PAUSA DI RIFLESSIONE
POV ASHLEY
Assurdo!
Com'è possibile che non abbia un profilo Instagram? Chi è che al giorno oggi non lo possiede? Poi uno come fa a spulciare nella vita degli altri?
A parte i numerosi articoli di giornale e le interviste locali ho scovato solo un banalissimo profilo facebook che non aggiorna praticamente da tre anni. Nella sezione informazioni risulta perfino ancora fidanzato con una certa Jessica Torbella.
Uhm... chissà com'è?
Spinta da una masochistica curiosità apro un'altra scheda sul pc e digito il nome. Come vuoi mai che sia? Al massimo sarà una brunetta scialba e attempata, o una bionda finta con la ricrescita lunga due centimetri.
Il suo profilo facebook mi si apre davanti agli occhi: è aggiornato alla data odierna e in copertina spicca la foto di una ragazza che abbraccia un labrador nero. L'espressione seriosa mi fa intendere che non deve passarsela bene. Parlo dell'espressione del cane ovviamente. Perché ancor più ovviamente lei è sorridente e perfettamente a proprio agio davanti all'obiettivo. Talmente a proprio agio che sembra stia posando per una rivista di profumi. I capelli sono scuri e tagliati appena sotto le orecchie da cui pendono degli orecchini di perle. Darle un'età è impossibile perché la foto è stata chiaramente ritoccata da Photoshop, ma il mento alto e la posa delle spalle la catalogano direttamente tra le trentenni affermate e sicure di sé. La camicia bianca col colletto inamidato e i bottoni tesi all'altezza del petto sono il colpo di grazia.
Questa ragazza sembra uscita dalle copertine di Donna moderna!
E' questo il genere di donna che piace a uno come David?
Ma certo che è così. Ho visto abbastanza programmi alla tv per sapere le regole basilari per piacere a un uomo. E' una questione di linguaggio del corpo, di immagine e occhiate seducenti. Cose che quella Jessica ha avuto almeno trent'anni per studiare e provare fino alla perfezione. Cose che a me invece mancano completamente.
Vado allo specchio appeso all'anta dell'armadio e, per la prima volta da quando esco con David, mi guardo con occhio critico e oggettivo.
E subito me ne pento. Era meglio non sapere.
Innanzitutto, la mia maglia con le stampe non è che mi doni molto. La infilo sotto la gonna svasata e arrotolo l'orlo per accorciarla di qualche centimetro... come facevo in terza media di nascosto dalla mamma.
Okay, può andare. Potrebbe andare.
Ora mi basta solo un quintale di fondotinta per invecchiarmi il volto e un altro quintale di mascara per rendere lo sguardo più seducente.
E per finire il linguaggio del corpo. Perché intendiamoci, entrare in classe a testa bassa e incespicare tra gli zaini degli altri studenti non è che dica poi molto, tranne forse che sono rincoglionita.
Mi fisso attentamente, cercando di ricordare cosa c'era riportato in quell'articolo che avevo scovato qualche tempo prima su un giornaletto di Lucy Anderson: come sedurre un uomo.
Per almeno dieci minuti non faccio altro che provare varie espressioni e impostare labbra, occhi e fronte come indicato dal giornaletto.
Col risultato che alla fine sembro una con una paralisi alla bocca.
Cerco di aggiungere al tutto una risata seducente e a voce alta faccio diversi tentativi.
Il risultato ora è che sembro una deficiente con una paralisi alla bocca.
Non sono certa che riuscirò mai a raggiungere i livelli di quella Jessica.
La mamma si ferma sullo stipite e sbircia in camera mia, cogliendomi in flagrante. "Hai male ai denti?"
Ecco, appunto!
Non funzionerà mai.
"Stavo cercando di scrocchiare la mandibola", borbotto, afferrando lo zaino e abbassando lo schermo del pc.
Le sue sopracciglia si sollevano. "Okay. Senti, vuoi un passaggio a scuola?".
"Grazie", accetto, dato che ormai la corriera è senz'altro già passata.
"Allora muoviti, ho lezione alla prima ora".
Ci avviamo lungo la tangenziale, trovandola incredibilmente sgombra nonostante l'orario, canticchiando una canzone che passano alla radio e smangiucchiando caramelle gommose.
"E' una cosa che mi mancava da morire", commenta mentre stiamo entrando nel parcheggio riservato ai professori.
"Che cosa?".
"Questo", indica il pacchetto di caramelle rovesciato sul cruscotto e poi scala la marcia. "Tuo padre non voleva mai che si mangiasse in macchina".
Storco la bocca. "Che pignolo".
"Un pignolo brontolone", sbuffa.
"Come era andata poi la vostra cena? Non me lo hai più raccontato".
"Non te ne ho parlato perché effettivamente non c'era molto da dire".
"Quindi è andata male".
"No, non direi". Ci pensa su e toglie le chiavi dal quadro. "Mi è servita invece".
Richiudo lo sportello e metto lo zaino a tracolla, cercando di ignorare le occhiate degli altri studenti. Al diavolo! Che guardino pure. Non ho certo scelto io di essere la figlia di una professoressa. Né l'amante di un altro professore. E' ma questo ora cosa centra?
"A cosa ti è servita?", riprendo una volta raggiunto il cortile anteriore.
"A smettere di costruirmi castelli in aria. E' finita", sentenzia tranquilla. Troppo tranquilla.
La guardo di sottecchi; non me la racconta giusta. Di solito una frase del genere è preceduta da lacrime e imprecazioni. Cos'è cambiato?
"E la cosa ti lascia indifferente?", indago.
"No", sorride a qualcuno e torna a guardarmi. Gli occhi sono liberi da qualunque tormento. Sono calmi, quasi sereni. "Mi lascia libera. Voglio rifarmi una vita e finché me ne resterò in un angolo ad aspettare che tuo padre ritorni, cosa che per certo non farà, non sarò mai libera di farlo. Ha scelto una vita senza di noi e noi ce ne costruiremo una senza di lui".
"Mangiando caramelle in macchina", le sorrido complice, usando il suo stesso tono conciso.
Mi strizza l'occhio, mascherando una fitta di tristezza. "E cenando con i piatti di plastica".
"Brava donna!", le batto il cinque. "E cambiando le lenzuola al letto ogni due settimane".
"Be', ora non esageriamo", fa una smorfia.
Annuisco cattiva. "Lo faremo".
"Va bene", ride, arrendevole. "Cambieremo lenzuola ogni due settimane".
"E ti troverò un fidanzato".
Storce il naso.
"Bello. Ricco. Aitante", la stuzzico.
La ruga in mezzo al naso si affievolisce. "Quanto aitante?".
"Molto aitante. Uno come...".
"David!", si illumina.
"Cosa?", inorridisco. Io intendevo uno come Robert Redford. "Che centra David?".
"E' qui davanti a te", dice ovvia, scrollandomi una mano davanti al volto.
Sollevo gli occhi e scatto indietro, inciampando nei miei piedi. Merda! Il linguaggio del corpo... il linguaggio del corpo...
Le mani di David mi afferrano all'istante, stringendomi i fianchi e rimettendomi dritta. E con la stessa velocità si staccano da me.
Il linguaggio del corpo, piagnucolo dentro la mia testa.
"Buongiorno", saluta cordiale.
"Salve professore", biascico.
David osserva l'orologio al polso. "Siete arrivate presto".
"Non abbiamo trovato traffico", spiega la mamma. "Hai già preso un caffè?".
"Due", confessa. I suoi occhi si spostano verso di me per una frazione di secondo. Troppo veloci perché mia madre possa sospettare di qualcosa. "Questa notte non sono riuscito a dormire molto bene".
"Oh, come mai?", la mamma sembra davvero interessata.
Io a dire il vero un po' meno. Non posso guardarlo. Fisso disperatamente la ghiaia. E poi com'è possibile che sia così bello anche dopo una notte insonne?
Gli occhi di David tornano velocemente su di me, inchiodandomi, e liberandomi dalla potenza delle sue iridi nel giro di mezzo secondo. D'accordo, fissare la ghiaia non mi salva dal suo sguardo, quindi tanto vale implorare il mio coraggio di venire a salvarmi e darmi la spinta necessaria per sollevare un po' il mento.
"Pensieri", risponde laconico.
So che si sta riferendo a me. Lo so perché riconosco alla perfezione quel suo sguardo e quel modo di irrigidire la mascella ogni volta che è arrabbiato.
Aldilà del suo comportamento possessivo, ieri sera l'ho proprio combinata grossa. Non sono pentita di aver parlato con Andrew, ma di tutte le invettive che gli ho lanciato in auto mentre mi riaccompagnava a casa. Non sapevo nemmeno di conoscerne così tante e, a giudicare da come mi guardava scioccato, nemmeno lui. Forse mi sono a tutti gli effetti lasciata trasportare un pochino. C'è stato appunto quell'altro piccolo screzio sotto casa mia, quella cosuccia che...
Comunque è stata una cosa da nulla. Sono certa che lo pensi anche lui. Una cosa così sciocca e ridicola che non sto nemmeno qui a raccontare.
Figuriamoci...
Okay, va bene, la racconto.
Mi stava accusando per l'ennesima volta di essermi comportata male nei suoi confronti, dando confidenza a uno che vuole infilarsi nelle mie mutandine, quando per la rabbia gli ho detto che non le indossavo e che per fargli torto non le avrei mai indossate. Cosa non vera tra l'altro, ma questo ovviamente non poteva saperlo.
Infatti ci ha creduto.
E ci ha creduto così tanto che per un momento ho temuto davvero che mi scaricasse dall'auto in corsa.
Non l'avevo mai visto così alterato e ad essere sinceri il tono successivo che mi ha riservato avrebbe dovuto farmi scattare un campanello d'allarme. Quando David parla con voce bassa e quasi annoiata lo fa solo come preludio ad una forte litigata. Che per inciso non si è fatta attendere.
Ma ero nera. Davvero nera.
E per la cronaca, dopo una notte insonne, non ho ancora capito come siamo arrivati dalle mie mutande al ricordarmi che anche se io e lui non faremo sesso questo non mi autorizza a farlo con altri.
Voglio dire, la seconda parte della frase l'ho capita bene. E' la parte in cui dice che io e lui non faremo sesso che mi ha fatta uscire di testa.
Così gli ho risposto che piuttosto che perdere la verginità con lui l'avrei persa con qualcun altro che mi rispettava di più.
Non l'ha presa bene.
No. Direi proprio di no.
"Spero sia qualcosa di risolvibile", sento la voce della mamma.
Non sono certa di voler sentire la risposta, ma non è che possa incamminarmi lungo il cortile, mollandoli lì come due pazzi. Quindi deglutisco e abbasso lo sguardo.
"Lo è senz'altro. Tutto dipende dalla mia fidanzata".
Un macigno mi cade all'interno dello stomaco. Che sta dicendo? Se lo ricorda che sta parlando con mia madre, vero? Incredula lo fisso, preparandomi al peggio.
"Sei fidanzato?", si sorprende lei.
"Da poco", sorride, gelido.
"Caro!", gli fa comprensiva la mamma. "L'inizio di una relazione può in effetti portare qualche incomprensione".
Oh Dio. Non sa assolutamente che stiamo parlando di me e David. Non può saperlo.
Non sono convinta che tutta questa storia mi piaccia.
"Lo viene a dire a me? Di fatto il problema è che la mia fidanzata mi reputa troppo geloso mentre io la reputo troppo libera. Difficile dire chi dei due abbia ragione".
"A volte la gelosia fa fraintendere", mi difende involontariamente la mamma.
"O alle volte la troppa libertà ci porta a essere gelosi".
"Anche questo è vero. Una pausa di riflessione potrebbe farvi bene".
"E' quello che penso anch'io".
"Vi siete presi una pausa?", gracchio.
I suoi occhi sono subito su di me, seri. "Sì".
"Oh...", mi contorco le mani, consapevole di non poter aggiungere altro.
"Sono certo che farà più bene a lei che a me. E se alla fine capirà cosa voglio da una relazione, potrebbe anche essere che decida di perdonarla", riprende a parlare a mia madre come se niente fosse. Come se io non fossi presente.
Lo fisso paralizzata dal terrore.
Non può star parlando sul serio. D'accordo, abbiamo litigato, ma lo abbiamo fatto migliaia di volte. Non può mollarmi davanti a mia madre senza lasciarmi la possibilità di difendermi.
"Be', si sta facendo tardi", osserva di nuovo l'orologio da polso prima di guardare me, il volto deliberatamente inespressivo. "Signorina McBerry, ha lezione con me ora, non è così?".
Digrigno i denti: come se non lo ricordasse.
"Sì".
"E allora farà bene a farsi trovare in classe prima del mio arrivo se non vuole una nota di richiamo".
Per il nervosismo mi mordo l'interno della guancia, incapace di muovere qualunque altro muscolo.
"Si muova, signorina McBerry", sbotta, facendo un cenno in direzione dell'ingresso.
"Ciao, piccola", mi saluta la mamma. "E dopo le lezioni subito a casa", aggiunge con un tono di rimprovero.
"Lo so", sbuffo, voltandomi di scatto.
Il mio corpo trema per lo shock mentre mi allontano da loro, sentendo le loro voci lontane che mi rimbalzano contro.
"Non sarai stato un po' troppo severo?", lo imbecca la mamma.
"Con sua figlia?", lo sento ridere. "Mi creda, Ashley ha davvero bisogno di qualcuno che la raddrizzi come si deve".
Angosciata affretto il passo verso l'entrata, spingendo le porte a vetri e rischiando di investire alcuni studenti.
Non riesco nemmeno ad avere un pensiero coerente. In tutta la mia vita non mi sono mai sentita così totalmente, completamente umiliata.
Giuro che gli farò pentire di essere nato.
Giuro che...
La campanella suona, segnando il gong di inizio incontro. Ha detto che ci siamo presi una pausa? Bene! Lo farò impazzire, lo umilierò. Lo ripagherò della sua stessa moneta. Gli farò ingoiare quella frase.
"Lucy?", la chiamo.
Si volta svogliata verso di me. "Non lo vedi che sono impegnata?".
Dio quanto la odio. Osservo lo specchietto che tiene tra le mani e sorrido in segno di scuse. "Hai ancora quel giornaletto dell'altro giorno?".
"Quale?".
Mi sento arrossire ma non demordo. "Quello... uhm... quello su come sedurre gli uomini".
Lentamente il suo sopracciglio perfettamente disegnato si inarca verso l'alto e i suoi occhi mi scrutano critici dalla testa ai piedi. "Per quello che può servire a una come te... tieni".
"Grazie", sorrido. Stronza.
Lo nascondo in mezzo al libro di letteratura e con un sorriso arcigno comincio a sfogliarlo: sei finito David Sentfhort.
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