NIENTE SESSO

POV ASHLEY

"Sei stato formidabile. Sul serio", esulto a bassa voce, salendo i primi gradini. "Assolutamente fantastico... ripasso generale della biografia", aggiungo appena mio padre fa capolino in salotto.

"Scusami se mi sono intromesso. Ma appena ho saputo che era qui... Dio, ho solo... anagrafica completa dell'autore...".

Sbircio verso mio padre e poi in tutta fretta guido David lungo il corridoio, puntando la mia stanza. Una volta chiusa la porta alle nostre spalle mi lascio andare in una risata soddisfatta.

"Ti giuro, in tutta la mia vita... io non ho mai... non ho mai...".

"Gli ho solo fatto notare cose che avrebbe dovuto vedere da solo".

Mi passo entrambe le mani tra i capelli, ruotando felice su me stessa. "Non ho mai avuto il coraggio di dirgli queste parole, mentre tu sei entrato in casa e zac! In meno di un minuto lo hai messo al tappeto". Poi di colpo mi fermo, aggrottando la fronte. "Come facevi a ricordarti che avevo dei problemi con mio padre?".

"Come?".

"Tu ricordi tutto. Ogni singola parola che ti ho spifferato. Come ci riesci?".

"La domanda corretta sarebbe: come potrei non ricordarmi di te?".

Lo fisso incredula.

"Di me?".

"Sì, di te", ribadisce con dolcezza, accarezzandomi una guancia.

"Ma io sono solo una ragazzina senza un curriculum di vita. Tu avrai senz'altro molte altre cose di cui pensare tranne che le frasi buttate lì nel panico da una sconosciuta".

"Tu non sei mai stata una sconosciuta".

"Nemmeno la sera del terremoto?".

Mi fissa un momento in silenzio, quasi fosse in combutta con sé stesso. "Ricordi tutto di quella sera?".

"Sì... abbastanza".

"Allora ricorderai anche come sono rimasto imbambolato appena mi hai rivolto la parola".

"Sembravi in trance", mi ricordo. "Avevo pensato che forse avevi bevuto troppo".

I suoi occhi seri non mi mollano un istante. "Eri tu il mio trance".

"Io?", balbetto.

Annuisce, lento. "Sì".

"Oh! E... è una cosa buona?".

Le labbra si piegano in un sorriso. "Direi di sì. Perché è il motivo per cui sono qui".

"Sei qui perché la mia voce ti fa andare in trance?".

Sospira. "No, sciocca, sono qui per questo".

E mentre lo dice la sua mano mi afferra per la nuca, sospingendo la mia bocca contro la sua. In un attimo mi ritrovo con la schiena contro la porta, il suo petto ansante che preme contro il mio, intrappolandomi in un abbraccio.

Oddio ci siamo... oddio ci siamo...

Oddio mi manca il respiro!

La sua lingua scatta in avanti, lambendomi il labbro inferiore in una muta richiesta che accolgo all'istante, lasciandogli libero accesso. E il momento dopo il suo respiro caldo scivola dentro di me, mischiandosi col mio in un cocktail di assoluta perfezione. Sembra non aver fatto altro in tutta la vita. Sa come muoversi, sa come prendere, sa come e quando farsi strada.

Io a stento so come mi chiamo.

Mi ritraggo un momento per riprendere fiato e nel farlo incontro i suoi occhi che scavano dentro i miei per un lungo momento. Sono combattuti, in lotta contro la passione che ci ha avvolti appena ci siamo ritrovati soli in questa stanza. Sembrano volermi supplicare di allontanarmi e allo stesso tempo mi calamitano a sé, implorandomi di allungare un passo verso di lui, superando quel confine che ci siamo imposti. Un confine che in ogni caso ci fa inciampare l'uno contro l'altra.

"Dimmi di no. Ti prego", ansima contro la mia bocca. "Cacciami via. Negati a me".

"Non voglio farlo".

Sia chiaro, una parte di me non fa altro che pungolarmi, ricordandomi che al piano di sotto c'è mio padre. Ma l'altra, quella più grande e incosciente vuole David con un bisogno assoluto, invadente, quel bisogno che i poeti raccontano e i cantanti cantano.

Quel bisogno che mi fa ansimare impotente per l'eccitazione.

"Sei minorenne", cerca di ragionare. So che sta parlando con sé stesso. "Sei una bambina. Non posso toccarti".

Eppure le sue mani si inoltrano sotto la mia maglietta, percorrendomi la schiena e tirando in su la stoffa, fino a sfilarmela dalla testa. Resto in reggiseno davanti ai suoi occhi improvvisamente famelici che si tuffano nell'incavo dei miei seni, sgranandosi quando si scontrano con i capezzoli appena visibili sotto il pizzo.

Accade tutto così in fretta da non farmi nemmeno capire cosa sta succedendo. Mi sospinge delicatamente contro il letto, sovrastandomi col suo corpo mentre con gesti esperti mi sfila in un colpo solo sia i pantaloni che gli slip.

Mi si blocca il respiro per un istante, e poi riprende ad andare veloce. Sempre più veloce. Oh mio Dio! Le sue mani sono... le sue dita stanno...

"Io non so farlo". Dio, non so nemmeno io perché l'ho detto. Voglio dire, a cosa serve? Lo sa anche lui.

"Lo so", ansima contro il mio orecchio.

"Ecco, appunto, quindi...", provo a dire. Ma la sua lingua sta... oh, Dio... e le sue labbra succhiano così... oh per la miseria. Questo non c'era scritto in 50 sfumature di grigio e nemmeno su wikipedia a dire il vero.

"Aspetta", ansimo. "Aspetta, ti prego. Io non lo so".

David si solleva su un gomito, fissandomi urgente. "Cosa? Cosa non sai?".

"Non so cosa fare".

Un mezzo sorriso gli incurva le labbra. "Lascia fare a me".

E subito la sua lingua torna a lambirmi la clavicola. E' troppo. Non ho mai provato niente di neanche lontanamente simile.

"David. David... David", cantileno. "Sul serio, non so cosa stai facendo".

"Sto cercando di farti bagnare". Mentre sta parlando la sua mano scivola contro il mio stomaco, fermandosi tra le gambe. Quando arriva alla meta un sorrisino soddisfatto torna a impreziosirgli l'espressione concentrata. "Direi che ci sto riuscendo".

"Okay, è solo che... no, niente".

Si nuovo si solleva leggermente, sorreggendosi su un gomito.

"Cosa c'è?", domanda dolce, nonostante la frenesia.

"E' solo che io non so usare la frusta o quelle cose lì".

Si stacca ancora un po' e mi fissa. "La frusta?"

Sento le guance andare a fuoco. "Sì, bè, sai... quelle cose che a voi uomini piacciono tanto. Non ho nemmeno un reggiseno in cuoio o un vibrato...". Vedendo la sua espressione mi blocco all'istante. "Lascia perdere, scusami. Dimentica quello che ho detto. Era una stupidaggine".

Ma lui continua a fissarmi, tra l'eccitato e il divertito. "No, continua ti prego. Sono interessato. Sul serio. Che cosa avevi in mente di fare esattamente con un vibratore e un frustino?".

"Non lo so", ammetto.

"Vorresti che usassi un frustino su di te?".

Perché ho aperto bocca? Perché?

"E' questo il punto: io non so usarlo. Io non so fare niente di quello che piace a voi uomini".

Per un momento rimane in silenzio, accarezzandomi la guancia con n dito. "Tu sai cosa piace a me?".

Scrollo la testa e di colpo la sua scompare dalla mia visuale, intrufolandosi tra il mio seno.

"Allora permettimi di mostrartelo".

Mi sfugge un gemito appena la sua lingua traccia un cerchio attorno al mio capezzolo. Occhi negli occhi, i suoi non mi perdono di vista, registrando ogni mia reazione.

"Non ti servirà nessun giochetto per farmi uscire di testa", mi accarezza il fianco. "Sei già riuscita a farlo nel momento esatto in cui mi hai concesso di amarti".

POV DAVID

"Quindi avete fatto sesso?".

"No, Lucas, per la ventesima volta, no".

Mi passa un altro bicchierino pieno di liquido ambrato, facendolo strisciare lungo il bancone del bar. "Bevi".

"E' il quarto", rifiuto.

"Appunto... bevi".

"Sono a posto così".

"David?".

"Sì?".

"Bevi".

Ruoto lo sgabello verso di lui. "Cos'è che vuoi esattamente? A parte rompermi le palle come al tuo solito, si intende".

"Voglio solo sapere se mi stai dicendo la verità".

"E devi ubriacarmi per riuscirci?".

"Sai come si dice: in vino veritas...".

Tragugio l'intero contenuto ambrato e sbatto il bicchierino sul bancone. "Non ho fatto sesso con Ashley".

La barista si avvicina, pulendo il bancone con uno strofinaccio umido. "Vi porto altro?".

"Un daiquiri per lui", ordina Lucas, "e il tuo numero di telefono per me".

La risata della ragazza è assolutamente civettuola. Sarebbe anche carina se non avesse coperto il volto da uno strato di fondotinta. Ad essere sincero amavo le donne come lei: procaci, sensuali, femminili in ogni movenza. Ma ora, mentre la guardo, mi viene solo da ridere.

"Vuoi solo il mio numero o gradiresti anche del resto?".

"Quello lo lasciamo decidere al fato, che ne dici?".

La ragazza si piega sul bancone, mettendo in bella vista un seno prosperoso, trattenuto a stento dal grembiule attillato. Sia io che Lucas allunghiamo il collo per goderci il panorama e poi ci scambiamo un'occhiata cameratesca giusto in tempo per non farci cogliere sul fatto.

"Tieni", gli porge un bigliettino ripiegato su sé stesso. "Aspetto una tua chiamata. Ci conto, eh?".

Con un sorriso soddisfatto Lucas la osserva ancheggiare dietro il bancone, accartoccia il biglietto e lo lascia cadere sotto lo sgabello.

"Perché?", chiedo, guardando il pezzo di carta che giace in una piccola pozza di birra.

"Non mi piace".

"E allora perché le hai chiesto il numero?".

"Volevo sapere se io piacevo a lei".

Scrollo la testa. "Il tuo ego fa proprio schifo".

"Lo so. Ma d'altra parte sono un uomo occupato".

"Tu?", lo fisso scettico.

"Okay, forse non lo sono a tutti gli effetti".

"Stiamo parlando di Mary Anne", attacco titubante, "o di qualche altra donna?".

"Sempre lei".

Gli stringo il braccio quando prova a liquidare il discorso voltandosi verso due morette che si sono sedute accanto a noi.

"Che c'è esattamente tra te e lei?".

"Un marito".

Mi faccio attento. "Non si erano lasciati?".

"Diciamo che lei chiederà il divorzio solo se...".

"Ecco il daiquiri!", esordisce la cameriera.

Che palle. E vattene!

"Allora?", lo incalzo, alzando il tono per farmi sentire, appena la cameriera si dilequa.

La musica sta cambiando genere e la pista si sta riempiendo di ragazzini. Li fisso per un momento, cercando di capire in che modo la moda sia potuta cambiare così tanto da quando io andavo al liceo. Non è che siano passati vent'anni...

"Mi ha fatto un ultimatum", risponde vago.

"Che genere di ultimatum?".

"Se non la sposerò, lei non lascerà il marito".

"Ma che cazzo...? E' uno scherzo!?".

"Non solo non è uno scherzo", affloscia le spalle, "ma a quanto pare vuole andare a parlare anche con mio nonno".

Lo fisso allucinato. "Lo sa che non hai sedici anni, vero?".

"Lei è fatta così: prendere o lasciare".

"Quindi l'hai lasciata", tiro le conclusioni.

"Non proprio".

"Cosa cazzo stai dicendo?", il mio tono è così sconvolto che sembra una parodia di Joss Weddon.

"Senti, tu sei l'ultimo che può giudicarmi".

"E per quale ragione?".

Si stringe nelle spalle, ovvio. "Ti sei innamorato di una ragazzina. Lo credo che l'idea del matrimonio non ti sfiori nemmeno".

"Veramente a me, per sfiorarmi mi sfiora. E' a lei che...", lascio la frase in sospeso.

"Che ci sta succedendo?", piagnucola, allungando le braccia in avanti per nascondere il volto.

Gli do una pacca sulla spalla per consolarlo, poi imito il suo gesto, sbattendo la fronte sul duro legno. "Ci siamo lasciati fregare dalle donne".

"Ci hanno in pugno".

"E almeno tu ci puoi fare sesso".

"Quindi tu e Ashley...".

"No, no e no. Devo solo trovare la forza di aspettare quattro mesi e poi, cazzo! Poi non la faccio uscire dalla mia camera per settimane intere".

"Andrai avanti a forza di seghe finché non sarà maggiorenne?".

Sbatto di nuovo la fronte sul bancone. "Che altro potrei fare? Se faccio sesso con lei rischio più galera di quanto ne stia già rischiando ora per averle solo offerto un gelato".

"Era una cena".

"Hai capito cosa intendevo dire". Sospiro e il mio alito caldo sbatte contro il polso di Lucas. "L'amore fa schifo".

"Lo credo che poi dicono che quando ti fidanzi non scopi più. Guarda noi. Siamo la prova lampante che questa teoria non è campata in aria".

"E vuoi sapere cos'è la cosa più assurda?", domando retorico, sbirciando il suo volto da sopra il gomito. "Che Ashley fa di tutto per provocarmi. Mi fa uscire di testa. Quella ragazzina mi eccita senza neanche rendersene conto".

"Tipo?", sbuffa comprensivo.

"Tipo piegarsi a novanta davanti a me per raccogliere qualcosa, leccarsi le labbra mentre le sto parlando. Oh! Questa devo proprio dirtela. L'altro giorno stava nella mia macchina e io le stavo facendo un po' di scuola guida e lei ha cambiato marcia".

La sua fronte, premuta contro l'avambraccio, si corruga come quando si rimane così sorpresi da non sapere come ribattere.

"E che c'è di così provocante?", sentiamo la voce della cameriera sopra le nostre teste.

Con uno scatto torniamo a sederci composti, parlando contemporaneamente. "Che c'è di provocante?".

La ragazza ci fissa, scrollando la testa. "Onestamente non lo so".

"Ha impugnato la marcia con la mano", le spiego, guadagnandomi un'occhiata comprensiva da parte di Lucas e una scettica da parte della cameriera.

"Non sapevo si potesse cambiare con i piedi".

"L'ha presa tutta in mano?", Lucas è sconvolto.

"Tutta", gemo. "L'ha strizzata nella sua mano e poi l'ha persino accarezzata".

"Vuoi uomini non siete normali", ci liquida di nuovo, sparecchiando i bicchieri vuoti davanti a noi.

"Tu non capisci", la fermo. "Voi donne ci provocate in continuazione e noi uomini dobbiamo fingere di nulla".

"Poi va a finire che voi ve ne andate tranquille a casa e noi restiamo tutta la notte con un male incredibile alle palle", aggiunge Lucas.

"Questo, magari, non l'avrei detto", lo riprendo in un mormorio.

"Non sono io a dirlo ma i testi medici".

"Sei un dottore?", la ragazza si illumina tutta.

"Un ginecologo".

La sua espressione cambia repentina, tramutandosi in sdegno. "Ora è tutto più chiaro".

"Dobbiamo tenere alta la guardia prima che ci colpisca", recita arcigno. "Dobbiamo tenere monitorati i nostri sogni ad occhi aperti".

"Dio, parli come se stesse per arrivare Freddy Krueger".

"Sta arrivando", l'apostrofa, minaccioso.

"Freddy Krueger?", lo fissa scettica.

"La nostra totale disfatta. Ci ritroveremo come quegli uomini senza palle che passano le serate a messaggiare con le proprie fidanzate senza più riuscire a godersi una pinta di birra in santa pace con gli amici".

Il mio cellulare emette un bip proprio in quel momento e due paia di occhi si schiantano su di me.

Sorrido imbarazzato. "Sicuramente è mia sorella".

Abbasso lo sguardo sul display e il sorriso mi si allarga involontariamente sulle labbra.

"Non è mia sorella", gongolo.

"Che ti dicevo?", polemizza Lucas.

Da: Ashley McBerry

Venerdì, ore 23.25

Testo: Ho il sospetto che tu non mi stia pensando. Smentiscimi!

Scoppio a ridere e digito velocemente la risposta.

Da: David Sentfhort

A: Ashley McBerry

Venerdì, 23.27

Testo: Ti penso così tanto che parlo di te anche con le cameriere. David.

Non ho nemmeno il tempo di mettere via il cellulare che la bustina dei messaggi lampeggia di nuovo.

Da: Ashley McBerry

Venerdì, ore 23.28

Testo: Stronzo!

Il sorriso mi passa all'istante. Com'è possibile che sia riuscito a farla incazzare con un solo messaggio? Che problemi hanno le donne?

"Problemi?", si informa Lucas.

"Vado a fumare una sigaretta".

Mi alzo ed esco dal locale, cercando un punto nel parcheggio poco affollato dai ragazzi che si stanno mettendo in coda per entrare, esibendo le carte d'identità al buttafuori. Un po' li invidio: sono quasi dieci anni che a me non chiedono più un documento.

Compongo il numero di Ashley e lei mi risponde dopo una lunga serie di squilli.

"Che stavi facendo?", sbotto.

"Cambiavo l'acqua al pesce rosso".

"Il tuo pesce rosso è morto l'anno scorso", le ricordo.

"Cacchio...", si arrende. "Non volevo risponderti".

"Questo lo avevo intuito".

"Perché sei sempre così stronzo?", bisbiglia.

"Perché stai bisbigliando?".

"Perché sono sul divano con mia madre e si è appena addormentata".

Accendo una sigaretta e aspiro lentamente il fumo. "Che fate sul divano?".

"Guardiamo una replica di Buffy".

"Che stagione?".

"Tu sai cos'è Buffy?", si sorprende.

"Guarda che non ho novant'anni".

La sua risata, seppur bassa, mi riempie le orecchie come una musica stupenda. "Lo so. Ma non pensavo fossi appassionato di vampiri".

"Non per mettere il culo nelle pedate, ma vorrei ricordarti che saresti arrabbiata con me".

"Ah, già. Vero. Sei proprio uno stronzo".

Butto fuori uno sbuffo di fumo. "Questo lo hai già detto. Mi sfugge il perché".

"Perché parli alle cameriere".

Stringo le labbra per non scoppiare a ridere. Ecco qual è il problema! Ashley è gelosa. Di me!

Oddio, mi viene da ridere.

"Parlo sempre alle cameriere. Sai, per ordinare da bere".

"Non prendermi in giro".

"Non lo sto facendo".

"Sì, invece. Prima hai detto che stavi chiacchierando".

"Sì".

"Lo vedi allora che sei uno stronzo?".

Una risata mi scappa prima che possa trattenerla.

"Stai ridendo di me", mi accusa, alzando di poco il tono di voce.

"Non di te".

"E di cosa allora?". Anche se non la vedo la posso immaginare ruotare gli occhi.

"Della tua gelosia". Rido ancora.

"Io? Gelosa? Di te?".

"Sì".

"Sei folle".

"Sei così gelosa che ti sfugge l'ovvio".

"E quale sarebbe questo dannatissimo ovvio", mi fa il verso.

Dio, se l'avessi qua...

"Che ho parlato ad un'altra donna di te. Solo di te".

"Ashley, chi è al telefono a quest'ora?", riconosco la voce della madre.

"Niente mamma, è solo Kate", le risponde. Poi torna a me. "Devo andare".

"Ci vediamo domani per la lezione di recupero", la saluto, incamminandomi nel locale.

"Buona notte".

"A te, piccola".

Chiudo la chiamata e raggiungo Lucas.

"Tutto okay?", si informa.

Annuisco e prendo posto sullo sgabello. "Hai pagato?".

"Sì". Poi si guarda attorno furtivo e apre un lembo della giacca. "Guarda qui?".

Due bicchieri da collezione fanno capolino nella tasca interna. "Cazzo, sono bellissimi".

"Andiamo, và".

Ci incamminiamo verso l'uscita dove due buttafuori stanno controllando alcuni ragazzini per accertarsi che non abbiano fatto furti.

"Porca puttana", impreca Lucas, "stanno facendo dei controlli".

"Stai calmo".

Ci incolonniamo dietro alcune ragazzine, guardandoci attorno. Se ci beccano siamo fregati.

"Aprite le borse", ordina loro un buttafuori.

Controllano all'interno e poi le lasciano passare. Tocca a noi. Merda.

"Fermi". Un buttafuori ci si piazza davanti, allungando le mani verso le nostre giacche. "Dobbiamo controllare...".

Ma l'altro lo blocca, affiancandolo. "Ma cosa perdi tempo con loro? Non lo vedi che non sono due ragazzini? Mica rubano...".

Lo fisso offeso, scrollando la testa. "E' il colmo".

"Mi... mi scusi, signore". Mi guarda in faccia, registrando la mia età. "Non avevo fatto caso a...".

"Per questa volta passi", sbotta Lucas, sorpassandolo.

I nostri occhi si incontrano complici e un sorriso appena nascosto ci fa tornare indietro nel tempo, a quando anche noi pensavamo al futuro come a qualcosa di molto lontano.

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