DOPPIO SENSO

POV DAVID e POV ASHLEY (perché L'UNO SENZA L'ALTRO SONO SOLO UN DISASTRO A META'...)

Ufficio del vecchio:

Ma che è? Un test? Sembra che Lucas e il vecchio si siano messi d'accordo per testare quanto impiego a perdere una pazienza che ho già perso nell'istante in cui quel coglione del mio amico mi ha inviato un sorrisetto maligno nel chiudermi la porta in faccia.

Ma comunque non ha importanza. Dal momento esatto che mi ha assicurato di non doverla visitare intimamente tutta la tensione è scivolata fuori dal mio corpo, lasciandomi solo una terribile stanchezza. Che parlino pure di medicine e cose da donna, non mi importa. Sono assolutamente in grado di accettare l'idea che la mia donna se ne stia qualche minuto da sola nella stessa stanza di un mio amico.

"Brandy?", domanda cordiale il vecchio.

Mi riscuoto dai miei pensieri e lo raggiungo al piccolo piano bar accostato alla parete. Un piccolo separè suddivide la stanza in due parti ben distinte: ufficio e ambulatorio.

"Un goccio soltanto", accetto.

Mi porge il bicchiere e lo rigiro tra le mani, facendo oscillare il liquore ambrato. Aldilà della parete percepisco dei rumori e intuisco che è confinante con lo studio di Lucas. Mi metto sugli attenti, cercando di captare cosa si stiano dicendo.

"Come stai, ragazzo? So che sono venuti i tuoi genitori a trovarti".

"Lo scorso week end, sì", rispondo distratto. Ma stai zitto, cazzo, che sennò non sento...

Okay. Sono tutte cazzate. La verità vera è che sto masticando amaro. Non sono affatto in grado di accettare che lei se ne stia chiusa in una stanzetta con Lucas. Sono già due minuti esatti che sono là dentro, cazzo. Quanto vuoi che ci impieghi quel coglione a dirle: "sei guarita, puoi andartene"?

Provo a ripetere la stessa frase mentalmente, contando i secondi che impiego. Okay. Ora esce. Sono certo che non avrò nemmeno il tempo di finire il brandy che Ashley...

"Allarga le gambe, così non rischio di macchiarti", sento la voce di Lucas.

Cosa cazzo? Queste parole hanno l'effetto di un pugno nello stomaco. Mi irrigidisco tutto, trattenendo il respiro. Forse ho capito male. Forse ho... ma io lo ammazzo!

Spalanco gli occhi sul vecchio e faccio per posare il bicchiere quando lui riattacca a parlare svelto, intuendo probabilmente le mie intenzioni.

"So che tua sorella ha un amico".

Deglutisco. Di che diavolo sta parlando ora? Cos'è questa storia? Per un istante il volto di Ashley viene offuscato da quello innocente di mia sorella.

Ufficio di Lucas:

Lucas mi passa il bricco del caffè traboccante e un bicchierino di plastica, posandoli con garbo sulla sedia dove sono seduta, tra le mie cosce.

"La scrivania è piena di carte", si giustifica con una punta di imbarazzo. Poi ammicca complice e alza la voce di due ottave: "Perciò allarga le gambe, così non rischio di macchiarti".

Ommiodio! Questa frase suona così maledettamente piena di doppi sensi che mi sento arrossire fino all'attaccatura dei capelli. Mi concentro sul bricco del caffè e ne verso un po', fingendo di niente. Anche se a dire il vero sono completamente confusa. Lucas mi ha avvertita di stare al gioco ma ancora non ho capito cos'abbia in mente. Qualcosa mi ronza nel cervello, cerca di mandarmi un messaggio... eppure non riesco ad afferrarla.

In attesa osservo Lucas afferrare il termos del tè. Lo sistema a terra, cercando di limitare i danni. Quando poco fa lo ha riempito di acqua calda è successo il finimondo: la valvola termica ha ceduto e metà del contenuto gli è finita addosso, gocciolando sul pavimento.

"Ho le mani così piene di tè", ha uno spasmo ma lo ricaccia deglutendo un paio di volte. "Altrimenti te lo avrei dato". Abbassa il tono ad un bisbiglio e aggiunge con una strizzata d'occhi: "il caffè".

Oh merda!

Quel qualcosa che ronzava nel mio cervello sta cominciando a prendere forma. Mi copro il volto con le mani per trattenere una risata. Finalmente ho capito cos'ha in mente.

Dio, è geniale.

Ufficio del vecchio:

"Che amico?", indago sulle spine.

"Mah, non ne so molto. Tua madre lo ha raccontato a mia moglie l'ultima volta che si sono sentite per telefono. Sai come sono le donne, no?".

No che non lo so. Altrimenti perché mai mi verrebbe il mal di testa ogni volta che cerco di intuire quello che sta pensando Ashley?

"Che le ha detto esattamente?".

"Che si frequenta con...".

Cerco di ascoltare ma la mia attenzione viene nuovamente attirata dalla voce attutita di Lucas: "Ho le mani così piene di tè... altrimenti te lo avrei dato".

Spalanco gli occhi a queste parole, stringendo con così tanta foga il bicchiere che le nocche delle dita sbiancano. Fanculo mia sorella e il suo amico!

Mentre ancora il vecchio sta parlando marcio verso la porta ma di colpo mi blocco di nuovo.

"Tua madre a dire il vero è un po' preoccupata", aggiunge impensierito.

Mi volto a fissarlo, consapevole di avere un'espressione allucinata.

"E...?", lo incalzo.

"Ma niente", fa spallucce, sorseggiando con tutta calma il suo brandy. Come se io avessi tutto il tempo del mondo. Come se suo nipote non stesse per marcire sotto un metro di terra. "Sono certo che non sia nulla di grave. E' che in effetti hanno parlato a lungo, tua madre e mia moglie intendo".

"E...?", lo incito sgarbato.

"E a quanto pare sembra che tua madre sia un po' sulle spine".

"E...?". Dai, porca la miseria! Cosa ti serve per parlare più in fretta? Il Treccani? E che cazzo!

Ufficio di Lucas:

Okay. Non devo ridere, non devo ridere! E' facile. Mi basterà non guardare Lucas negli occhi e tutto filerà liscio.

"Oddio!", mi lamento, appena assaggio il caffè. "Quanto è caldo".

In assoluto silenzio Lucas solleva compiaciuto il pollice e annuisce, lasciandomi intendere che ho capito alla perfezione il suo piano. Onestamente mi sento un po' una stronza verso David, ma se penso a che faccia possa avere in questo momento svanisce ogni senso di colpa.

Annuisco anche io e per un attimo restiamo in silenzio, concentrati su un rumore di vetri rotti aldilà della parete confinante con lo studio dell'anziano signore. Suppongo sia un suo diretto superiore o una specie di tutor. Quello che non comprendo è il potere che ha su David. Gli è bastato pronunciare mezza frase e lui si è trasformato nel più pacato e ubbidiente dei ragazzi. E stiamo parlando di David.

Ufficio del vecchio:

Il vecchio fa qualche passo verso la finestra, scosta la tenda e osserva compiaciuto qualcosa aldilà del vetro. Ma cosa cazzo sta guardando ora? Gli alberi? Gli uccelli? Il cimitero dove seppellirà suo nipote? Guarda me, Cristo! Non lo vedi che sto fremendo?

"Oddio!", sento la vocina di Ashley. "Quanto è caldo".

Una voragine si apre nel mio stomaco, facendomi vacillare. Stringo con ancor più forza le dita attorno al bicchiere e questo si scheggia sul bordo. Fuori di me osservo la crepa guadagnare terreno, allungandosi velocemente in una ragnatela di piccoli frammenti incrinati, fino a far scoppiare il bicchiere tra le mie mani. Il liquido ambrato mi cola sul polso, macchiando il polsino della camicia.

"Ti sei fatto male?", il vecchio si allarma, staccandosi immediatamente dalla finestra. "Fammi dare un'occhiata".

Mi acciuffa il polso, ignorando i miei occhi spiritati e puntati contro la parete che separa questo ufficio da quello di quel bastardo di suo nipote, ed esamina il taglio che mi attraversa il pollice. Sono così incazzato che non riesco nemmeno a muovermi... e non è che io non sia propriamente un tipo impulsivo.

"E' solo un taglio superficiale. Il bicchiere probabilmente doveva essere difettoso. Ti prendo dei cerotti".

"No".

"E' un bel taglio".

"Ma porca la puttana, vuole concludere questo cazzo di discorso?", esplodo, dimenticando le buone maniere.

Capisco l'educazione, capisco la reverenza, ma qui stiamo esagerando. Dio!

"Sì", annuisce. "Stavo dicendo appunto che tua madre ha dei sospetti su quel ragazzo".

"Il nome?".

"Adesso, David, calmati. Sono solo sospetti".

"Che caldo qui dentro...", rimbomba la voce di Lucas.

Osservo la parete. Figlio di...

"Teme che quel ragazzo possa fare uso di droghe", continua, ottenendo tutta la mia attenzione.

Mi volto di scatto verso il vecchio.

"E' così stretta", di nuovo la voce di Lucas.

E di nuovo faccio scattare la testa verso la parete.

Calma, cazzo. Calma!

Osservo il vecchio, poi la parete. E di nuovo il vecchio.

Non posso preoccuparmi nello stesso momento sia di mia sorella che di Ashley. Cristo!

Ufficio di Lucas:

"Che caldo qui dentro...", riprende Lucas, andando ad aprire uno spiraglio della finestra. Si sistema il nodo della cravatta e sbuffa: "E' così stretta".

Spalanco gli occhi e mi tappo la bocca per non scoppiare a ridere, attirando la sua attenzione. Mi fa cenno con la mano, corrugando la fronte come quando non si capisce qualcosa.

"E' così stretta", lo cito in un mormorio, indicando con l'indice in mezzo alle mie cosce.

Lui capisce al volo il doppio senso e tutto orgoglioso applaude una sola volta. Poi mi incita a dire qualcosa.

Sollevo gli occhi al soffitto in cerca di ispirazione. "Non è stretta".

Lucas scrolla la testa e con una scrollata di spalle mi esorta a trovare qualcosa di meglio.

Gli indico la cravatta ormai quasi tutta slacciata. "Direi che l'hai allargata per bene".

"Cazzo, sì", esulta trionfante in un lieve sussurro. "Sei diabolica, ragazzina".

Ufficio del vecchio:

"Direi che l'hai allargata per bene", risuona nitida la vocina di Ashley.

In una frazione di secondo mi ritrovo con la mano artigliata alla maniglia della porta, carico come una bomba pronta ad esplodere, quando di colpo un sospetto si insinua nella mia testa.

Non è da Ashley parlare così. Sembra quasi una forzatura.

"Mi sta venendo una cazzo di idea", scandisco lentamente, parlando più che altro a me stesso nonostante i miei occhi stiano puntando il vecchio. "Ma proprio, proprio, proprio una cazzo di idea".

"Di che stai parlando ragazzo?".

Lo punto accusatorio con un dito e il vecchio deglutisce.

"Volevi solo distrarmi", comincio a ragionare.

E non è che mi riesca proprio bene accecato come sono dall'ira.

"Tu!", schiocco le dita e lo indico ancora. "Mia madre non ha mai parlato a tua moglie di mia sorella. Tu e Lucas eravate d'accordo fin dall'inizio".

Le labbra del vecchio si tendono in una sottile linea prima di schioccare in una muta ammissione.

"Ma io a quei due li ammazzo!".

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