L'ORA DI SUPPLENZA
POV ASHLEY
Okay.
Tieni la bocca chiusa.
Stai zitta e non dire a nessuno che due giorni fa hai bevuto un caffè con David Sentfhort.
Non che io abbia intenzione di entrare a scuola e urlarlo ai quattro venti, anche se ad essere del tutto sincera mi piacerebbe da matti vedere che faccia farebbe Lucy Anderson.
No, sicuramente non mi crederebbe.
Quando attraverso il cortile della Bennet Hight scool sono cosi tesa che rischio di scontrarmi con la porta a vetri dell'ingresso. So già che prima o poi, senza realmente volerlo, mi sfuggirà con qualcuno.
O magari qualche studente lo intuirà. Perché mi sembra quasi di averlo stampato in fronte. Ogni mia mimica facciale sembra urlare al mondo intero ehi, sapete che sono uscita col professore di letteratura inglese?
E' molto peggio di essere finita nel film horror "so cosa hai fatto".
Peggio ancora di quando il prete mi ha confessata per la prima volta, promettendomi che Gesù avrebbe perdonato ogni mio peccato... così io gli ho detto di aver rubato un bracciale alla bancarella e lui è corso a spifferarlo a mio padre. Se Gesù mi aveva perdonata, di certo papà non lo aveva fatto.
Comunque quella è stata l'ultima volta che mi sono confessata.
Attraverso l'atrio di ingresso, una studentessa tra le altre studentesse. Una qualunque ragazza con le occhiaie del lunedì mattina e i capelli arruffati perché la sveglia ha suonato troppo piano. Quindi arrivo davanti alla mia classe senza intoppi, senza nemmeno vedere David Sentfhort o Lucas Smahlle da lontano. Senza nemmeno incrociare Jason e la sua aria da cane bastonato.
Poso lo zaino ai piedi del banco e comincio a sistemare alcuni appunti che non sono arrivata a trascrivere sul quaderno di fisica.
"Ciao", mi saluta Lucy Anderson, insieme alla sua leccapiedi, Sarah Donnowel. Mi da un fastidio il modo in cui la segue dappertutto come un cagnolino! Una volta le ho viste entrare persino in bagno insieme.
"Che faccia!", commenta la leccaculo, sedendosi nel banco accanto al mio. "Sembra che non hai chiuso occhio".
"Mmm...", mugugno. Devo parlare a monosillabi o mi scapperà qualcosa. Ma proprio non ci riesco. Non riesco a stare zitta. Mi sento come sotto un interrogatorio della polizia. "Sabato è stata proprio una giornata rilassante. Me ne sono stata a casa tutto il giorno a giocare a burraco con la mamma e non ho bevuto nemmeno un caffè".
Lucy Anderson mi fissa un poco sconcertata. "Ma chi ti ha chiesto niente?".
Trasalisco. Merda. Devo darmi una calmata. Mi getto i capelli all'indietro con un gesto nervoso. Devo stare zitta! Fornire meno dettagli possibili. Un po' come fanno i professori, che stanno a parlare per ore senza dire nulla e tu resti a fissarli chiedendoti se per caso sei ritardato per non aver afferrato nemmeno le virgole.
"Io invece sono andata all'inaugurazione di un centro estetico. Guarda un po' qua", cinguetta Sarah Donnowel, mostrando entrambe le mani a Lucy.
"Oh. Mio. Dio. Ma sono spettacolari", si complimenta Lucy.
"Certo, ho pagato ottanta dollari, ma guarda che risultato".
Le osservo di rimando, senza prestarci troppa attenzione.
"Ti piacciono?", si rivolge a me.
Le fisso ancora. La pelle liscia delle dita si stiracchia leggermente ad ogni movimento. Le unghie sono bianche e corte, senza traccia di smalto. Cosa dovrei dire?
"Meravigliose", mi fingo estasiata. Cioè, sul serio, cos'hanno di diverso dalle mie mani e da quelle delle altre ragazze presenti in aula? Hanno cinque dita, cinque unghie e cinque nocche un po' arrossate per il freddo.
L'unica differenza è che Sarah Donnowel ha pagato ottanta dollari per averle così normali.
"Ti ho visto con qualcuno sabato pomeriggio", la sento dire, maliziosa.
Il mio cuore si arresta per la paura.
Cazzo! Oh, cazzo!
No, okay, calma. Calma. Non si stava rivolgendo a me. Sta guardando Lucy Anderson.
"Era solo un ragazzo dell'università. Sono molto interessanti e puzzano meno dei ragazzi del liceo. Mi sono sempre piaciuti i ragazzi più grandi".
"Tipo il nostro professore di letteratura?", cantilena l'altra.
Gli occhi mi si bloccano sugli appunti.
"Quello è un osso duro. Sembra immune ad ogni tipo di provocazione. Pensa che la settimana scorsa l'ho raggiunto in sala professori... e non so se ti ricordi quanto era scollata la mia maglia. Be', insomma, non mi ha guardata nemmeno per un istante".
Sorrido sotto i baffi. Ben ti sta!
"Forse è gay", ipotizza Sarah.
Mi torna alla mente la telefonata a cui ho assistito e devo mordermi la lingua per non intervenire. David gay? Ma non diciamo assurdità.
"A me non sembra affatto gay", ribatte Lucy, stringendosi nelle spalle. "Non usa alcun tipo di profumo e mette poco gel nei capelli".
"Chissà se esce con qualcuna? Ho sentito dire che ha avuto una relazione seria ai tempi dell'università. Non si sa se con un uomo o una donna. Ma a quanto pare è finita a causa della sua gelosia".
"Come sai tutte queste cose?", mi sorprendo.
"Le bidelle", risponde ovvia. "Tu cosa ne pensi, Ashley? Secondo te si vede con qualcuna?".
Non sono uscita con lui a bere un caffè. Non sono uscita con lui a bere un caffè. "Non saprei proprio".
"Poco importa", sentenzia Lucy Anderson, "perché prima della fine del semestre uscirà con me. Mi porterà a cena e poi a fare una passeggiata".
La odio. Non posso farci nulla.
Con nonchalance apro una merendina e comincio a sbriciolarla nel suo zaino firmato. Beccati questa, ladra di professori!
"O potreste andare anche al cinema o in un pub", fantastica Sarah.
"Non ha l'aria di uno che frequenta certi posti", sentenzia Lucy. "Almeno, a me ha dato questa impressione".
Dio, quanto sono irritanti tutte e due insieme.
"Ma certo che frequenta i pub", mi lascio sfuggire.
Entrambe si voltano verso di me, ricordandosi improvvisamente che sono seduta in mezzo ai loro banchi.
"E tu che ne sai?". Gli occhi di Lucy Anderson brillano.
Merda, merda, merda.
"Le bidelle", butto lì, cercando di mantenere un tono vagamente spensierato.
"Buongiorno, professor Sentfhort", risuona la voce di Trevis dal fondo della classe.
David? Alzo la testa di scatto, disorientata.
Eccolo lì che avanza a passo spedito verso la cattedra, intento a sistemarsi la cravatta. La postura composta sotto un completo blu che gli sta d'incanto, e gli occhi sorridenti dietro un paio di occhiali da lettura che non ha mai inforcato e che si affretta a infilare nel taschino della giacca.
Cosa ci fa qui?
"Scusate il ritardo. La vostra professoressa di fisica è assente e mi hanno dato l'incarico di sostituirla".
Posa la tracolla sulla cattedra e scosta la sedia. Per un attimo i suoi occhi registrano la mia presenza e con uno scatto abbasso il volto verso gli appunti. Oh cavolo, non mi sono nemmeno pettinata.
"Non fate caso a me", ci liquida con un gesto della mano. "Continuate pure a fare ciò che stavate facendo. Sono qui solo in veste di supplente".
Un mormorio di sollievo si solleva sopra le nostre teste, sovrastato dal sospiro esagerato di Lucy Anderson.
Non fate caso a me. Ma certo.
Quindi io dovrei accendere il cellulare, controllare la posta elettronica, messaggiare un po' con Kate su twitter, fare alcuni disegnini sotto il banco col bianchetto, provare a centrare il cestino della spazzatura con la carta della merendina che ho sbriciolato nello zaino di Lucy Anderson, controllare su un giornale di gossip se Angelina Jolie e Brad Pitt stanno ancora insieme, spruzzarmi un po' di deodorante, iniziare una nuova partita a tetris e poi, per finire, terminare di sistemare gli appunti di fisica.
Non fate caso a me. Sì, figuriamoci.
Arrischio una sbirciata in giro per l'aula e mi accorgo che stanno tutti fingendo di sistemare i propri appunti, come se al posto di David Sentfhort ci fosse realmente la professoressa di fisica.
Stiamo tutti recitando per farci belli ai suoi occhi. Il problema è che stiamo tutti recitando la stessa, identica parte.
E' ridicolo.
Soprattutto considerando che prima dell'arrivo del professore, Lucy Anderson stava tenendo una lezione di estetica con Sarah Donnowel, Trevis stava parlando al telefono con qualcuno su qualche cosa che riguardava un prestito e alcuni ragazzi in fondo all'aula stavano maltrattando le secchione.
Cercando di muovermi il più naturalmente possibile metto via gli appunti scarabocchiati su alcuni fogli svolazzanti e controllo sul diario le lezioni della giornata. L'aula non è stata mai così silenziosa. Sono tutti con le teste chine sopra gli appunti dell'ultima lezione, le schiene ben ritte e i gomiti posati sopra il banco. Mi è finita una ciocca di capelli sopra il naso ma non ho il coraggio di toglierla. Non ho il coraggio nemmeno di respirare.
E' terribile. Mi sembra di essere finita al Grande Fratello . Come faranno quei ragazzi a resistere per settimane in quella casa, monitorati 24 ore su 24? Io sono esausta già da adesso, e sono passati tre minuti.
"Ma come siete silenziosi", commenta dopo un po' il professore. "Fate sempre così durante un'ora di supplenza?".
Tutte le teste si alzano di scatto, tranne la mia. Non posso guardarlo. Non posso. Sa benissimo che in realtà durante le supplenze ne approfittiamo sempre per andare a disturbare le lezioni nelle altre aule. Sa anche che di solito ci divertiamo a nascondere i gessetti della lavagna e che una volta abbiamo perfino bruciato gli angoli del registro per dargli un aspetto più antico.
E sa tutte queste cose perché gliele ho dette io.
"Quando andavo al liceo, io e i miei compagni di classe approfittavamo delle ore di supplenza per chiacchierare e scambiarci consigli sulle ragazze, oppure guardavamo su youtube qualche video divertente", ci racconta.
Lo osservo di nascosto da dietro alcune ciocche di capelli. E' seduto sulla sedia scompostamente, le gambe sollevate sul bordo della cattedra e le braccia incrociate al petto. Sembra completamente a suo agio. Non cambia espressione nemmeno quando il suo sguardo, vagando tra quello degli studenti, si ferma contro il mio.
"Ad esempio, lei... Ashley, giusto?", mi indica con un cenno del capo.
Oh, Dio. Oh, Dio. Sta fingendo di non ricordarsi di me. Devo stare al gioco. Non devo lasciarmi sfuggire che abbiamo bevuto un caffè insieme.
"Sì", riesco a dire.
Sono consapevole di star arrossendo. Ne sono consapevole perché gli occhi del professore hanno un guizzo di divertimento. Dio, ma come fa a restare così tranquillo?
"Come occupa il suo tempo durante le supplenze?", domanda.
Lo odio!
Lo sta facendo apposta. Non posso crederci che me l'ha chiesto per davvero.
Per un attimo lo fisso a corto di parole e sembra quasi che la mia stupida voce risuoni di nuovo tra di noi: ... durante l'ultima lezione di supplenza ero così stanca che mi sono addormentata sul banco e quando mi sono svegliata ho scoperto di aver sbavato tutta la manica....
"Io... be', veramente io...", col movimento del gomito faccio rotolare la penna a terra e ne approfitto per piegarmi a raccoglierla.
Okay, ho guadagnato cinque secondi al massimo.
Pensa a qualcosa di intelligente, Ashley. Pensa.
Mi rimetto seduta, pronta al peggio, quando grazie a Dio Lucy Anderson prende la parola al mio posto. So che lo ha fatto solo perché ama essere al centro dell'attenzione, e in un'altra occasione solleverei gli occhi al cielo maledicendola in tutte le lingue del mondo, aramaico compreso. Ma questa volta mi limito a tirare un sospiro di sollievo.
"Io di solito ne approfitto per ripassare la lezione successiva. Sa, per tenermi sempre pronta in caso di un'interrogazione a sorpresa. La mia media è alta", aggiunge, attorcigliandosi sensualmente una ciocca di capelli attorno al dito.
Dio, quanto la odio quanto fa così.
"Ha una materia che predilige in particolare?".
"Letteratura inglese", risponde pronta, inviandogli un sorriso così luminoso e caldo che se fossimo al polo nord i pinguini morirebbero tutti per mancanza di ghiaccio.
Certo. Come no? Letteratura inglese. Certo.
"E lei, Ashley, cosa ne pensa della mia materia?", David torna a rivolgersi a me, studiandomi impassibile.
... è una materia inutile. Mi sorprendo che ci sia ancora qualcuno che possa interessarsi a qualcosa che uno scrittore ha scritto cento anni fa ...
"Be'...". Mi schiarisco la gola, cercando disperatamente di non guardarlo in faccia. "Credo sia... davvero... molto utile".
"Utile, eh?", sorride perfido, studiandosi per un momento la punta della cravatta. "Sì, credo lei abbia utilizzato il termine esatto".
"E lei, professore, perché l'ha studiata così bene?", indaga Sarah, il mento posato sulle mani intrecciate, gli occhi a cuoricino.
Lui solleva lo sguardo, quasi felice di poter rispondere. "Lei, signorina è... mi sfugge il suo nome".
Ridacchio in silenzio dentro di me. Non riesco a capire come sia possibile che non ricordi il nome di nessuna di noi, ad esclusione del mio.
"Sarah Donnowel".
"Vede, Sarah, sulle prime non ho avuto un piacevole approccio con questa materia. Diciamo che la ritenevo... inutile". I suoi occhi scattano verso di me, e restano lì fermi finché conclude la frase successiva: "Mi chiedevo come fosse possibile che qualcuno potesse interessarsi a qualcosa che uno scrittore ha scritto cento anni fa".
Sento ogni singolo muscolo della schiena diventare di ghiaccio. David Sentfhort sta parlando a me. Solo con me. Come se tutti gli altri studenti fossero stati di colpo inghiottiti in un baratro. E, cosa peggiore di tutte, mi sta parlando usando parole mie.
Voglio buttarmi anche io in quel baratro.
Voglio scomparire.
David Sentfhort abbassa le palpebre e quando lentamente le risolleva, mi accorgo con sollievo che lo sguardo è tornato su Sarah Donnowel.
"Ma poi, studiandola con più attenzione, ho capito che lo studio di questa affascinante materia permette alle persone di sviluppare nuovi punti di vista etici e rappresenta un arricchimento del nostro bagaglio culturale. Apre la nostra mente a nuove filosofie. Inoltre la lingua inglese ha ispirato la creazione di molte famose opere letterarie ed è per questo che rimane una forza enormemente influente nel mondo della cultura".
"Come ha ragione", civetta Lucy Anderson, alla mia destra. Il dito ancora incastrato in una ciocca di capelli. "E' solo grazie a questa materia che ho potuto comprendere i movimenti filosofici e le idee che hanno permeato una particolare cultura in un particolare momento".
"E' vero, è vero", interviene euforica la sua leccapiedi, alla mia destra, neanche stessero parlando delle ultime Loubutine che si sono comprate ai saldi di fine stagione. "Ad esempio, Frankenstein di Mary Shelley, ci mostra l'ambivalenza che i britannici provavano per l'empirismo".
In mezzo ai due fuochi, non faccio altro che far scattare la testa a destra e sinistra, cercando disperata di capire di che diavolo stanno parlando.
Oh, Dio. So che dovrei saperlo. E infatti so che Frankenstein è un bellissimo libro. O almeno credo, visto che non l'ho letto. E' ambivalenza e empirismo e permeare che non hanno alcun significato.
"E non dimentichiamoci di ringraziare Mary Wollstone", riprende a ciarlare alla mia sinistra Lucy Anderson, "che col suo pensiero ha creato l'idea che le donne non devono essere asservite agli uomini, dando così vita alla moderna teoria femminista".
"Già", gongola Sarah, monitorando di sottecchi l'espressione del professore. "La letteratura è una forma d'arte perché è capace di suscitare diverse emozioni e un senso generale e spirituale di benessere".
"E non solo", alza la voce Lucy, con un tono che sembra quasi voler dire: che genio che sono . "Seguendo le storie raccontate in tutta la letteratura inglese è possibile comprendere come la cultura orientale si sia sviluppata in quello che è oggi".
"Scusatemi", interviene David Sentfhort. Quindi punta Sarah e schiocca le dita due volte, corrugando la fronte. "Come ha detto di chiamarsi?".
"Sarah Donnowel", risponde lei, illuminandosi tutta quanta.
"Ecco, Sarah, sono piacevolmente sorpreso del vostro dibattito ma non ho capito una sola parola di quello che vi siete dette".
L'aula si riempie di risolini di sorpresa. Dentro di me sto ballando il can can.
"Oh", fa lei sconcertata, cercando Lucy con lo sguardo. "Be', noi stavamo solo dicendo che la letteratura inglese ha avuto un ruolo fondamentale sull'evoluzione empirica e trascendentale dell'animo umano...". Lascia la frase in sospeso notando l'espressione corrucciata del professore.
"Ci riprovi", suggerisce gentile ed educato. "Usando magari un inglese corrente per esprimere lo stesso concetto".
Sarah accavalla le gambe e si gratta la fronte, meno sicura di sé. "In sostanza... io... noi...".
"In sostanza?", la incalza David.
"In sostanza stavamo dicendo che la letteratura inglese è... utile".
"Ora è stata chiara", si compiace con uno strano luccichio divertito negli occhi. "Ora ho compreso. E voi?".
Sia Sarah che Lucy impiegano qualche secondo a rendersi conto che con quel "voi", David Sentfhort si stava riferendo solo a loro due.
"Avete capito cosa vi siete dette?", si spiega meglio, quando non ottiene risposta.
Lucy lascia cadere il dito fuori dalla ciocca. "Certamente".
"Ne sono piacevolmente sorpreso", le sorride composto, tornando poi a concentrarsi in un punto fuori dalla finestra. "Perché, se non ricordo male, nella storia della letteratura inglese non è mai esistita alcuna Mary Wollstone. Caso mai ha lasciato traccia di sé una certa Mary Wollstonecraft".
Dopo di ché mi lancia un'occhiata divertita ed io non riesco a fare a meno di sorridergli di sbieco.
"E, sempre se non ricordo male", riprende David Sentfhort, "è la cultura occidentale che si è sviluppata attorno alle opere letterarie inglesi... non quella orientale".
"E' stato un lapsus", si difende Sarah, bianca in volto.
"Ne sono certo", la tranquillizza David. "Ma parliamo di argomenti più frivoli. Approfittiamo di questa ultima mezz'ora per conoscerci meglio".
Quindi appallottola un foglio di carta e lo lancia sopra la mia testa, andando a centrare il banco di Trevis.
"Lo so che sta dormendo, Trevis", sbuffa. "Si svegli prima che decida di buttarla giù dal banco".
Travis si solleva di scatto, scuotendo la testa per lo spavento. "Io... stavo pensando. Glielo giuro".
"Illumini tutti noi: quali sono i suoi pensieri?".
"Le donne", ridacchia Trevis, dando una gomitata al suo vicino di posto.
L'espressione del professore si addolcisce. "Ed io che speravo di poter parlare di argomenti frivoli".
"Le donne sono argomenti friv...".
"Attento a quello che dice", lo interrompe, quasi annoiato, tornando a fissare la finestra. "Ho tra le mani un'arma molto potente chiamata registro ... non mi costringa a usarla".
"Lei ha una fidanzata?", interviene una vocina timida.
"Non al momento", resta sul vago, senza guardare nessuno in particolare. "Purtroppo ho lo stesso male che affliggeva l'Orlando Furioso, quindi evito di mettere il culo nelle pedate".
"E' così geloso?", sghignazza Trevis.
L'espressione di David diventa mortalmente seria. "Peggio".
Oh, Dio, fa quasi paura.
Di colpo mi torna in mente la telefonata a cui ho assistito. Ma se è così geloso, come può voler ancora uscire con quella Lizzy?
"Se vuole mi fidanzo io con lei", si propone sfacciata Lucy Anderson.
Per un attimo il professore sembra spiazzato. Ma è solo un attimo. Quando le risponde, il tono è di chi la sa lunga. "Lei mi lusinga, ma sono costretto a rifiutare la sua gentile offerta se voglio preservare un minimo di sicurezza nella mia vita da single. Sa, essendo lei una ragazza così affascinante, temo che mi ritroverei contro tutta la squadra di baseball della scuola".
"Uuh... ci sa fare il professore, eh?", bisbiglia Sarah tutta eccitata.
"Non si preoccupi di questo", flirta spudorata la stronza. Cioè, volevo dire la strega. Cioè, Lucy. Volevo dire Lucy.
"Ehy, prof!", esclama cameratesco un ragazzo in penultima fila. "Per rispondere alla sua domanda di prima, non è che stiamo proprio sempre a studiare. Voglio dire, siamo ragazzi. Facciamo anche noi delle cazzate... ehm, cavolate".
David ruota gli occhi. "Se deve dire cazzate, dica cazzate".
"Guardi un po' là", il mio compagnio gli indica l'anta del piccolo armadietto accanto alla lavagna.
Oh, Dio, no!
No, no, no, no, no.
"... una volta, mentre tutti erano in mensa, mi sono fotografata le narici del naso e poi ho attaccato la diapositiva sull'armadietto della classe di fisica dicendo a tutti che erano di Jason... così impara a non baciarmi... ".
Fisso la foto nel panico: si vedono persino i peli scuri. David Senfhort sta guardando dentro il mio naso.
Voglio morire. Voglio morire subito.
"Bel naso", commenta, in un evidente sforzo di non mettersi a ridere. "Sapete di chi è?".
Perché mentre l'ha chiesto ha guadato solo me?
"Dicono sia di Jason", commento distratta, lo sguardo basso.
"Questo Jason ha davvero un bel naso. Devo ricordarmi di dirglielo", commenta, senza togliermi gli occhi di dosso.
"Oh, santo cielo, un'altra volta", sbotta Lucy.
"Che succede?", s'informa bonario il professore.
"Guardi!", esclama furiosa, aprendo lo zaino e girandolo in modo che lui possa vedere l'interno.
Oh cazzo.
Allungo le braccia sul banco e nascondo la testa tra i gomiti. Non ce la faccio più. E' un incubo.
"Qualcuno si diverte a sbriciolare la propria merendina nel mio zainetto firmato", si lagna con voce svenevole.
"Chissà chi è stato?", taglia corto David.
Lo so, ho la testa nascosta tra le braccia, la fronte posata sul banco e gli occhi strizzati per l'orrore. Ma lo so: lui mi sta guardando. Lo so. So che lui sa.
Qualcuno bussa alla porta.
"Avanti", invita gentile. "Oh, salve signorina...". Sento che schiocca le dita un paio di volte. "Signorina...".
"Kate, professore! Kate!".
Sollevo la testa di scatto. Kate? Che ci fa qua?
Oh, ma certo, che sciocca. E' venuta a salvarmi.
E' così ovvio che per poco vengo colta dalla tentazione di sollevare il pugno in aria in segno di vittoria. Sì!
Lei è l'unica a sapere di quanto sia traumatizzante per me starmene troppo a lungo nella stessa aula con David Sentfhort. E neanche conosce tutta la verità. Ad esempio non ha idea che sono stata con lui a bere un caffè in un bar, e onestamente muoio dalla voglia di dirglielo.
Per questo appena la notizia che lui è venuto a farmi da supplenza è corsa a salvarmi.
La amo.
Finalmente posso lasciare l'aula e allontanarmi da questo incubo. Il senso di sollievo è così devastante che cominciano a tremarmi le ginocchia per la fretta di svignarmela dall'aula.
"Salve, Kate. Ha bisogno di qualcosa?", domanda David.
"Avrei bisogno di Ashley", risponde lei, inviandomi un sorrisino della serie ti salvo io, baby.
"Ciao, Kate", mi infilo nel discorso. Vorrei quasi mettermi a piangere per la gioia.
"Ciao. Scusa se ti disturbo durante la tua ora di supplenza", mi fissa complice, strizzando un occhio, "ma la professoressa Tunner ci sta aspettando in aula magna".
Appena pronuncia queste parole però, David Sentfhort solleva la testa di scatto, l'espressione di colpo attenta sul bel volto.
Mi irrigidisco tutta quanta. Perché ci guarda così?
Perché tutto ad un tratto è così interessato a noi?
Come mai è così...
Oh, Dio.
Oh, cazzo!
La mia mente viaggia all'indietro nel tempo, tornando a quel maledetto parcheggio del pub.
... per questo con la mia amica Kate abbiamo escogitato un sistema infallibile per svignarcela dalla classe... di solito viene nella mia aula e mi dice che la professoressa Tunner ci sta aspettando in aula magna per le prove di recitazione...
Non ci credo!
Ho spifferato al mio professore di letteratura il nostro stratagemma per saltare le lezioni.
Sento il cuore precipitare nello stomaco e fisso inorridita la mia amica mentre, ignara di ciò che ho combinato, dondola sui piedi tutta contenta, in attesa che io mi decida a seguirla al bar.
"Mi lasci ipotizzare", mormora concentrato David Sentfhort, rivolgendosi a Kate, "dovete andare a lezione di recitazione?!".
Kate sembra spiazzata. "Esatto".
"Kate", mi infilo nel discorso, disperata, cercando di comunicarle telepaticamente di andarsene via. "Oggi dovrei proprio rivedere questi appunti di fisica. Non credo di farcela".
"Ma...", Kate fissa me, poi il professore. Quindi di nuovo me. "Ashley, sono prove molto importanti".
"Lo so", squittisco. Oh, mio Dio. "Ma oggi proprio non posso. Dì alla professoressa che sono molto impegnata".
"Ashley". La voce del professore mi fa sussultare sulla sedia. "Forse è il caso che lei vada con la sua compagna... se queste lezioni di recitazione sono così importanti...".
Occhi negli occhi con David Sentfhort mi mordicchio il labbro, lo torturo, incapace di muovermi.
"Vada pure", sorride cordiale.
Non riesco ancora a muovermi. Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto?
"Ashley", pronuncia di nuovo il mio nome, accarezzandone ogni sillaba. "La giustifico io. Vada".
Mi sollevo al rallentatore.
"Scusi", mimo con le labbra, afferrando lentamente lo zaino.
David annuisce con un colpo secco della testa, guardandomi in un modo strano.
Non mi piace come mi sta guardando. Non mi piace per niente.
Gli passo davanti rigida, lo sguardo basso, e quando sto per raggiungere Kate, sento di nuovo la sua voce alle spalle.
"Non vedo l'ora di partecipare alla recita scolastica, anche se, pensandoci bene, non mi dispiacerebbe raggiungervi tra qualche minuto per sincerarmi del vostro livello di recitazione".
Kate si blocca con la mano sulla maniglia. Mi guarda allarmata ed io mi stringo nelle spalle, cercando di spingerla fuori dall'aula.
"Siamo ancora agli inizi con la sceneggiatura. Nulla che valga la pena di assistere", cerca di scoraggiarlo Kate.
David Senfhort ci osserva in silenzio, a lungo, beandosi del nostro sgomento. Infine sorride perfido. "In tal caso, lasciatemi almeno la possibilità di dire una buona parola per voi con la professoressa Tunner".
"No!", sussulta Kate. "Non serve. Davvero".
"Suvvia", le sorride obliquo. "Non siate modeste. Perché privarmi della possibilità di aiutare due studentesse così motivate ?".
Lo fisso rossa in volto e lui scoppia a ridere.
Non berrò mai più un caffè con lui.
Ecco!
Mai più!
Così impara.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top