Lingua. Mani. Cuore
ASHLEY
Mi gratto un dito e mi accorgo che accanto all'unghia c'è una piccola pellicina che non vuole saperne di staccarsi. La mangiucchio per un po' finché riconosco sulla lingua l'inconfondibile sapore del sangue, quindi passo a mordicchiarmi l'unghia smaltata.
Dalla macchina di Lucas mi raggiunge il suono ovattato di una canzone che non riesco a riconoscere e sbircio per vedere cosa sta facendo Kate. La scorgo china verso l'impianto stereo, le braccia sollevate in alto che si dimenano a ritmo della musica che stanno trasmettendo alla radio.
Si sarà resa conto che David e Lucas stanno rischiando l'osso del collo?
Non tanto per via di ciò che potrebbe fare Marcus, più che altro per ciò che farò io appena David deciderà di farmi uscire dalla propria auto.
Dio, com'è riuscito a interferire così tanto col mio piano di aiutarlo in così poco tempo?
Quando una quindicina di minuti fa l'ho visto fuori casa mia le gambe mi avevano tremato e per poco non mi ero scontrata volutamente contro un lampione per auto provocarmi una commozione cerebrale con conseguente perdita della memoria. Almeno avrei potuto dimenticare quanto stupida fossi stata!
Avrei dovuto intuire che Lucas sarebbe andato da David a spifferargli dei miei accordi con Marcus, e invece ero stata così accecata dal mio desiderio di mostrarmi adulta davanti ai suoi occhi da non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi di ritrovarmelo d fronte con l'aria più incazzata che gli avessi visto.
Peggio ancora di quando gli avevo spifferato che non era il primo ragazzo che baciavo.
Cosa normale, per una persona normale. Cosa indegna, per una persona stile David.
Ah! E peggio ancora di quella volta che in classe lo stavo completamente ignorando. Ora non ricordo esattamente come erano andate le cose, anche per effettivamente ero distratta durante quella lezione. La punizione però la ricordo eccome: un'intera ricerca su un tizio che si faceva chiamare Leopardi. O forse erano stati i suoi genitori a chiamarlo così. Va a sapere!
Persino Lady Gaga usa uno pseudonimo. Si sa come sono questi artisti. E se lo ha fatto lei perché non dovrebbe averlo fatto anche questo qui?
Comunque questa ricerca era stata una noia talmente mortale che mi ero addormentata sul libro prima ancora di leggere la data di nascita di questo qua. E' per questo che non ho scoperto se Leopardi fosse il nome o il cognome o lo pseudonimo. In ogni caso dovrebbe essere morto quindi il suo nome ormai ha poca importanza.
Credo.
Comunque...
Ripensando a quella terribile punizione, mi domando come avrà in mente di punirmi questa volta. Voglio dire, se per un pò di distrazione mi ha condannata così duramente non oso immaginare cosa escogiterà per avermi vista uscire di nascosto per incontrarmi con Marcus. Niente di buono suppongo.
Controllo la pellicina. Al suo posto è rimasto un solco insanguinato e vado a caccia di altre cuticole da sgranocchiare a mo' di calmante.
Vabbè, magari sto esagerando. Non perdiamo il senso della misura. Non è che quando David uscirà dal Green Grill verrà dritto da me sbraitando di fargli una ricerca su tutti i letterati del '600.
Se uscirà...
Oh, Dio. Oh, Dio. Sento di nuovo il panico montarmi dentro.
Okay, manteniamo la calma. Manteniamo la calma. Agitarsi non serve a niente. David è adulto, è un uomo fatto e finito. Probabilmente sarà abituato ad affrontare situazioni simili tutti i giorni. O forse non tutti i giorni ma se in passato ha frequentato un tale come Marcus figuriamoci se non gli è mai capitato di dover partecipare a qualche rissa.
Soprattutto dopo che gli aveva soffiato la fidanzata.
Sento le labbra piegarsi inevitabilmente verso il basso. E' sempre la stessa storia quando penso al passato di David, con tutte le ragazze che ha sicuramente avuto, tutte le esperienze che ha fatto, le conquiste che ha ottenuto.
Io non sento di avere nemmeno un quarto della sua esperienza. Sinceramente non sento nemmeno di averlo un passato! Se mi guardo indietro, l'unica cosa che ricordo sono le Barbie e i pastelli a cera.
Mentre io disegnavo il sole con i raggi e gli omini stilizzati di nascosto sui cuscini del divano, sentendomi più ribelle di Giovanna D'arco, con tutta probabilità lui stava andando a letto cn una contorsionista esperta in arti sessuali.
Mentre disegnavo sole e nuvole.
Espiro lentamente e mi volto sul sedile, controllando la porta d'ingresso del Green Grill. Non so se mi gela di più il sangue il pensiero di David che fa sesso con due donne contemporaneamente dentro un sole gigantesco o la porta ancora chiusa del locale.
A quest'ora dovrebbe aver finito di litigare con Marcus. Perché non esce? Perché mi ha chiuso dentro la sua auto?
Mi dimeno sul sedile e controllo l'ora sul cruscotto. E Kate sta ancora ballando, come se niente fosse. Come fa a non essere agitata? Perché a me invece viene da vomitare?
E anche da piangere.
Sono quasi tentata di attaccarmi al claxon quando finalmente la porta si apre e David si ferma sulla soglia, annuendo verso qualcuno prima di voltarsi e proseguire a passo lento lungo il parcheggio. Lucas gli trotterella accanto, ridacchiando compiaciuto e colpendolo alle spalle con manate cameratesche. Ad una prima vista non sembrano malconci.
E nemmeno particolarmente arrabbiati.
O almeno, David non lo era finché non ha sollevato gli occhi contro la macchina, inchiodandomi con uno sguardo talmente serio che se Trevis lo avesse visto si sarebbe alzato dal banco per auto segnarsi una nota disciplinare sul registro a scopo preventivo. E stiamo parlando di Trevis.
"Non essere troppo duro con la piccoletta", riconosco la voce di Lucas.
"Oh, lo sarò invece. Non hai idea di quanto lo sarò".
La sicura dell'auto scatta ed io mi faccio piccola piccola sul sedile.
David spalanca la portiera e i nostri sguardi si incrociano per un istante prima che torni a rivolgersi al suo amico. "A domani. Ci pensi tu a riaccompagnare... mmm...".
"Kate... David", sbotta Lucas. "Si chiama Kate. E la riaccompagno io, non preoccuparti. A domani".
A quel punto è entrato completamente in auto ed io vorrei gettarmi fuori dal finestrino senza nemmeno prendermi la briga di abbassarlo. Tutte le volte che ho visto su David uno sguardo simile non è mai finita bene per me e a differenza di tutte le altre volte che abbiamo litigato non so davvero cosa dire per uscire da questa situazione.
Non so nemmeno se abbiamo effettivamente litigato. Per essere arrabbiato lo è, il suo sguardo fisso sul parabrezza non lascia dubbi, solo che non riesco a comprendere se è arrabbiato con me o con tutta la situazione in generale. O se per tutte e due le cose.
"Come è an...", attacco ma poi ci ripenso e richiudo la bocca.
"Marcus era un mio problema", si limita a dire, facendo rombare il motore dell'auto e imboccando la superstrada che collega quella zona della città alla via di casa nostra.
E poi per tutto il viaggio di ritorno resta in silenzio, ignorando la mia evidente curiosità di sapere come si siano sistemate le cose. Quando mi aveva segregata in macchina per andare ad affrontare Marcus non sembrava così furibondo ma da quando è tornato sembra un'altra persona.
Non capisco. Cos'è successo? Controllo le nocche delle sue mani strette attorno al volante per verificare che non vi siano contusioni e per quanto la penombra me lo consente non scorgo nulla che possa farmi pensare si sia battuto contro Marcus. Questo potrebbe significare che sono riusciti a chiarirsi civilmente.
O forse potrebbe significare che non si sono chiariti affatto. Questo spiegherebbe perché è tornato da me così arrabbiato.
Mi ritorna in mente cosa ha detto a Lucas prima di salutarlo e per l'ansia mi viene voglia di aprire la portiera e gettarmi sull'asfalto. Una pioggerella sottile si scontra con il parabrezza rendendo opachi i contorni delle case ed io resto impotente con la fronte posata contro il finestrino a osservare la strada che scompare alla mia destra, mangiandosi i codici postali sui cartelli stradali che si avvicinano a quelli della nostra destinazione.
Voglio solo che questa serata finisca. Voglio andarmene a casa, nascondermi sotto una coperta e mangiare il resto delle patatine che non sono riuscita a ingurgitare prima di uscire.
Poi fingerò di avere la febbre e salterò scuola per tutta la settimana. Voglio dire, sette giorni basteranno a David per sbollire la rabbia, no?
A quel punto farò il mio ritorno in classe, sfilerò davanti alla cattedra ancheggiando alla Lucy Anderson e scoccherò un'occhiata sensuale a David Sentford, giusto per ricordargli cosa si è perso per sette giorni.
E quando poi suonerà la campanella e tutti i miei compagni di classe saranno usciti mi avvicinerò alla cattedra, dove David sarà ancora seduto a riordinare qualche... bhe qualcosa avrà da riordinare, e a quel punto mi chinerò in avanti mostrandogli la scollatura con nonchalance, mi leccherò il labbro superiore con calma premeditata e a quel punto lui capitolerà, chiedendomi scusa per non avermi mai telefonato per chiedermi quanta febbre avessi. E anche per non avermi perdonata subito.
Devo solo ricordarmi di mettere a lavare la canotta nera, quella con le paillettes sull'orlo, perché con quella arancio quando mi chino in avanti non si intravedono nemmeno le clavicole.
Annaspo nella borsetta a caccia del cellulare e digito veloce "ricordarmi di lavare la canotta nera".
"Perché pensi alla canotta nera in questo momento?". Sono così abituata al silenzio che la voce di David mi fa sobbalzare.
Ritraggo il cellulare, felice di non aver scritto troppi particolari che potessero in qualche modo svelargli il mio piano ambizioso per fare pace. Come diavolo ha fatto a leggere se il suo sguardo è concentrato sulla strada?
Solo a questo punto mi accorgo che la macchina è ferma nel vialetto di casa sua. Il motore è spento e lo sportello di David è spalancato. Un dubbio mi assale. Da quanto tempo siamo fermi?
Scoraggiata scendo dall'auto e come un cane abbandonato in autostrada mugugno un saluto e mi avvio a passo mal fermo lungo il vialetto, in direzione di casa mia. Le luci del piano inferiore sono spente quindi la mamma deve essere già a letto. Se riesco ad entrare senza fare rumore magari mi evito le sue classiche domande da post serata.
"Ashley?", mi chiama David.
Speranzosa mi volto verso di lui.
Fa schioccare la lingua tre volte sul palato e con un gesto dell'indice indica la porta di casa sua. "Entra. Subito".
La speranza va a farsi benedire.
"E' un po' tardi", prendo tempo. Intendiamoci, voglio far pace con lui, ma non credo sia il momento giusto.
"Non credere che ti permetta di svignartela così", indica di nuovo la porta, spalancandola.
Rassegnata gli passo accanto, notando che finalmente ha tolto il tappeto persiano dalla veranda. Sua sorella deve avergli impartito qualche altra lezione di casalinghi. Ogni volta che passa a trovarlo la casa ne guadagna in pulizia e decoro, allontanandosi pian piano dal prototipo di "villa da scapolo".
"Posso andare un momento al bagno?", chiedo.
"Nel frattempo ti preparo un caffè. Nero, giusto?".
Annuisco e mi fiondo per il corridoio, maledicendo i tacchi per il modo in cui mi rendono goffa anziché aggraziata.
Una volta al sicuro dietro la porta del bagno mi sfilo le scarpe e apro il rubinetto del lavandino, sciacquandomi la faccia e spazzando via ogni rimasuglio di trucco dark che avevo scelto per darmi un'aria minacciosa. Più che una minaccia sembravo Moira Orfei ma tutto sommato l'ombretto nero mi aveva fatto guadagnare un paio di anni. Al minimo un anno e mezzo.
Mi asciugo la faccia e quando abbasso l'asciugamani, nello specchio di fronte a me si riflette la figura di David. Il cuore perde un colpo. Dio mio, è' sempre stato così bello?
"Finalmente sei tornata ad essere tu", commenta, studiandomi il viso. "Non mi piaci truccata".
Attraverso lo specchio non riesco a capire se lo sguardo è colmo d'ira come pochi minuti fa ma il tono sembra più calmo e immediatamente mi rilasso. Lo vedo avvicinarsi cauto, fino a fermarsi alle mie spalle. Allunga le braccia accanto ai miei fianchi, imprigionandomi tra il lavandino e il suo petto e lo sento inspirare tra i miei capelli.
"Non lo farai mai più", e suona proprio come un ordine.
"Scusa", mi imbroncio. "Non volevo farti preoccupare, non volevo davvero. Volevo solo aiutarti e...".
"Avevi intenzione di andare a letto con Marcus?", la voce è una lastra di ghiaccio.
"Cosa?!? No", provo a voltarmi ma lui me lo impedisce, tenendomi imprigionata contro il lavandino. Sento il suo petto contro la schiena ma sta ben attento a non schiacciarmi. "Volevo vincere a poker o perlomeno volevo che capisse che ero tua. Tua e basta. E che doveva lasciarti in pace. Pensavo che avresti passato dei guai e ne corri già a sufficienza frequentando me ma non ho mai pensato di andare a letto con lui per risolvere il problema".
I suoi lineamenti si stendono subito, persino la voce diventa gentile. "Voglio che tu faccia una cosa per me".
"Certo", rispondo di getto.
"Guardami".
Sollevo gli occhi contro lo specchio ma lo trovo intento a fissarmi all'altezza del seno. Non capisco cosa voglia fare pertanto me ne resto lì, impalata, senza quasi respirare. Poi, dopo una pausa incredibilmente lunga, quasi avesse sconfitto una sua guerra interiore, la sua mano si posa sulla mia gola e lentamente scivola sul mio seno, chiudendosi a coppa e avvinghiandolo in una morsa carica di possessività.
"Questo è mio", mormora.
Imbarazzata abbasso lo sguardo, concentrandomi sulla scheggiatura di una mattonella ma immediatamente David si china leggermente in avanti per accostare le labbra al mio orecchio.
"Occhi sullo specchio", questa volta il tono è meno gentile, leggermente più duro, simile ad un comando.
La mano scivola ancora più in basso, lungo il costato, puntando il fianco destro. Lo stringe forte e lo lascia andare. "Di chi è questo?".
So che è una domanda retorica ma lo sguardo che mi invia attraverso lo specchio mi impone di rispondergli. "Tuo".
La mano si sposta appena sotto il mio ombelico, con le dita tamburella contro l'orlo dei jeans e i nostri sguardi si incrociano di nuovo. Il mio imbarazzato, vulnerabile. Il suo sicuro, autorevole.
Sento i suoi polpastrelli intrufolarsi sotto i jeans, facendosi lentamente strada , centimetro dopo centimetro. E poi si bloccano, liberandomi un sospiro.
"Ti ho detto di guardarmi, piccola", cantilena un dolce rimprovero.
Non mi ero nemmeno accorta di essermi rimessa a fissare la mattonella mezza crepata. E ad essere sincera nemmeno che David mi ha slacciato i pantaloni e li sta abbassando lungo i miei fianchi insieme alle mutandine. Oh mio Dio!
La sua mano non ha un minimo di esitazione quando si posa sul calore tra le mie gambe. "Di chi è?".
Deglutisco. Oh Dio, dov'è finito il David romantico con cui ho fatto l'amore la prima volta? Possibile che si fosse trattenuto così tanto fino a quel momento? Non mi dispiace affatto questa sua passionalità, anzi, mi fa sentire apprezzata e desiderata. E in tutta onestà c'è mezza città che vorrebbe sentirsi desiderata da David Sentford. Persino il barista part-time della caffetteria universitaria. E no, non è gay.
E' solo che, lui è così... mentre io invece sono così...
Le sue dita si muovono avanti indietro creando una frizione che mi strappa un gemito. "Di chi è, Ashley?".
"Tua", annaspo.
E poi di colpo la sua immagine allo specchio scompare provocandomi un sussulto. Dove diavolo è finito? Poi capisco. Oddio.
Oh. Mio. Dio!
E' la sua lingua che...? e sono le sue dita che...? non capisco più cosa mi stia facendo là sotto. Sento il suo respiro caldo, la lingua che spinge, le dita che allargano, la cintura dei suoi jeans che tintinna sulle mattonelle, il mio respiro che si fa sempre più pesante, la sua mano al centro della schiena che con dolce fermezza mi obbliga a chinarmi più in avanti, quasi a sfiorare il lavandino con lo sterno.
"Non osare mai più farmi prendere una simile paura, Ashley", credo abbia detto così ma non sono sicura perché la sua bocca è ancora posata proprio sulle mie grandi labbra e non è che mi aiuti molto a restare concentrata.
Voglio dire, potrebbe benissimo dirmi che in realtà è calvo e indossa una parrucca e io probabilmente non ci farei caso.
Sono piuttosto distratta dalle sue mani fisse sui miei glutei, alle sue spalle che mi allargano a forza le gambe, alla sua lingua che fa... Gesù! Non so nemmeno spiegarlo cosa fa. Non che non sappia cosa sia il sesso orale. Le mie compagne di classe non parlano d'altro. E' solo che non capisco se la sua lingua va di qua, o di là...
Ommioddio adesso sta andando su, proprio ora. Proprio adesso. Oddio sì.
Ed ora non c'è più, sostituita dalle labbra che stanno succhiando un punto che sinceramente non sapevo nemmeno di avere. Com'è che lui sa che ho quel punto mentre io no? Mi ha vista nuda solo una volta e non è che mi abbia ispezionata la sotto con una torcia. Non può conoscermi già così bene.
Uau! Non vedo l'ora di raccontarlo a Kate. Quello che David Sentfort mi ha appena fatto è stato stupefacente. Meraviglioso! Ancora più della nostra prima volta insieme. Mi rendo conto ora che sì, David si era davvero trattenuto la volta scorsa.
"Deliziosa", mormora audace, soffiando contro la parte più umida. Mi contraggo tutta quanta. Mi si arricciano persino le punte dei piedi e per un momento sono felice di essermi tolta le scarpe.
"Ora ti prendo. Lo sai sì?". Si solleva e la sua immagine torna ad affiancare la mia contro lo specchio.
Tutto questo è scandalosamente erotico. Sono praticamente sdraiata sopra il lavandino col il sedere in bella mostra e David dietro di me è enorme, statuario, talmente serio da farmi rabbrividire di piacere senza aver nemmeno bisogno di toccarmi.
Anche se poi lo fa. Eccome se lo fa.
Solo che questa volta non usa la bocca e nemmeno le dita. Mi afferra i fianchi, allineandosi alla mia apertura, e con una calma piena di rispetto inizia a spingersi dentro di me, senza fretta, consapevole che la mia inesperienza potrebbe causarmi ancora qualche dolore.
Spingendosi del tutto in avanti mi stringe la gola in una mano e una ciocca di capelli nell'altra per tirarmi indietro la testa e rubarmi un bacio. "Ti amo, piccoletta. Non hai idea di quanto mi sia sentito spaventato e in colpa per averti vista coinvolta con quel pezzo di merda".
Sono certa che David stia parlando. Lo sentite anche voi, vero? Sì! Sta parlando.
Ommioddio adesso si sta muovendo così bene che... Si! Si sta muovendo. Sì, sì! Sì!
"Lo sai cosa ti combino se ti rivedo di nuovo accanto ad un altro?".
Ma sta parlando ancora? Un dubbio mi assale: non sarò io che urlo? Dio, almeno durate il sesso non dovrei straparlare, no?
"Io... cosa?... Tu... che hai detto? ... oh Dio, oh Dio David... David, David... oh Dio!".
Rallenta fino a quasi a fermarsi ed io ne approfitto per riprendere fiato. "Ho il sospetto ci sia una piccola parte di me che ti sta distraendo un po', sbaglio?".
"Piccola?", sgrano gli occhi. "David, come puoi dire che il tuo.... il tuo.... insomma il tuo....". David ruota i fianchi. "Oh mio Dio!!!".
"Stavi dicendo?", mi fissa beffardo dallo specchio.
"Dico che è enorme. No, no, più di enorme. Gigantesco! Così gigantesco che mi fa sentire come se mi si allargas... ciò come se stesse entrando un... no, niente, lascia stare".
"No, sono interessato, davvero...", mi accarezza una guancia con dolcezza ma io lo vedo dallo specchio che sta trattenendo una risata. Stronzo!
Perché ho aperto la mia stupida bocca? Perché?
"Volevo solo dire che il tuo aggeggio non rientra esattamente nella categoria dei piccole cose", mormoro arrossendo.
"Ti senti piena di me?", grugnisce. Lo sguardo di nuovo colmo di urgenza e di eccitazione.
Annuisco.
Questa volta non c'è traccia di divertimento quando mi sorride. "Ed io sento il cuore pieno di te".
Poi si spinge in avanti. Veloce. Forte. Ed io perdo completamente la capacità di capire cosa stia accadendo, trovandomi ad ansimare impotente.
Altrimenti, ovviamente vi avrei raccontato i dettagli.
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