APPUNTAMENTO AL BUIO
POV ASHLEY
Mi sollevo sulle punte dei piedi e sbircio nell'anta più alta, spostando maldestramente alcune scatole di cereali ancora sigillate. Dunque, vediamo un po': barrette ai frutti di bosco, salatini, patatine fritte aperte da chissà quando, nesquick, burro d'arachidi...
"Proprio non capisco perché cavolo non riescano a infilare le lettere per intero dentro la bussola. Ne lasciano fuori sempre un pezzetto e con l'umidità della notte si squagliano. Guarda qua. Guarda che roba". La mamma piega l'angolo di una busta e la getta sopra le altre, al centro del tavolo. "Ah! Sono arrivate le tue analisi". Getta un'altra busta sigillata sul tavolo e si aggiusta gli occhiali sul naso. "Dovremmo fare una petizione per cambiare postino. Questo qua non mi piace. Una volta ha persino calpestato l'aiuola della sig.ra Missfherton".
Adocchio una girella al cioccolato e l'arraffo, ricadendo poi sui talloni. "Chi è la signora Missfherton?".
"Cosa vuoi che ne sappia? Ne ho sentito parlare al supermercato qua di fronte. Ma non è questo il punto. Il punto è che...", si blocca. Mi osserva, poi fissa l'orologio che tiene al polso. "Stai facendo merenda?".
Faccio spallucce. "Ho fame".
"Tra due ore è pronta la cena".
"Appunto... tra due ore".
"Ti rovinerai l'appetito". Mi strappa via la girella.
Cerco di riprendermela. "Mamma, ho fame!".
"Tieni le tue analisi". Mi sbatte la busta in mano e si volta per sistemare la girella fuori dalla mia portata. "Certo che il dott. Lucas si fa pagare... almeno le sedute al liceo le fa gratis".
Strappo un lato della busta e ne estraggo due fogli prestampati, riconoscendo solo il mio nome tra la sfilza di numeri e valori elencati ordinatamente.
"E vuoi sapere perché presta servizio gratis?". La testa della mamma sfiora la mia mentre cerca di sbirciare le analisi. Si volta di profilo verso di me, ammiccante: "Ha una relazione con la dottoressa Mary Anne. L'hai mai vista? La spilungona? Solo che lei è sposata e quindi possono vedersi solo al liceo". Il suo dito si schianta al centro del foglio. "Non sono un medico ma questi tre valori sono sbagliati. Che c'è scritto?". Mi allontana il referto. "Che saranno questi valori? Come mai quello del PH supera il 4,5? Hai fatto sesso?".
La domanda si amalgama così bene a tutte quelle pronunciate precedentemente che per un attimo non sono certa di aver capito bene. Quando la ripete, comunque, oltre a recepirla bene, intuisco anche che sta affilando le unghie per attaccarmi.
"Sono uscita un paio di volte con un solo ragazzo che ha passato l'intera serata a parlarmi di sport. Te lo assicuro, mamma", faccio una smorfia al ricordo, "sono più vergine della Maria del presepe".
Mi fissa smarrita, sollevando finalmente gli occhi dalle analisi. "Sono solo preoccupata per te".
"Lo so", sorriso, rilassandomi. D'altra parte è mia madre. E' naturale che davanti ad un esame medico possa perdere la lucidità. Non che ne goda di molta da quando ha divorziato con papà, comunque. Ma che figlia sarei se non cercassi di comprendere il suo punto di vista? "Stai tranquilla, queste analisi significano probabilmente che ho qualche infezione. Non devi preoccuparti".
La mamma sbatte le ciglia un paio di volte, perdendo l'aria smarrita. "Sono preoccupata perché non è documentato da nessuna parte che la Vergine Maria fosse effettivamente vergine".
Frustrata arraffo la giacca. "Lo sai che è meno snervante parlare con una dodicenne piuttosto che con te?".
"Dove stai andando?".
"Dal dottor Lucas".
"Lo sapevo che non eri vergine", mi urla dietro mentre mi chiudo la porta alle spalle.
Attraverso il ridicolo fazzoletto di prato che fronteggia casa proprio mentre i primi goccioloni di un temporale stanno rotolando a terra, riempiendo le canalette di scolo ai lati dei marciapiedi e rimbalzando sulla pensilina del pullman.
Mi riparo qua sotto, sedendomi accanto ad un'anziana signora che sta cercando qualcosa all'interno della borsetta, e fisso la casa di fronte a me; la villetta di David Sentfhort è la più piccola rispetto alle altre casette a due piani che si affacciano sulla via, più minuscola ancora della mia, ma almeno ha un bel giardino tutto attorno e una postazione in cemento per il barbeque accanto ad una magnolia.
La osservo distratta finché da dietro la finestra più a sinistra scorgo uno spostamento della tendina gialla. Il suo volto appare per un secondo dietro il vetro e poi scompare nascosto dalla stoffa della tenda. Un attimo dopo riappare e i suoi occhi si schiantano contro i miei, curiosi e sorpresi. L'accenno di un sorriso gli incurva il labbro superiore, coperto da uno strato di barba più spesso del solito, e quando alzo la mano per salutarlo lui fa altrettanto.
E' una frazione di secondo che sembra durare all'infinito, come in quei film in bianco e nero al rallentatore dove la protagonista corre a braccia aperte verso il fidanzato partito militare dieci anni prima.
Sono io che devo starmene seduta su questa sedia di legno, accanto a questa vecchia che continua a cercare qualcosa dentro la propria borsetta, bloccata dall'arrivo dell'autobus che cancella come un colpo di spugna l''intera villetta di David. Salgo i gradini lentamente e mostro il tesserino all'autista prima di accomodarmi nel primo posto libero.
L'autobus riparte, immergendo i grossi pneumatici in alcune pozzanghere e le strisce di pioggia tranciano di netto i finestrini, disegnando una metaforica gabbia in cui è stato imprigionato il mio cuore.
Aldilà di queste sbarre d'acqua c'è David Sentfhort.
Così irraggiungibile.
L'uomo perfetto. Talmente perfetto da apparire quasi fastidioso.
L'autobus raggiunge la mia fermata troppo in fretta, e troppo in fretta mi ritrovo davanti la porta dello studio ginecologico, contrassegnata dalla targhetta in ottone del dott. Smahlle.
Busso piano e aspetto che la sua voce cordiale mi inviti ad entrare.
L'ambulatorio è avvolto nella penombra, esattamente come la prima volta in cui ci ho messo piede.
"Salve Ashley", mi saluta, alzandosi dalla scrivania.
"Salve dottore".
"Naaa... chiamami Lucas. Almeno fuori dall'ambito scolastico".
Gli sorrido grata. "Mi ha sempre messo un po' in soggezione il lei".
"Accomodati". Si liscia la cravatta a righe e riprende posto dietro la scrivania. "Non abbiamo un appuntamento, vero?".
"In realtà no. Se vuoi passo in un altro momento".
Faccio per alzarmi ma mi blocca subito con un cenno del braccio. "Resta. Ho un buco. Sei qui per le analisi?".
Annuisco e le estraggo dalla borsetta. "Ho notato che alcuni valori sono sbagliati".
"Ti avrei chiamata io entro la fine della settimana per discuterne".
"E' grave?", mi allarmo subito.
"No", sorride bonario, afferrando gli esiti e lasciando scorrere gli occhi lungo la pagina. "Una banalissima infezione batterica".
Guardo spaesata sopra la scrivania, alla ricerca di non so nemmeno io di cosa. "Ah! E come posso averla contratta se... se ecco, io non... non ho mai...".
Le sue sopracciglia scattano in alto. "Fatto sesso?".
Abbozzo, timida.
"Queste infezioni sono di natura batterica e non necessariamente subordinate ad un rapporto sessuale. Possono essere dovute da un forte stress o da un uso scorretto dei detergenti intimi. Quale usi?".
Mi mordicchio un'unghia, guardandolo di sbieco. Non mi piace per niente affrontare questo argomento con lui. Voglio dire, conosce il professor Senthfort. Mi ha vista nuda. Ed ora vuole sapere persino come mi lavo il sedere. Non credo di poterlo sopportare.
"Temo sia da attribuire ad un forte periodo di stress", ipotizzo, lasciando cadere il discorso detergenti intimi.
"Qualcosa ti turba?".
"Qualcosina".
"E' il lavoro al sexy shop?".
"La scuola".
Un sorrisetto composto gli incurva le labbra. "Stiamo parlando di David?".
Sussulto sulla sedia. Cosa sa di David? "David chi?".
"Il tuo professore di letteratura".
Ho un cedimento e per un attimo sono quasi tentata di alzarmi e scappare via.
"Ho qualche problema con lui, sì", concedo, restando sul vago.
Il dottore sospira, quasi seccato, e si lascia cadere pesantemente sullo schienale della sedia. "E' proprio un coglione".
"Come?", balbetto.
Il cuore parte a mille. Batte contro il mio torace fin quasi a farmi male. In che rapporti sono questi due? Cosa sa Lucas di David?
"Non ti ha ancora invitata a cena, non è così?", indaga.
Lo fisso ammutolita. E se vuole ricattarmi? E se ha intuito qualcosa e vuole correre a spifferarlo al preside? Come siamo arrivati a parlare di inviti a cena? Stavamo discutendo delle mie analisi per la miseria.
"Aspetta un secondo", si scusa, sollevando il ricevitore del telefono. Pigia un tasto e resta in attesa. "Nonno? Ho bisogno di assentarmi un momento dallo studio, puoi prendere in carico la mia prossima paziente?... No, nulla di grave. Ho bisogno solo di un'oretta... Sì, grazie". Quindi posa il ricevitore e si solleva, guardandomi comprensivo. "Caffè?".
Faccio oscillare una mano tre di noi. "Tu ed io?".
"Preferisci andare con mio nonno?". Ammicca, facendomi strada.
Il bar più vicino è frequentato solo da alcune mamme intente a tenere fermi i propri figli, scalpitanti ed eccitati nella scelta delle coppe gelato. Ci sono molti tavolini liberi che si affacciano su un bancone scarno dietro cui una barista annoiata sta lucidando svogliatamente alcuni calici.
Prendiamo posto lontano dalla vetrata che si affaccia sulla strada, vicino alla porta del magazzino, in un tavolino camuffato alla vista da un piccola acquario.
"Hai notato che non ci sono pesci?", mi informa Lucas, indicando la boccia d'acqua.
Guardo dentro, adocchiando solo alcune piante acquatiche che oscillano lentamente. "E dove sono finiti?".
"Saranno tutti morti affogati".
Lo fisso seria e di colpo il suo sorriso sornione riesce a contagiarmi.
"Era una battuta pessima", rido a crepapelle, nascondendo la bocca dietro al menù.
Sbircio la lista pur sapendo già cosa ordinare e attendo che sia lui ad attaccare discorso.
"Prenditi pure la libertà di ordinare ciò che preferisci. Offro io", dice gentile.
"Lo fai con tutte?".
"Di offrire?".
Mi stringo nelle spalle. Potrò anche fingermi a mio agio ma sono pur sempre seduta allo stesso tavolo con l'unico uomo sulla faccia della terra che mi ha vista nuda.
"Di solito non instauro rapporti amichevoli con le pazienti", dice, richiudendo il proprio menù. Fa cenno alla cameriera di avvicinarsi e ordina caffè per due. "Con te, però, credo di poter fare uno strappo alla regola".
"Perché?".
"Non essere diffidente", mi sgrida bonario. "Lo faccio per David".
"Perché?".
"E' l'unica parola che sai dire?".
Abbasso lo sguardo.
"Scusami", abbassa il tono. Estrae il cellulare e lo posa al centro del tavolino. "Allora... dimmi, ti ha invitata a cena sì o no?".
Sgrano gli occhi. "David Sentfhort?".
"Sì. E non fare quella faccia. Non ti ho portata qui per ricattarti. Conosco David da quando si faceva le seghe guardando i mutandoni di Minnie. Voglio aiutarlo".
"Perc...", mi blocco di colpo, sentendomi stupida.
"Ho però bisogno che tu non riveli a lui questa nostra conversazione", si raccomanda.
"Perché?", mi sfugge.
Ruota gli occhi. "Ha qualche problema di gestione della gelosia e il fatto che io ti abbia vista nuda mi colloca automaticamente tra il peggiore dei suoi nemici". Sposta una mano in avanti. "E ti garantisco che non ricordo nemmeno di averti vista. Ma vaglielo a spiegare...".
"E' per questo che non mi ha invitata a cena?".
"No. Ci sono alcuni problemucci piuttosto rilevanti che lo frenano. Tipo che sei minorenne e una sua studentessa. Sei innamorata di lui?", domanda a bruciapelo.
"E' rilevante?".
"Direi di sì". Afferra il cellulare e ci ghiochicchia con le mani per qualche istante. "Se non lo sei, tanto vale chiudere la discussione qui".
"Lo sono", mi sento dire. E subito mi tappo la bocca con la mano.
"Ecco perché voglio aiutarlo. Ma ha troppe cazzate nella testa per capire da solo che deve fare il primo passo. Se mi permetti di farlo, vorrei aiutarlo un po'".
"E come?".
Digita un tasto sul cellulare e un numero appare sullo schermo.
"Faresti mai tu il primo passo con lui?", domanda.
"No, io non...".
"Lo immaginavo", mi interrompe.
"E' solo che non credo un uomo come lui possa interessarsi veramente a una come me. Voglio dire: guardami". Mi indico il petto e lascio che i suoi occhi mi studino un po'. "Sono solo una bambina. E peggio ancora vergine. Vergine di tutto intendo. Non ho esperienze di vita mentre lui...".
"Ashley?", mi chiama.
"Sì".
"Lo sto chiamando".
"Cosa? No!".
Posa un dito davanti alle labbra intimandomi di fare silenzio. Quindi posiziona bene il cellulare accanto a me e digita il tasto del vivavoce. Gli squilli rimbombano sul metallo del tavolino finché la voce di David risponde.
"Ciao coglione!".
"Ehi, David", lo salta Lucas, facendomi l'occhiolino.
Ho gli occhi spiritati, ne sono sicura. Che sto facendo? Dovrei alzarmi e scappare. Dovrei alzarmi e fingere di non esistere. Il mio ginecologo sta chiamando il mio professore. Il mio ginecologo... no, non è reale.
"Sei a lavoro?", gracchia la voce di David.
"No, sto prendendo un caffè con una bella ragazza".
Sento i miei occhi sgranarsi ancora di più.
"E' un modo carino per dirmi che stai per scopartela o stai veramente prendendo un caffè?".
Oddio sto per vomitare per l'ansia. Guardo Lucas e lui scrolla le spalle della serie: siamo ragazzi, parliamo così tra di noi. Che ci vuoi fare?
"Solo un caffè", dice Lucas.
"Deve essere proprio anticoncezionale se hai sentito la necessità di chiamarmi".
Sentire parlare David in questo modo mi mette in crisi. Voglio dire, so benissimo che i ragazzi hanno il chiodo fisso per il sesso e le donne, ma lui non è un ragazzo qualunque. Lui è il mio professore. I professori non parlano così. A stento sono catalogabili nella specie umana.
"E' andata un momento al bagno, così ne ho approfittato per chiamarti", gli spiega Lucas.
"Ah, e che vuoi?".
"Come te la passi?".
"Scusa ma che cazzo te ne frega?".
"Chiedevo così, per sapere. Sei a casa?".
"Ma che è? Sei lì con mia madre per caso? Che ti frega se sono a casa?".
"Sei acido oggi, ragazzo mio. Non è che stai pensando ad Ashley, eh?".
"Come se ci fosse un maledettissimo momento in cui non penso a lei".
Lucas indica il cellulare con un gesto teatrale della mano e mi fissa con un'espressione come a voler dire: visto? Te lo avevo detto, io!
Ed io vorrei vomitare per l'ansia sopra il cellulare e poi guardare il dott. Lucas con un'espressione come a voler dire: visto? Te lo avevo detto che non era una buona idea!
"Hai pensato poi a quello che ti ho detto?".
"Ascolta, non so che ti prende oggi, ma se mi hai chiamato per farmi la paternale sappi che non è il momento. Sto preparando la lezione di recupero per questo sabato e non ho tempo da perdere".
"Ammesso che Ashley si presenti da te questo sabato".
"Perché non dovrebbe farlo?", c'è un'improvvisa ansia nel tono.
"Sei stato tu a dire che era arrabbiata con te. Si è poi capito cosa aveva?".
Mi copro gli occhi con le mani. Non voglio più ascoltare.
"Macché. Credo sia solo furiosa perché le ho suggerito le risposte durante l'interrogazione. Obbiettivamente posso anche capirla. Avrà dato per scontato che la reputo troppo stupida per una sufficienza. Volevo solo alzarle la media per dimostrare a sua madre che le lezioni stanno dando i suoi frutti ma...".
"E quella studentessa che hai intrattenuto in aula?", lo interrompe, incitandomi nel contempo a fare attenzione.
"Ma chi? La pazza ninfomane? Sai benissimo che l'ho trattenuta per chiederle una giustificazione scritta. Che centra Ashley con questo?".
"Potrebbe aver frainteso. Potrebbe essere gelosa di te", ipotizza guardando me fisso negli occhi.
Quanto si sono detti questi due?
"Gelosa? Di me? Lucas, sai che la vita non è una favola del cazzo. Dì, lo sai, vero?".
"O forse sei tu che sei troppo geloso di lei per esporti. Tu, che te le scopi e basta per non correre il rischio di iniziare una relazione seria per colpa della tua possessività".
"Lucas? Mi ha telefonato per rompermi le palle? Vai dalla tua amica, va".
"Dovresti dirlo ad Ashley il perché ricordi solo il suo nome e non quello delle altre ragazze. Chissà come reagirebbe a scoprire che le chiami tutte gioia per non sbagliarti, mentre il suo nome è diventato un mantra per te. Solo il suo. Scommetto che se lo scoprisse accetterebbe di uscire a cena con te".
"E' minorenne", sbuffa. "Smettila".
"Perciò che farai? Continuerai a guardarle il culo di nascosto durante le ore di recupero e poi ti chiuderai in bagno a farti le seghe tutto il tempo?".
Sbatto la fronte sul tavolino e mi copro la testa con le braccia. Basta. E' troppo.
"Ciao Lucas", taglia corto.
"Pensaci su, prima che sia qualcun altro a invitarla al posto tuo".
"Che ci provino", la sua voce sala di due ottave.
"Non potrai mica sperare che resti ferma ad aspettare che tu ti decida".
Nella cornetta risuona un lungo sospiro. "La inviterò".
"Quando sarà maggiorenne?".
"E' probabile".
"Sei assurdo".
"Hai finito?".
"No".
"Be', io sì. Ci vediamo stasera? Ho tra le mani due biondine niente male. Se non fai il coglione come al solito quelle due ce le sbattia...".
"Aaaahh, David, la mia amica è tornata. Devo andare. Stai zitto. Addio".
Con gesti frenetici e imbarazzati chiude la conversazione e getta il cellulare nella tasca interna della giacca.
Poi mi fissa.
In silenzio resto immobile a fissarlo a mia volta.
Che cosa abbiamo fatto?
Infine si schiarisce la gola. "Ti chiedo cortesemente di evitare qualunque tipo di commento sull'ultima frase che hai sentito".
Per qualche secondo resto ancora in silenzio. Per parlare mi ci vuole una dose di coraggio che mi toglie tutte le forze. "Due biondine niente male?".
"Nessun commento", ribadisce.
"Non era un commento". Mi mangiucchio un'unghia e abbasso lo sguardo. Due biondine...
Due biondine...
"Senti. Non devi prendertela a male. David è libero. E' un uomo di trentanni che...".
"E' un uomo di trentanni privo di coerenza. Come può un attimo prima sostenere di essere innamorato di me e l'istante successivo parlare di altre due donne?".
"Tecnicamente di una sola donna. Una biondina sarebbe per me".
Lo fulmino e lui si tappa immediatamente la bocca.
"Credevi di aiutarci ma così facendo mi hai solo disillusa".
Sono arrabbiata. Mi sento persino confusa. Ma soprattutto arrabbiata con lui. Con che diritto si è intromesso nelle nostre vite? Cosa credeva di poter risolvere con una telefonata?
Io resterò sempre una sua studentessa. E lui un professore.
E l'idea che questa sera resterò a casa a studiare per la verifica di fisica mentre lui uscirà con... Dio, non riesco nemmeno a dirlo.
E' umiliante.
No, anzi, è perfido.
E ingiusto.
Mi alzo dal tavolino e recupero la giacca dallo schienale della sedia. "A presto, Lucas".
"Stai commettendo uno sbaglio", cerca di farmi ragionare.
Allunga un braccio verso di me ma mi scosto prima che riesca a toccarmi. Sento le lacrime ballare il tango in bilico tra le ciglia. Voglio solo andarmene e dimenticare queste ultime settimane.
E magari comprarmi anche un gelato al cioccolato. Affogare nel gelato e non pensare più a niente. Sono stata solo un'illusa. Una stupida, immatura, infantile illusa.
"Lo fa per difendersi da te", mi urla dietro appena faccio qualche passo verso l'uscita.
"E' la giustificazione più stupida che abbia mai sentito".
Un signore mi passa davanti, scusandosi per l'intromissione e sparisce verso il bancone del bar.
"E' geloso di te. E cosa ancora peggiore è convinto che tu non lo sia di lui".
"Anche questa giustificazione fa un po' schifo".
Il dottor Lucas fa schioccare la lingue tre volte. "Vuoi la dimostrazione che non ha occhi che per te?".
Incrocio le braccia, scettica. "Puoi dimostrarlo?".
In risposta Lucas arraffa un tovaglioli di carta e una penna, incurvandosi un momento sul tavolino per scrivere qualcosa. Infine si alza e me lo consegna.
"Sophia Street, 248?", leggo a voce alta, senza capire.
"Vieni lì stasera. Alle nove. E avrai la tua dimostrazione".
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