MCBERRY... venga a casa da me


POV ASHLEY

"La colazione!", la voce della mamma è esasperata.

Richiudo la porta di casa e faccio dietro front. L'orologio della cucina segna quasi le otto perciò mi getto contro il tavolo, arraffando due brioches.

"Dove vai così di fretta?", indaga, assottigliando gli occhi dietro le spesse lenti da miope.

"Dove gnuoi che vadga?", mastico a bocca aperta. Deglutisco e controllo nuovamente l'orologio. "A scuola, no?".

Mi indica. "E ci vai vestita così?".

"Che ho che non va?".

"Tu non usi la gonna!".

"Invece sì".

"L'ultima volta che l'hai messa avevi sedici anni".

"Cioè l'altro ieri", sorrido sarcastica.

"Ti piace qualcuno".

"Oddio...", sbuffo. Riecco questa storia.

Intendiamoci, io vado d'accordo con mia madre. E' lei che ha difficoltà a capire che certe confidenze di prima mattina tendono a concludersi con lei che piange o con una nota di ritardo sul mio registro.

"Ieri sono stata al colloquio con il tuo professore ed è rimasto molto sorpreso quando gli ho fatto presente questo mio sospetto".

La fisso, incapace di parlare.

La ucciderò per questo. L'ammazzerò.

E David ucciderà me. Ne sono sicura. Appena entrerò in classe mi farà ingoiare tutti i gessetti della lavagna.

"Qu...qu...qu..", oddio, non riesco neanche a parlare. Devo darmi una calmata. "Qu... quanto era sorpreso?".

La mamma stringe le labbra, pensandoci su. "Be', non più di tanto a dire il vero. Ma ha palesato una certa preoccupazione quando gli h nominato quel Jason. Sai, il ragazzo con cui sei uscita...".

"Grazie, mamma, credo di ricordarmelo".

"Sì, insomma, quando gli ho detto che potresti avere un interesse verso Jason o Trevis, si è attivato molto per descrivermeli e...".

Non è vero. Non gli ha detto così. Sono spacciata. Finita.

"... ti dirò, quei due ragazzi non gli hanno fatto una bella impressione...".

Lo credo, accidenti!

"... e infatti vuole parlarti a riguardo".

Con le ginocchia irrigidite mi lascio cadere sulla sedia. Non ho vie di scampo. Non oso nemmeno immaginare cosa stia pensando David. Non che del resto serva chissà quanta immaginazione. Starà sicuramente pensando a cose del tutto sbagliate. E ora come glielo spiego che mia mamma è solo paranoica? Ma porca miseria! Non posso certo andare da lui e dirgli: "Trevis? Chi è?". Oppure "Trevis è in classe con me? Davvero?".

Rassegnata riacciuffo lo zaino e con le spalle chine in vanti trascino i piedi fino all'ingresso. Appena apro la porta vedo l'autobus passarmi davanti. Grandioso! Arriverò pure in ritardo.

"Ashley!", la voce allegra della mamma rimbomba nel corridoio. "Hai dimenticato la merendina".

"Mamma, non la voglio la merendina".

"Oh, maddai, prendi almeno una girella. A metà mattina ti verrà fame".

La infilo nella tasca esterna dello zaino. Dio, mi sento una condannata a morte.

"Ci vediamo a scuola", mi saluta.

"Già", borbotto. Però non riesco a muovermi. Mi volto verso di lei, poi verso la strada. Infine la guardo di nuovo. "Il professor Sentfhort ha detto cosa voleva dirmi?".

"Sì. Ha detto che vorrà metterti in guardia verso quel Trevis. Sai, non piace molto nemmeno a me".

"A me non è mai piaciuto. Perché gli hai detto che avevo un interesse verso di lui?".

"Perché è carino", ribatte ovvia.

Perfetto! Quindi ora David penserà che faccio il filo a ogni ragazzo passabile del liceo.

Quando arrivo a scuola sono consapevole di avere la faccia stravolta. Ho lo stomaco in tensione all'idea di dover affrontare David Sentfhort. L'ultima volta che mi sono sentita così nervosa è stata la sera del terremoto, quando gli ho spifferato ogni cosa su di me, ed ora, col senno di poi, vorrei davvero aver incluso nella lunga lista di segreti anche la non sottovalutabile postilla che non ho interesse verso nessuno. Cosa non vera, poiché all'epoca un accenno di interesse per Jason lo provavo. Ma era appunto un accenno. Una cosa da nulla.

Mentre attraverso il corridoio sono consapevole che le mie gambe si muovono al rallentatore. Anzi, più la porta dell'aula si avvicina, più vado piano.

Una bidella mi sorpassa, rivolgendomi una strana occhiata.

"Stai bene?", si informa.

"Sì, grazie". Anche se in realtà vorrei risponderle che sto per vomitare per l'agitazione.

"Buona lezione", si congeda.

Non posso entrare lì dentro.

Sì che posso. Andrà tutto bene. Entrerò in punta di piedi e mi metterò al mio posto, concentrandomi silenziosa sul libro. Farò così piano che non si accorgerà nemmeno della mia presenza.

Poso la mano sulla maniglia e sospiro. Su, avanti. Più aspetto, peggio è. Prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi, abbasso la maniglia e li riapro solo quando apro la porta.

David Sentfhort è alla lavagna, un libro aperto in una mano mentre con l'altra sta scrivendo con il gessetto alcuni appunti. I suoi occhi slittano velocemente verso di me, senza alcun inflessione.

"Ben arrivata, McBerry. Questa volta ha la giustificazione?".

Annuisco, guardandolo con l'espressione più pietosa che mi riesca. Quindi con un cenno della testa mi invita a prendere posto.

"Come vi stavo dicendo, ragazzi, la prosa è un concetto da considerarsi in opposizione alla poesia...".

Apro il libro e trattengo il respiro per qualche secondo, il tempo necessario per abituarmi alle vampate di profumo che mi investono ogni volta che Lucy Anderson si passa le mani tra i capelli, gettandoli indietro con movimenti sensuali.

E' vero, avevo detto che andavo d'accordo con lei. Più o meno. Ma stavo mentendo. Io non la sopporto. Proprio no. Vederla con gli occhi di David mi sta facendo capire quanto esagerati siano i suoi movimenti, quanto superflue e fuori luogo siano le volte che sbatte le ciglia. Intendiamoci, se fossi lei probabilmente farei anche io la stessa cosa. Ma non potrebbe sbattere gli occhioni verso una direzione diversa da quella di David?

Irritata mi guardo attorno e noto che non è solo lei. Tutte quante sono sedute con la schiena troppo dritta, tutte quante hanno il mento posato sopra le mani, la testa inclinata di lato e gli occhi sognanti.

Okay, diamoci una calmata. Non posso certo finire con l'odiare tutte le mie compagne di classe.

In fin dei conti David sta spiegando la lezione, è normale che lo guardino. E' normale che ci sia un silenzio reverenziale. E' normale che anche io non riesca a togliergli gli occhi di dosso.

Faccio scorrere gli occhi sul suo viso, registrando le occhiaie stanche e i capelli scarmigliati. Un filo di barba gli copre il mento, scendendo verso il collo, imprigionato in una cravatta azzurro chiaro. Gli occhi sono concentrati su libro, scattando di tanto in tanto verso la lavagna per controllare cosa sta scrivendo.

E' incredibile come ogni suo gesto emani mascolinità e fermezza. Ogni volta che fa una scrollata di spalle, che da un colpo di polso per sistemare l'orologio, che si gratta la nuca... ogni minimo gesto mi fa sospirare.

A ragion di logica, pensandoci bene, non posso proprio indignarmi con Lucy Anderson e le altre; David è un magnete per gli occhi femminili. Come ho fatto a non accorgermene prima?

"... nella prossima lezione cercheremo di approfondire il concetto di satira. Almeno, così, forse riuscirete a comprendere un po' meglio le battute di Trevis", dice leggero, scatenando risatine tra i banchi. "Buon fine settimana a tutti.. ah, signorina McBerry, sarebbe così gentile da accompagnarmi in sala professori? Così parleremo della sua giustificazione".

No! No, no, no, no...

"Ma certo, volentieri", sorrido disperata.

Con movimenti impacciati lo conduco fuori dall'aula e ci avviamo lungo il corridoio, fianco a fianco. Sento un formicolio al viso e sono così tesa che continuo a incespicare sulle piastrelle lucide. Mentre camminiamo le altre studentesse si sforzano di non guardarci ma mi accorgo che tutte quelle che incrociamo volgono lo sguardo, arrossendo e sistemandosi frenetiche i capelli appena lo riconoscono. Nelle aule le ragazze interrompono le loro discussioni, dandosi di gomito tutte eccitate e si sentono continui bisbigli: "sta arrivando!", "Oddio, c'è il professor Sentfhort", "guarda quanto è bello!", "Presto! Dov'è il mio rossetto?".

Succede così ovunque vada? Sul serio, come ho fatto a non accorgermene prima?

"Professore...", attacco impacciata.

"David...", mi corregge in un bisbiglio.

"David... sei arrabbiato con me?".

"Dovrei esserlo?".

"Mi sto riferendo al colloquio con mia madre".

Mi guarda, mascherando un sorriso. "Devo ammettere che il colloquio è stato assolutamente illuminante ma... valutazione dei test scritti", aggiunge, alzando la voce quando passiamo accanto a tre studenti. Poi torna a mormorare: "... ma non posso avercela con te solo perché tua madre ha una mente più contorta della tua".

"Oddio, ero così agitata che sta notte non ho chiuso occhio. Non ho fatto altro che pensare a te e a cosa... le consegnerò la biografia con le correzioni delle date", aggiungo svelta, sorpassando altre due studentesse di terza.

"Lo temevo, per questo ero impaziente di parlarti, anche se farlo a scuola è un po' complicato... interrogazioni di metà semestre".

"Non ho alcun interesse verso Trevis", mi sento in dovere di rassicurarlo, "... porterò la giustificazione...".

Ci fermiamo davanti all'ascensore e David schiaccia il tasto di chiamata. Alle nostre spalle gli studenti fanno avanti e indietro, bloccando ogni nostro tentativo di riprendere il discorso.

"Sai?", chiede in un sussurro. "Non mi hai ancora dato il tuo numero di telefono".

"Tu non me lo hai mai chiesto", sorrido di nascosto, il volto rivolto alle porte dell'ascensore.

"Lo sto facendo ora".

Si mette da parte, lasciandomi entrare nell'ascensore per prima, quindi preme il pulsante del pianoterra nel mentre scrivo su un pezzo di carta il mio numero di cellulare.

"Mi dispiace essere arrivata in ritardo anche oggi".

"Ehi", con una mano mi acciuffa il mento, spingendomi il volto verso l'alto. "Potresti evitare di trattarmi come un professore quando siamo soli? In questo momento non mi importa nulla del tuo ritardo, ma solo di quanto sei bella", nel dirlo, un sorriso gli increspa le labbra nonostante stia facendo di tutto per nascondermelo.

Non mi piace questo genere di sorriso. Mi mette sul chi va là. "Che c'è?".

Il sorriso aumenta. "Niente".

"Oh, andiamo. Dimmelo. Ho qualcosa sul naso?".

Ruota gli occhi e mi da un velocissimo bacio sulla fronte. "Tua madre...".

"Che altro ha detto?".

David assottiglia gli occhi, guardandomi con attenzione. "E' vero che la mattina, prima di venire a scuola, passi ameno un'ora davanti allo specchio?".

"Cosa?", fingo di inorridire. "No. Certo che no".

Ma poi ho la brillante idea di guardarlo in faccia: ha capito che sto dicendo una cazzata.

"D'accordo, perdo un po' di tempo".

Riecco il sorriso. "Per me?".

"Non di certo per Trevis". Stringo le braccia al petto, indignata. "E comunque non sono affari tuoi. Che poi, si può sapere perché continui a cambiargli posto di banco?".

"Quello dipende da te".

"Da me?".

"Dipende se metti la gonna o i pantaloni", chiarisce, ovvio.

"Non ci credo".

Si stringe nelle spalle. "Io te lo avevo detto di avere qualche problema a gestire la gelosia".

Faccio per ribattere ma le porte si spalancano e la sua voce tuona su di me. "Le farò avere quegli appunti, signorina... come ha detto di chiamarsi?".

Stupido! Mi verrebbe da alzare gli occhi al cielo ma la presenza di Jason davanti a noi mi frena.

"McBerry", brontolo.

"Ah, già. Salve Jason".

"Salve prof. Ciao Ashley".

"Ciao". Oddio, la mia voce è alta almeno di almeno otto tacche rispetto al solito.

"Fai qualcosa in pausa pranzo?", mi domanda cordiale. "Io e gli altri pensavamo di fare una scappata al lago, visto che è ancora caldo".

Mi illumino tutta. Da quando mi sono trasferita ho sentito parlare molte volte di questo posto ma purtroppo non sono mai riuscita ad andarci per via del trasloco e delle ripetizioni di letteratura. Non che mi stia lamentando... per carità.

"Sarebbe bello", accetto. Ma poi con la coda dell'occhio noto lo sguardo scuro di David. Oh, Dio. "Però, no, no, no, non posso. Non posso assolutamente".

"Che hai da fare?".

Non lo so. Che ho da fare? Devo pensare alla svelta.

"Ho un appuntamento con Kate", butto lì, leggera.

Le sue sopracciglia si corrugano appena. "Kate viene con noi".

Sgrano gli occhi, recitando alla perfezione la parte dell'offesa. "E non me lo ha detto. Che tira bidoni!".

"Forse si è dimenticata. Quindi sarai dei nostri?".

Non oso guardare David. Non posso guardarlo. E dov'è finito adesso? Ah, è qui. Accanto a me.

"Scusate se mi intrometto", comincia in tono casuale, come se non stesse bruciando di rabbia. Come attore è molto più bravo di me. "Signorina McBerry, ne stavamo discutendo proprio un attimo fa in ascensore, si è per caso dimenticata degli appunti che devo darle?".

"Ah, già, l'ho sentito pure io", le spalle di Jason si afflosciano.

"Ho un buco giusto in pausa pranzo", riprende David, guardandomi fisso. "So che nel tempo libero non si dovrebbe parlare di scuola, ma quegli appunti sono davvero molto, molto importanti".

Mi irrigidisco tutta, guardando disperatamente verso Jason. D'accordo, non può capire che la frase di David Sentfhort è in codice. Non

"Non ne dubito", balbetto.

"Ora stacco, l'aspetto di fronte a casa mia, tanto abitiamo a due passi. Le darò gli appunti e poi la lascerò libera".

"Da... d'accordo". Il cuore mi batte fortissimo. "A dopo".

"Jason", lo saluta col più falso dei sorrisi.

Si allontana lungo l'atrio, puntando le porte d'emergenza lasciate aperte dalle bidelle per far girare l'aria ed io resto immobile, a fissarlo con aria imbambolata.

"Che palla di prof.", commenta Jason, dandomi una lieve spallata.

"Eh, sì". Dio sto soffocando dall'emozione.

Mi ha appena dato un appuntamento a casa sua. Davanti a Jason. Santo cielo, solo un imbecille non si accorgerebbe di quello che sta succedendo tra me e David. Uno spasmo di paura mi invade appena ripenso al suo invito. A casa sua. Vuole che vada a casa sua. Questo può significare una sola cosa.

Io e David faremo sesso!

"Ma ti rendi conto? Si porta il lavoro pure a casa. Ma si può essere più pallosi di così?", continua Jason.

Ed io per poco non scivolo a terra per l'ansia.

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