LA MIA VITA PER UN BACIO

POV DAVID

Osservo Il salotto: è il caos più totale. C'è biancheria sparsa ovunque. Non che sia sporca, intendiamoci. Cioè, solo un poco.

Non puzza comunque.

Alcune scarpe da tennis sono finite dietro la piantana accanto al divano e la valigia di Lizzy ostruisce il passaggio del corridoio.

La sposto con IL piede e mi affaccio al mio studio: una decina di scatoloni pendono pericolosamente sulla scrivania, accatastati in precario equilibrio, in attesa di essere aperti e sistemati.

Sembrano la torre di Pisa e ostruiscono la visuale della finestra. Non che da lì il panorama sia particolarmente suggestivo, ma è pur sempre l'unica finestra che si affaccia alla casa di Ashley. Se qui dentro entrasse uno psicologo farebbe Presto a tirare le somme, propinanondomi la sua teoria sul fatto che quegli scatoloni li uso come schermo di difesa tra me e quella ragazzina. Della serie, occhio non vede, cuore non duole.

Il problema è che il mio cuore è straziato in due anche quando i miei occhi non vedono nulla.

Quindi la teoria di quel presunto psicologo andrebbe a puttane... esattamente come il mio cervello.

Faccio dietrofront ed esasperato marcio verso la cucina: i resti della colazione fanno da padroni sul tavolo macchiato di caffè e costellato da biscotti sbriciolati.

Cosa cazzo mi è saltato in mente di invitare Ashley qui per la sua lezione?

Quanto manca? Dieci minuti.

Dio, speriamo arrivi in ritardo.

"Lizzy? Metti giù quel telefono e vieni ad aiutarmi", urlo.

Mia sorella chiude in fretta la conversazione ed esce dalla stanza degli ospiti.

"Non ero al telefono con le mie amiche", parte sulla difensiva.

La ignoro. "Guarda!".

I suoi occhietti luminosi ruotano per la cucina, registrando il caos. Lo capisco perché le sue labbra sottili si stiracchiano in una smorfia. Da quando usa il rossetto? Perché cazzo si tinge la bocca come una...

"David?", interrompe le mie invettive. "In cosa devo aiutarti?".

"Questa casa fa schifo".

"No, è carina. Sul serio. E' solo in disordine".

"E io cosa ho appena detto?".

"Hai detto che fa schifo mentre...".

"Senti, d'accordo", perdo le staffe. "Come si fa a rendere presentabile una casa in meno di dieci minuti?".

Porge la mano verso di me. "Cinquanta dollari".

La fisso stranito. "Cinquanta dollari per cosa?".

"Ti rispondo solo se mi dai cinquanta dollari".

"Stai scherzando?".

La sua mano resta immobile, come il suo sguardo.

Frustrato mi passo una mano tra i capelli e riprendo la banconota da cento dollari nascosta nel paniere, sbattendogliela sul palmo della mano.

"Bene", gongola.

"Quindi? Come sistemo una casa in meno di dieci minuti?".

"Non puoi", ride, scappando via.

"Lizzy!", la inseguo, acciuffandola prima che riesca a chiudersi nella camera degli ospiti.

"Okay, okay, okay. Ti aiuto io". Detto questo si guarda attorno. "Dove le farai lezione?".

"Pensavo nel mio studio ma è pieno di scatoloni".

"Camera tua?".

La guardo di sbieco.

Lizzy solleva l'angolo del labbro in un sorrisetto furbo. "In effetti fareste di tutto tranne che studiare. Ti resta il salotto. Vieni".

Mi trascina al centro della stanza e la osservo mentre prende le scarpe da tennis e le maglie sparse in giro per infilarle sotto il divano.

"Che stai facendo?", chiedo.

"Nascondo il corpo del reato. Ho convinto mamma di essere una persona ordinata con questo sistema collaudato".

"Fammi capire: ho appena speso cinquanta dollari per vedere i miei vestiti nascosti sotto il divano?".

Il campanello suona e sia io che lei restiamo per un attimo paralizzati al centro della stanza, fissandoci impotenti. Poi è il caos; Lizzy comincia a correre a destra e sinistra, raddrizzando il divano, spostando un batuffolo di polvere nell'angolo più buio della stanza e spazzolando con la mano alcune briciole finite chissà come sui cuscini del divano.

Dal mio canto corro a chiudere la porta della cucina, spengo lo stereo e sollevo un vaso rovesciato in cui mancano i fiori.

"Apri quella porta", brontola.

"Non sono pronto. Non sono pronto".

"Tienila sulla porta più che puoi. Guadagna tempo".

Fisso la porta, poi Lizzy. Infine di nuovo la porta. Merda!

Il campanello suona di nuovo e mi fiondo ad aprire.

"Ciao", saluto trafelato. "Cioè...", scrollo la testa, maledicendomi: "... salve".

"Buongiorno", sorride, porgendomi un sacchetto. "Mia madre mi ha chiesto di portarle la colazione".

Sua madre. Non lei. Sua. Madre. Capito David? Sua madre.

Cazzo! Mi ha portato la colazione. A me. A me!

"Grazie. E' un gesto molto...", mi gratto l'orecchio e osservo furtivo dietro la mia spalla per controllare a che punto è Lizzy. Dio, sembra una pazza. Torno ad Ashley. "Pronta per la lezione?".

"Certo", annuisce composta, facendo un passo avanti.

Ma io la blocco. Merda. Merda. Merda. Come la trattengo?

"Ha portato gli ultimi appunti?".

"Assolutamente. Ora glieli mostro". Fa un altro passo avanti.

Mi paro di fronte a lei, cercando di impedirle la visuale. "So che il sabato mattina non è il momento migliore per una lezione".

Ma che cavolo sto dicendo? Non sono uno studente. Non sono un suo pari. Sono il professore. Per i professori ogni momento è buono per fare lezione.

"Allora entriamo, così prima iniziamo prima finiamo", sorride complice.

Dio. Mi ha steso. Questo sorriso è illegale. E' tutto ciò da cui un uomo rifugge. Nessun uomo sano di mente vorrebbe che un simile sorriso fosse indirizzato a lui. Perché è scontato che poi si ritroverebbe spacciato. Fregato completamente. Rovinato. Fottuto.

Il sorriso di Ashley è la mia condanna a morte. Non riesco più nemmeno a respirare. Cioè, in realtà ci riesco, ma non è questo il punto. Il punto è che il tempo sembra essersi fermato sull'ultimo respiro che ho fatto prima che le sue labbra, incurvandosi, mi spedissero in una bolla sospesa nel tempo in cui l'universo sembrava scomparire. Tranne noi due.

Ci siamo solo noi due. Contro tutti. Contro il mondo intero. Noi due e quel suo vestitino a fiori che spunta da sotto una giacchetta scamosciata, abbinata a degli stivaletti marroni. E' bella da far male. Il suo fascino è incomprensibile. Si differenzia da tutto ciò a cui sono abituato. Non so se mi piace questa cosa. Preferirei che le reazioni del mio corpo fossero canalizzate in un punto in basso, esattamente tra l'ombelico e le cosce. Così saprei gestirle. Invece si espandono in tutto il corpo, mi fanno formicolare le mani, attraversano la spina dorsale come una scarica elettrica, mi fanno venire voglia di schiarirmi la gola. O forse quello è l'alcool che ho ingurgitato ieri sera.

Vabhe...

Sbircio ancora dietro la mia spalla e vedo Lizzy che mi fa strani cenni. Il salotto non sembra essere migliorato di molto ma almeno non c'è immondizia sparsa di qua e di la. Mi vergogno come un ladro al pensiero che Ashley dovrà entrare in questo caos. La prima cosa che penserà entrando, è che sono un uomo maledettamente disordinato.

"Vogliamo entrare?", la invito facendomi di lato.

Il suo stivaletto scivola sul tappeto che ho messo all'ingresso e varca cautamente la soglia di casa. E in quel momento mi sento come un leone pronto ad afferrare la propria preda. Ashley non è più una ragazza ai miei occhi. E' solo un agnellino che sta per gettarsi nell'arena, inconsapevole di avere il diavolo alle spalle.

Con le gambe molli la seguo nell'ingresso cercando di mettere a tacere quella parte sciroccata di me che sta esultando e immaginando migliaia di modi per averla.

Io devo averla. Non importa come. Non importa quando. Tra un minuto e mezzo sarebbe perfetto. Giusto il tempo di cacciare mia sorella e restare solo con Ashley sul divano.

E se Ashley dovesse respingermi, allora...

No, impossibile. Ieri sera è stata più che esplicita. E le donne sanno bene quello che vogliono e quello che non vogliono. Il fatto che spesso siano la stessa cosa, è un altro discorso.

Giusto!

Che si fotta letteratura!

POV ASHLEY

La prima cosa che noto entrando nel salotto è Lizzy. Se ne sta trafelata davanti alla televisione, cercando di regolarizzare il respiro. Forse stava facendo ginnastica.

"Ciao", mi saluta cordiale, per nulla impacciata.

Inevitabilmente ripenso a come sono stata scortese con lei solo la sera prima e mi viene la pelle d'oca. Penserà che sono una stronza. No, peggio. Che sono una povera stupida senza vita sociale. Cioè esattamente quello che pensa di me anche suo fratello.

Stiracchio le labbra in un sorriso imbarazzato. "Ciao, scusami per ieri".

Mi fissa stranita. "Per cosa?".

"Sono stata sulle mie. Era una giornata un po' storta".

"Capita a tutti", fa spallucce. "L'importante è che tu non sia più gelosa di me".

"In camera tua. Fila!", sento la voce furiosa di David alle mie spalle.

"Che ho detto?", lei lo fissa innocente, ed io ringrazio Dio di star dando le spalle al mio professore. Non saprei proprio come nascondere il mio rossore.

"Ora", alza la voce, rendendola severa.

Santo cielo, fa quasi paura.

"Pensavo invece di andare a fare shopping. Sai?", Lizzy si volta verso di me, ammiccando come se dovessi capirla al volo. "Ho appena guadagnato cinquanta dollari".

Solo che io non capisco proprio cosa voglia comunicarmi.

"Uhm... bene", gracchio. Perché dovrei esultare per questi cinquanta dollari?

"Ci andrai dopo", interviene David.

"Ma io voglio andarci ora", protesta la ragazzina.

Che problemi hanno questi due?

"Non consoci la città. E Lucas al momento non può accompagnarti ed io nemmeno".

"Posso andarci da sola".

"In camera tua, Lizzy", taglia corto.

Gli occhi delusi di Lizzy mi puntano. "E' così palloso anche a scuola?".

Deglutisco, sentendo di colpo gli occhi di David puntati contro la mia schiena. Devo rispondere? Devo stare zitta? Cosa devo fare? Perché sono in casa del mio professore ad assistere al suo battibecco con sua sorella? Queste cose non dovrebbero succedere.

"Brioches?", gracchio.

"Volentieri", David prende la palla al balzo.

"Le porto in cucina", propongo.

"No!", urlano entrambi, parandosi di fronte a me.

Mi blocco all'istante. Sul serio, che problemi hanno questi due?

"Mangiamole qui", abbassa il tono David. "Saremo più comodi".

Dispongo il sacchetto sul tavolino, registrando a malapena alcune macchie di unto sul vetro. Chissà chi è che lo aiuta a tenere in ordine tutta la casa?!

"Intanto io vado a fare il caffè", propone Lizzy.

"Prego". David mi fa cenno di accomodarmi ed io prendo posto con prudenza sull'angolo del divano. C'è qualcosa di duro sotto il mio sedere, incastrato tra due cuscini, e cerco di mettermi più comoda.

"Posso vedere i suoi appunti, Ashley?", domanda composto.

Prendo lo zaino e gli porgo il quaderno, osservandolo in silenzio mentre sfoglia le pagine mezze scarabocchiate da disegnini infantili. Noto i suoi occhi soffermarsi su un cuoricino tratteggiato prima di voltare pagina. Dio, mi sento morire per l'imbarazzo.

"Sono corretti?", indago dopo qualche secondo.

"Mmmm", David solleva l'indice e torna a leggere.

Cala nuovamente il silenzio e i miei occhi vengono calamitati verso il braccio con cui sta reggendo il mio quaderno. Dalla manica della maglietta spunta un piccolo tatuaggio tribale, rimasto fino ad ora nascosto sotto strati di vestiti eleganti e da professore.

Abbasso istintivamente lo sguardo.

Dio, non essere infantile. E' solo un tatuaggio sopra un braccio muscoloso e abbronzato, per la miseria. Cosa sarà mai...

Sento che volta pagina ma tengo lo sguardo puntato contro una macchia del tavolino. Non ho intenzione di guardare il suo braccio.

Non ho intenzione di guardare il suo braccio.

"Ci sono delle imprecisioni a cui rimedieremo durante questa lezione", mi fa presente, bonario. "Qua, vede?".

Resto immobile. E' assurdo. Ridicolo. Sono un ragazza di quasi vent'anni santo cielo. Posso guardare il braccio di un professore senza andare nel pallone.

Giusto! Non essere sciocca Ashley.

Al massimo gli lancerò un'occhiata furtiva di tanto in tanto. Giusto per togliermi il pensiero.

"Questo passaggio non è corretto", rimarca. Battendo un dito sulla pagina.

Mi passo una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lascio che gli occhi vaghino lentamente dal bordo del tavolino al suo ginocchio fasciato da dei pantaloni della tuta. E poi più su, verso il quaderno, il suo dito puntato su una frase. E sul braccio.

Oh, Gesù.

Non sono più così sicura che il mio piano di guardarlo per togliermi il pensiero funzioni molto bene. Più che togliermelo me ne fa venire mille altri. E non sono propriamente lusinghieri per la sottoscritta.

Mi sforzo di leggere il passaggio che sta evidenziando ma la mia testa non sembra funzionare a dovere. Sto seriamente andando nel pallone. Sono senza speranze.

"Se lei è d'accordo ripasseremo questo punto", dice, ignaro della lotta che sta avvenendo dentro di me.

"Va bene".

"Non ha risposto".

"Sì, l'ho appena fatto. Io...".

"A mia sorella", chiarisce.

Oh mio Dio. No, ti prego.

"Bioches?", gracchio, sollevandomi per prenderne una.

"Non creda di cavarsela così facilmente", lo sento ridacchiare piano.

"Mi va veramente una brioches".

"Sono palloso?".

Mi risiedo sul divano e di nuovo la mia natica si scontra con qualcosa di duro. Quindi con la mano rovisto tra i cuscini, cercando di sistemarli, ma con le dita tocco qualcosa di rigido. Sollevo il sedere e afferro l'oggetto scomodo per spostarlo.

"Oh mio Dio", urlo, lanciandolo dietro lo schienale del divano.

Non ci credo. Non ci credo.

"Ashley!", sbotta David, massaggiandosi una tempia. "Mi dispiace, non...".

"Era una scatola di preservativi?", tremo.

"Non è come sembra. Non l'ho messa lì perché speravo...".

"Non deve giustificarsi", scoppio in una risata stridula ed isterica. "Lei è un uomo... cioè, proprio un uomo. Cioè è adulto e... e... e... era veramente una scatola di preservativi?".

David fa una smorfia. "Se le dico che sono di mia sorella c'è una vaga possibilità che mi creda?".

Scrollo la testa, fissandomi in imbarazzo le punte degli stivaletti.

"Sarà meglio riprendere la lezione, che ne dice?".

"Okay". Respiro forte e mi siedo.

"Stavamo dicendo che...".

"Ha fatto sesso con una donna su questo divano?", mi lascio sfuggire e subito mi tappo la bocca.

Il silenzio che segue è assordante.

"Lo ha fatto!", tiro le somme. La delusione è così forte che mi viene da piangere.

"Sì", ammette.

"E poi mi viene a chiedere se la reputo un uomo palloso?".

I suoi occhi mi puntano per un istante, severi, rimpiccioliti da un moto di nervosismo che prima non avevo notato.

"Oscar Wilde", dice brusco, con lo stesso tono che usa durante le interrogazioni in classe. "Mi parli di lui".

Mi schiarisco la voce e comincio a snocciolare tutto quello che so su di lui, partendo dalla nata di nascita fino ad elencare le opere di maggior successo. L'ho ripassato con la mia migliore amica per ore intere, eppure procedo a stenti. A stento riesco a sentire la mia voce che parla e parla. Sono divisa in due. L'emisfero destro del mio cervello vaga e annaspa alla ricerca di tutte le informazioni che ho studiato, mentre la parte sinistra ruota ossessiva attorno a tre pensieri: 1) David, 2) David con una maglietta sbiadita da cui spunta un tatuaggio, 3) David a petto nudo.

Alla fine termino la mia arringa e incrocio le braccia.

"Perfetto", si complimenta.

"Grazie", ribatto con un filo di voce e subito distolgo lo sguardo, certa di essere arrossita.

Grandioso! Perfetto! E' bastato solo un suo complimento per farmi invaghire ancora di lui. Voglio dire, quante volte ci si può prendere una cotta per la stessa persona? Sarà normale?

Sinceramente, credevo di essere un po' meno immatura di così.

"Tutto bene?", chiede di colpo preoccupato. "E' molto rossa in volto".

Eh! Chissà come mai?

"Fa un po' caldo", dico stridula. Non deve assolutamente capire che è lui a farmi questo effetto. Non deve... non deve... disperata cerco qualcosa di frivolo da dire per deconcentrarlo dal mio volto. "Oh, che bel vaso".

"Ecco il caffè". Lizzy spunta dalla cucina con un piccolo vassoio in metallo e lo porge vicino alle brioches. Dio ti ringrazio. "Allora, David, posso andare o no?".

David non solleva nemmeno lo sguardo. "No".

"Eddai, cosa vuoi che mi succeda? Volevo anche comprare delle paste per mamma e papà".

Mi fa quasi pena mentre la osservo dondolare sui piedi. Proprio non capisco l'atteggiamento del mio professore. Capisco avesse tredici anni, ma per certi versi sua sorella sembra addirittura più grande di me.

Oddio, spero davvero di non essere più piccola della sua sorellina. Oddio, devo ricordarmi di indagare.

"Se vuoi, finita la lezione posso accompagnarti io", vengo in suo aiuto. "Conosco dei negozi molto carini".

Lizzy sorride compiaciuta e di rimando le labbra di David si tirano in una sottile linea. Quasi sbiancano.

"No", ripete, un po' più brusco.

"Professore", attacco, impappinandomi mentre pronuncio questa parola. "Per me non sarebbe un problema, davvero. Devo fare delle commissioni per mia madre".

Per un attimo il suo sguardo sembra combattuto ma gli basta un rapido battito di ciglia per tornare a impostare lo sguardo in modalità severa.

"Non vi voglio in giro da sole", sbotta e poi sgrana gli occhi. "Intendevo, non voglio che mia sorella vada in giro senza di me".

Lo sbuffo di Lizzy è talmente forte che mi solleva una ciocca di capelli. "Preparati, Ashley, perché sarà sempre peggio. Mio fratello è rimasto all'epoca della pietra. E' così possessivo che non ti permetterà nemmeno di andare a fare la spesa".

"Lizzy", la voce di David trema per il nervoso.

"E adesso che ho detto?", brontola, lanciandogli un pezzo di brioche contro la spalla.

"Ashley è solo una mia studentessa, non la mia don... cioè la mia... Dio santo, vattene in camera tua".

Ammutolita osservo sua sorella marciare lungo il corridoio e mi volto verso David solo quando lo intravedo passarsi nervosamente una mano tra i capelli. Il mio cuore batte all'impazzata e sono certa non sia solo colpa dell'imbarazzo. Lui, più che imbarazzato sembra solo terribilmente furioso.

"Sua sorella deve aver frainteso", attacco cercando di apparire disinvolta mentre fingo di strappare un filo dal cuscino. "A quanto pare lei pensa che noi due... sì, insomma, ha capito".

"Mmm", mugugna restando chino sul mio quaderno. "Anche questo passaggio negli appunti è un po' confuso".

Mmm? Tutto qui? E' solo questo quello che ha da dire dopo le parole di sua sorella? Mmmm?

"Già, lo penso anche io. Dovremmo ripassare anche questo punto", annuisco contrita. "Allora, non trova assurdo che Lizzy abbia potuto fraintendere così tanto?", aggiungo disperata, cercando di estorcergli una risposta decente. O che almeno vada oltre al Mmm.

"Non direi", risponde infine, sottolineando una riga con l'evidenziatore. "Questo aforismo di Wilde mi è sempre piaciuto molto anche se forse è un pò abusato".

Sul serio, a che gioco sta giocando? Possibile che non gli importi nulla di discutere di questo con me? Come fa a rimanere così distaccato e freddo? Sembra solo tremendamente arrabbiato. O concentrato. O tutte e due le cose.

Dio santo, non lo vede che invece io non riesco nemmeno a stare seduta? Mi sto praticamente dimenando sui cuscini.

"Anche questo è degno di nota", aggiunge. Solo che questa volta la sua voce è molto più vicina alla mia nuca. "Se mi recita questo aforismo nella prossima interrogazione, potrei anche valutare di alzarle la media".

Ed è a quel punto che, insieme al suo respiro, sento la punta delle dita di David che seguono il contorno del mio orecchio.

Mi volto di scatto, col cuore che pompa al centro del petto, ma lo trovo di nuovo chinato sul quaderno, come se niente fosse successo. Cosa...?

"Il riassunto che ha fatto di Dorian Gray invece farebbe accapponare la pelle anche al più caritatevoli dei professori", sentenzia, aggrottando la fronte sulla mia scrittura. "Si è resa conto di aver saltato i passaggi principali? Messo così non ha senso. Venga a leggere. Si avvicini".

Saltello col sedere sul divano finché il ginocchio sfiora il suo.

"Non raggiunge nemmeno la sufficienza", mi fa presente, allungandomi la penna. Non sembra nemmeno aver fatto caso al mio ginocchio. "Provi a buttare giù qualcosa di meglio".

Al limite della frustrazione afferro la penna e con la mia scrittura patetica e infantile cerco di aggiungere qualche descrizione nei punti che ha sottolineato.

"Meglio?", chiedo infine.

"Vediamo". Si sporge per controllare ciò che ho aggiunto e nel farlo la sua mano si posa contro il mio ginocchio, risalendo sotto la gonna di qualche centimetro.

Non riesco a muovermi. Sono pietrificata. Sento solo le sue dita che mi sfiorano, caute e gentili.

Poi si sollevano di scatto e David si alza dal divano per andare a recuperare un libro dallo scaffale.

"Perché... cosa?", non riesco nemmeno a parlare.

E poi, di colpo, capisco. E' una tattica. Mi sta provocando per capire se sono interessata a lui. Dico ma, non sono stata più che chiara ieri sera, al locale?

Forse è un ragazzo insicuro. Forse vuole più certezze. O forse non mi vuole affatto. Il ché spiegherebbe il suo disinteresse verso ciò che ha detto sua sorella.

Ma certo. Deve essere così.

Oddio sono eccitata, e ancora non mi ha praticamente toccata.

David torna a sistemarsi sul divano. "Questo libro potrebbe tornarle utile. Glielo presto se mi promette di non fare le orecchiette alle pagine e di non versarci sopra del caffè. Ci tengo particolarmente perché è un regalo di mia sorella".

"Grazie", lo afferro e lo poso sulle ginocchia.

David segue il mio movimento e per un istante si limita a fissarmi, gli occhi scuri increspati per qualcosa che potrebbe essere anche divertimento. Abbasso lo sguardo e noto che sto sfregando le gambe una contro l'altra per dissimulare l'eccitazione. Oh, Dio. Esattamente da quand'è che sono diventata così sfacciata?

Probabilmente ho anche il petto gettato in fuori in una posa sensuale e gli occhi dilatati in un tacito invito. A questo punto non potrei essere più esplicita nemmeno con un cartello in fronte con scritto: "Ti voglio".

Immediatamente raddrizzo la schiena e assumo un'espressione gelida e distaccata che sembra solo far aumentare il divertimento nel suo sguardo.

"Vuole dirmi qualcosa, Ashley?", mette il dito nella piaga.

"Io? No, io, sono solo... devo essere solo un po' frastornata per... per quello che ha detto sua sorella", riprendo il discorso che ha lasciato in sospeso.

"Cos'è esattamente che l'ha turbata? Non ha detto nulla di così strano", mormora e non so per quale ragione la sua voce suona molto più seducente del solito. Quasi roca.

Non ha detto nulla di... ma è serio?

Okay. Marcia indietro. A questo punto mi conviene lasciar cadere il discorso prima di spifferargli involontariamente che se le parole di Lizzy mi hanno turbata così tanto è perché effettivamente hanno dato voce a una mia fantasia. E cioè io e lui. Fidanzati. Mano nella mano mentre facciamo la spesa insieme per la prima volta, litigando per la marca di prosciutto più buona e conveniente. Ma devo fare piano piano, in modo che lui non si accorga che sto facendo marcia indietro.

Oh, al diavolo la coerenza! Sono una ragazza, mi è concesso non essere coerente.

"Non le sembra strano che sua sorella creda che io sia la sua fidanzata?".

"Non esattamente", fa lui, senza scomporsi.

"Ma ha frainteso. Sua sorella ha completamente frainteso tutto quan...".

Le sue labbra smorzano l'ultima parola, posandosi contro le mie con una foga spiazzante. Con una lieve pressione i suoi denti acciuffano il mio labbro, obbligandomi a schiudere la bocca per lasciargli accesso. La lingua si fa strada dentro di me, assaggiando, esplorando. Contaminandomi col suo respiro.

Sembrano passate ore quando riapro gli occhi e ci allontaniamo l'uno dall'altra. La sua mano è ancora impigliata tra i miei capelli, all'altezza della nuca. David sembra sconvolto quanto me. Gli occhi velati di urgenza e il respiro più veloce.

"Quello che sento per te non può essere frainteso nemmeno da un cieco".

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