l'ho ascoltata.
Non ricordo nemmeno come c'è finita accanto a me in sala professori. Me la sono solo ritrovata accanto mentre venivo qui.
"E poi oggi il succo di frutta aveva un sapore strano", si lamenta, attirando finalmente la mia attenzione.
Mio malgrado, nonostante stia imprecando mentalmente contro tutte le entità del paradiso e dell'inferno, sento nascere in me una voglia incontrollabile di ridere.
Dio! Quella bambina mi manderà al manicomio.
Ma perché non riesco a togliermela dalla testa? Che cosa ho fatto per meritarmi una simile condanna?
E' entrata nella mia vita solo con lo scopo di stravolgermela, e Dio se la odio per questo.
E' un risentimento logico dopo tutto, dal momento che non riesco più a fare niente senza pensare a lei. E' il mio chiodo fisso. E martella, martella, martella.
Dio, che fastidio!
E mentre continua a martellare e a fracassarmi il cranio, il suo no continua a logorarmi dentro.
A me, no. E a lui, sì.
Ma io lo ammazzo a quello!!! Lo distruggo.
Sto giusto pensando a tutti i metodi che conosco per vendicarmi lentamente quando il falso sorriso che ho impostato sulle labbra mi muore completamente.
Vuoto. Vuoto assoluto.
La mia mente si svuota di ogni cosa, riempiendosi solo di lei.
Come cazzo ho fatto a dimenticarmi quanto è bella tra la sua lezione di fisica e i cinque minuti che precedono la ricreazione?
Il suo sorriso spontaneo è come un pugno in pieno stomaco.
In una frazione di secondo sento il mio cuore perdere dieci battiti.
Oh bé, per quello sono anche undici...
I miei occhi non riescono a staccarsi da lei. Mi sforzo di non guardarla mentre, circondata da alcune sue compagne di classe, procede svelta attraverso l'atrio. Ma in realtà le ho già fatto una completa radiografia.
E' un incanto.
Indossa una giacca di pelle sopra una canotta assurda che nasconde molto bene le sue curve, due orecchini minuscoli che trovano nascondiglio sotto una massa di capelli ondulati e un sorriso che è un'istigazione a delinquere. Le scarpe basse non la slanciano affatto, ma almeno non rischiano di farla cadere ad ogni passo, cosa che comunque riesce benissimo a fare ogni volta che cammina troppo in fretta. Tra le mani sta facendo tintinnare degli spiccioli.
Ma allora lo fa a sposta!
Cos'è che non le è chiaro che il caffè sarò io ad offrirglielo?
Perché deve fare sempre di testa sua? Perché non mi da retta come tutte le altre donne?
E' sempre stato facile: incontravo una ragazza, le dicevo cosa volessi, lei sbatteva gli occhioni e ribatteva con un sì.
Ma lei no, ovviamente. Lei deve essere testarda anche sulle cose più insignificanti.
"Me lo passi, per favore?", sento la voce stridula della professoressa di greco.
La fisso corrucciato, strappando via a forza gli occhi dalla mia bimbetta. Che palle questa! Perché poi è ancora qua accanto a me?
"Cosa devo passarti?", chiedo.
"Il mio caffè".
"Quale caffè?".
La donna indica l'erogatore e proprio in quel momento mi rendo conto che ha smesso di ronzare.
"Ah, già. Scusami, mi ero distratto". Mi piego sulle ginocchia per recuperare il bicchiere di plastica.
"Stavi guardando la signora McBerry, non è così?".
La mano mi si immobilizza sul bicchierino. Merda. Merda. Merda.
Con finta nonchalance mi rivolto verso di lei e le passo il caffè. Non riesco a ribattere. Non so nemmeno cosa ribattere. So solo che sto sudando.
"Sembra una santerellina", riprende con un sospiro, "eppure sono certa che dietro la sua aria da brava ragazza si nasconda la vera colpevole".
Mi faccio ancora più attento. Dov'è che vuole arrivare esattamente, questa qui?
"Una volta l'ho vista entrare in aula di francese e, credimi, l'ho colta sul fatto: stava sbriciolando tutti i gessetti".
"Sul serio?", dico noncurante, bevendo un sorso di caffè per non scoppiare a ridere.
"... sono certa che la professoressa di francese mi odia. Infatti ho messo in giro la voce che sia piena di forfora e ogni volta che non se ne accorge le spruzzo un po' di gesso sulla giacca, così impara...".
Devo ignorare le parole di Ashley. Devo restare serio.
"E guarda caso la vedo sempre gironzolare davanti alla segreteria", continua imperterrita, ignara che io sia già al corrente di tutto e che se continua a parlare male della mia Ashley le farò pentire anche solo di aver deciso di respirarmi accanto.
Fingo stupore. "Chissà come mai?".
"Sono certa ci sia lei dietro i furti delle monetine", sentenzia a bassa voce, guardando la mia piccola in cagnesco.
Fisso lei e i suoi occhietti schifosamente accusatori e dentro di me scoppia il finimondo.
E' il caos più totale.
La mia rabbia diventa un'arma carica, puntata possibilmente contro il cervello di questa stronza.
Come osa sospettare di una ragazzina come Ashley? Il fatto che abbia ragione è ovviamente un altro paio di maniche.
"Forse, e ripeto forse, dovresti essere certa di quello che dici prima di sputare sentenze. Sai? Qualcuno potrebbe pensare che tu sia una donna acida".
La sua testa scatta verso di me, allucinata e in preda ai sensi di colpa. "Mi dispiace, io non volevo accusare nessuno. Hai capito male".
Le sorrido nervoso per un istante. "Caso mai sei tu che non ti sei spiegata bene".
"E' logico che non posso sapere con certezza che sia stata lei", rigira la frittata. "Dico solo che trovo sospetto il fatto che si aggiri sempre davanti alla segreteria".
Bevo l'ultimo sorso di caffè e getto il bicchiere vuoto nel cestino.
"Anche io trovo sospetto il tuo continuo arrivare in ritardo alle riunioni. Se fossi malignetto potrei pensare che è dovuto al fatto che ti piace nasconderti nel cortile a bere vodka".
Nonostante il fondotinta, la sua pelle sbianca. Si guarda attorno, mortificata, quindi torna a me. "Io... io non...".
"Ma non mi sognerei mai di avere un simile sospetto su di te", la sfido, ironico. "A meno che tu non continui a tormentare la mia...", mi blocco in tempo, mordendomi la lingua, "... studentessa. Ed ora, se non ti dispiace, dovrei discutere di questioni urgenti con i ragazzi dell'ultimo anno".
"Ma... certo", blatera paonazza. "Mi dispiace... io... certo. Vai. Vai pure".
Mi sistemo il nodo della cravatta, ispirando lentamente per calmare la rabbia. E adesso dov'è finita Ashley?
Ispeziono l'atrio e la trovo intenta a chiacchierare con Kate e il ragazzo di stamattina. Si tiene in disparte, quasi intimidita dalla conversazione, completamente assorta nei propri pensieri.
Se potesse sentire i miei, di certo si allontanerebbe alla svelta da quel tipo che, ancora non lo sa, ma ha appena formato la sua condanna a morte.
Reverenziale inclino la testa in segno di saluto. "Con permesso".
"A più tardi", borbotta la mia collega, puntando le scale.
Dio, era ora che si togliesse dalle palle.
Quindi mi affretto nell'atrio, facendomi largo tra l'accozzaglia di studenti e ignorando le diverse persone che mi chiamano per nome.
Qualcuno mi tocca un braccio, cercando di attirare la mia attenzione, ma io continuo deciso a procedere tra gli studenti.
Quel bastardo le sfiora il polso e lei scoppia a ridere. E io fremo dalla rabbia. L'adrenalina esplode in mille pezzi dentro di me, rimescolandosi con il buonsenso. Mandandolo a puttane. Non so nemmeno cosa sto facendo. Non so niente di niente.
So solo che voglio lei. Con me. E possibilmente lontana chilometri interi da lui.
Affretto il passo, senza toglierle gli occhi di dosso, e avanzo. Qualcuno mi si para di fronte togliendomi per un momento la visuale e io lo scanso senza neanche guardare chi sia. Avanzo ancora. Avanzo veloce. Avanzo furibondo.
Finché sono davanti a loro.
La fisso. Lei fissa me. Merda, anche i suoi amici mi fissano.
"Salve", mi saluta titubante Katia. O era Kate?
La ignoro. Non la saluto nemmeno. Voglio solo prendermi Ashley e portarla via. E magari trovare qualcosa da dire che giustifichi la mia presenza qui. Quindi, malvolentieri, dedico un po' della mia attenzione al moccioso.
"Qual è la tua classe?", chiedo severo.
Con la coda dell'occhio vedo Ashley sbiancare e mimarmi "non osare" con le labbra.
"Quinta D, professore", mi risponde in soggezione.
"Ecco. Vacci", lo invito, indicandogli le scale con un segno sgarbato della mano.
"Ma? La ricreazione non è ancora finita".
"Decido io quando la tua ricreazione è finita. E ho deciso che è finita cinque minuti fa".
"Perché?", si indigna.
Perché? Dio, sono così furioso che non riesco nemmeno a pensare razionalmente. Perché. Adesso vuole sapere perché. Tocca la mia bambina e poi si chiede come mai la ricreazione è finita.
Okay, calma. Ha detto di essere della quinta D. Che ha fatto l'ultima ora la quinta D?
Oh... il test di greco, con la stronza.
E quindi? Non è mica una giustificazione per averlo trattato in modo così sgarbato. A meno che...
A meno che...
No.
Non ne sarei capace. Nemmeno tra un milione di anni.
Paralizzato da un'improvvisa eccitazione, penso alle varie implicazioni che comporterebbe la mia idea malsana mentre la vocina angelica di Ashley rimbomba nella mia testa come un mantra:
"Ho accettato di bere un caffè con lui".
"Ho accettato di bere un caffè con lui".
"Ho accettato di bere un caffè con lui".
"Ho accettato di bere un caffè con lui".
Mescolandosi a quella della stronza:
"Sono certa ci sia lei dietro i furti delle monetine".
"Sono certa ci sia lei dietro i furti delle monetine".
"Sono certa ci sia lei dietro i furti delle monetine".
"Sono certa ci sia lei dietro i furti delle monetine".
Cazzo, sì che ne sarei capace. Eccome!
"La professoressa di greco mi ha appena spifferato di aver dimenticato i test sulla cattedra. Sbrigati, moccioso".
Gli occhi del ragazzo si spalancano. Ha capito. Bè, almeno non è stupido come sembra.
"Oddio, grazie prof. Grazie. Grazie".
"E vattene. Muoviti", lo sgrido.
"Grazie, grazie", continua, retrocedendo velocemente.
"See...", sbuffo.
"Oh, come è stato carino e gentile", si compiace Katia/Kate. "Non aveva praticamente studiato ma grazie a te potrà andare a rimediare prima che torni la prof".
Ma cosa cristo mi è passato per la testa? Questa situazione sta diventando paradossale.
Si presupponeva che dovessi schiacciare questo moccioso come il microbo che effettivamente è, non parargli il culo e assicurargli un ottimo voto in greco.
Ma come si fa, dico io?
E poi cosa farò. Andrò a stringergli la mano e a complimentarmi per il bel voto?
Ma vaffanculo!
"Già, proprio carino", borbotta Ashley, le braccia incrociate al petto e un sorriso glaciale sul suo bel musetto.
La fisso di rimando, serio, impassibile. Quindi con un gesto della testa quasi impercettibile le indico la sua amica.
"Quanto sa?".
"So tutto, stia tranquillo", mi risponde la sua amica, eccitata come una bambina davanti ad un nuovo giocattolo.
"Professore", interviene Ashley, irrigidita da un evidente nervosismo. "Come mai qui? Le serve qualcosa?".
Mi guardo attorno, valutando velocemente a quanta distanza ci troviamo dagli altri studenti.
"Mi servi tu. Ma dato che al momento non posso averti...".
Le sue guance cambiano immediatamente colore mentre, pur di sviare il mio sguardo, lascia vagare gli occhi contro le schiene degli studenti più vicini.
Nessuno sta facendo caso a noi, ovviamente.
"Signorina McBerry", la richiamo, dandole del lei per non rischiare.
"Sì, professore?", risponde, continuando ad evitarmi con lo sguardo.
"Ora se lo ricorda il nome di quello li?".
"Professore... la smetta", ringhia, prendendo per mano la sua amica. Le guance arrossate per la frustrazione di non poter parlare liberamente e rispondermi per le rime. Dio, è adorabile.
"Andiamocene", spintona la sua amica.
Sì! Certo!
"Non credo di avervi dato il permesso", guardo entrambe.
"Non deve essere geloso di Andrew", viene in suo soccorso Kate/Katia.
Andrew, eh? Andrew della quinta D. Bene.
"Zitta!", la sgrida Ashley. "E' folle".
"A me sembra solo che sia folle di te", ammicca l'altra.
Questa Katia comincia a starmi simpatica.
Così, giusto per testare quanto possa tornarmi utile, le lancio un'occhiata d'intesa.
"Scommetto che vuole parlarmi di Oscar Wilde", butto lì.
E come speravo, Katia capisce al volo il mio gioco. Si illumina tutta quanta e sorride. "Esattamente".
Con un gesto galante della mano le indico la macchinetta. "Ne parliamo davanti ad un caffè?".
"Mi sembra un'ottima idea".
Gli occhi di Ashley saettano furiosi da me a lei. Da lei a me. Dio, come è buffa quando è arrabbiata.
"Venga, Katia", ricambio il sorriso, composto. "Ah, e inviti pure anche la signorina McBerry".
"Mi chiamo Kate", esplode la sua amica. Mi si affianca e tra i denti mormora: "Lo tenga a mente se vuole ancora che le faccia da palo per bere un caffè con Ashley".
Resto impassibile, come se non avesse parlato, facendo un segno di saluto al professore di matematica che, senza alcun sospetto, ci passa accanto per andare in cortile.
"Lo terrò a mente", concedo infine, quando il mio collega si è sufficientemente allontanato. Devo ricordarmi di appuntarlo da qualche parte.
Quindi mi volto verso Ashley e senza dare nell'occhio le ammicco soddisfatto, guadagnandomi il suo sguardo furibondo.
Cos'è? Pensava davvero che non avrei trovato il modo per offrirle un caffè?
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