2.
POV DAVID
Okay. Ce la posso fare. E' alla mia portata. Non c'è assolutamente bisogno di cadere nel panico. In fin dei conti è solo una questione di prospettiva. Basta che giro la manopola su standard e tutto dovrebbe filare liscio. E' semplice. Così semplice che se qualcuno dovesse mai chiedermi come funziona questo aggeggio potrei rispondere ad occhi chiusi, senza nemmeno aver bisogno di consultare il libretto di istruzioni. Anche perché non c'è. O meglio... c'è. Precisamente attaccato sul fianco di questo arnese. Ma la parte tradotta in inglese è completamente sbiadita e l'unica lingua leggibile è il turco.
Giro la manopola su standard e trattengo il respiro.
Conto fino a dieci. Niente.
La rigiro. Ancora niente.
Cristo! Non dovrebbe essere così difficile far partire una lavatrice, no?
Comincio a sentirmi intellettualmente menomato ma non ho intenzione di arrendermi. So che posso farcela.
Devo riuscirci. Anche perché non ho nessuna intenzione di pagare il servizio di lavanderia per degli stracci usati durante il trasloco.
D'altro canto la soluzione è semplice: 349/000124560.
"Ufficio casi disperati", la voce dall'altra parte della cornetta è implacabilmente ironica.
"Lizzy, smettila di sparare cazzate e aiutami".
"Hai ragione, è tempo di essere seri", concorda mia sorella, senza nemmeno prendersi la briga di smettere di ridere. "Cosa non riesci a far funzionare? Il frullatore? Il tostapane? Il forno? Sai a cosa serve il forno, vero?".
"Che ne sai che ti sto chiamando per qualcosa che non so far funzionare?".
"Lo so perché sono esattamente... mmm... quante? Sette ore? Otto? Credo otto ore che vivi in una casa senza che mamma ti stiri i calzini. Tutto sommato stai procedendo alla grande. Sai, sono iniziate le scommesse qua a casa...".
"Non voglio sentirle", la interrompo.
Ma fermare mia sorella equivale a convincere un cane a farsi misurare la febbre. E tutti sanno dove il veterinario deve infilare il termometro. Giusto?
"Papà ha scommesso trenta dollari che avresti chiamato dopo un'ora. E quindi ha largamente perso. La mamma invece ci è andata giù pesante. Ha detto che avresti implorato il diavolo per prendersi la tua anima in cambio di un lavoro più vicino a casa. Vuoi sapere cosa ho scommesso io?".
"No".
"Ho scommesso che ce l'avresti fatta", mi stupisce, addolcendo il tono.
D'istinto allontano il cellulare per osservare lo schermo. Sono sicuro di aver fatto il numero di mia sorella? Chi è la ragazza dall'altra parte della linea che per la prima volta in ventidue anni ha preso le mie difese? Che ne ha fatto della mia Lizzy?
"Stai bene?", mi sento chiedere.
"Perché?".
"Mi hai difeso".
"Ti ho difeso perché te lo meriti. David, sul serio. Meriti ogni traguardo che hai raggiunto. E so che ce la farai".
Nonostante la frustrazione sento un sorriso stiracchiarmi l'angolo della bocca e una dose quasi viscerale di positività si intrufola in ogni mio nervo, rilassandolo. Calmandolo.
E' questo l'effetto che mi fa parlare con mia sorella. E' terapeutico. Rilassante come scolarsi mezza brocca di camomilla. Ho provato qualcosa di simile anche con la penultima ragazza che ho rimorchiato prima di partire per il Colorado, ma quando gliel'ho detto mi ha tirato uno schiaffo. Va a capirle le donne!
"Ce la farò", ripeto convinto. Forse se continuo a dirlo diventa vero. "Ma intanto non è che potresti dirmi come far funzionare la lavatrice?".
"Che capi ai inserito nell'oblò?".
"Un paio di jeans, due boxer e una canotta".
"Gira la manopola su standard".
Ruoto gli occhi, anche se so benissimo che non può vedermi. "L'ho fatto e non parte".
"Hai inserito la spina di corrente?".
"Ma certo che l'ho inserita".
Comunque per sicurezza controllo. Sì, è inserita. Voglio dire, dai, non sono a questi livelli. Fino a lì ci arrivo anche io.
"Hai schiacciato il tasto start?". C'è una nota stonata nel suo tono. Sembra che si stia rivolgendo a un bambino. Mi da fastidio.
"Lizzy, mi prendi per idiota? E' ovvio che ho schiacciato il... ah!".
"Ah, cosa?".
Mi scappa una risatina tesa. "Il tasto start, giusto".
"Dio, non ci credo".
"Ehi, marmocchia. Vacci piano. Ti ricordo che quando avevo sei anni ti ho insegnato a usare il cucchiaio".
Mi sporgo in avanti e schiaccio il tasto bianco. Una piccola lucina verde sul piccolo monitor di comando comincia a pulsare e in meno di uno schiocco di dita l'oblò comincia a ruotare. Grande!
"Funziona?", domanda.
"Sì", mugugno.
"Posso ritirare tutte le belle paroline in tua difesa che ho detto meno di sessanta secondi fa?".
"Non tirare la corda e dimmi piuttosto come stai".
"Come sempre. Felice. Tu hai finito il trasloco?".
Mi guardo attorno, ancora scombussolato. Ovunque poso gli occhi incontro scatoloni ammassati e con le alette aperte, oltre le quali traboccano maglie o oggetti che non sapevo nemmeno di avere. Nella mia vecchia casa avevo a disposizione solo una stanza ma, a giudicare dal numero di scatole e borse, mia madre deve essersi fatta prendere la mano al momento di impacchettare tutto quanto, infilando di nascosto tra le mie cose decine di utensili che, nella sua testa di donna, è umanamente impossibile farne a meno. Come il trita aglio per esempio; come se io possa anche lontanamente sapere il perché un aglio debba essere schiacciato. Non credo nemmeno di sapere a cosa serva l'aglio, a parte prevenire tumori al fegato, o almeno così ho letto sopra una rivista abbandonata nella sala d'aspetto dello studio di Lucas. Ovviamente quello non è il suo studio, ma lo erediterà appena tra un anno e mezzo suo nonno si ritirerà dall'ordine dei medici, lasciando tutto nelle mani del nipote.
"Non ancora. Mi mancano alcuni scatoloni da svuotare".
"Hai fatto la scelta giusta ad accettare questo lavoro".
"Me lo auguro", rispondo con un'alzata di spalle.
La chiamata da parte della Bennet Hight Scool è arrivata inaspettata quanto immediata. Stavo ancora riprendendomi dai festeggiamenti per la fine dell'ultimo anno accademico quando il postino aveva recapitato a mia sorella la busta con tanto di timbro ministeriale. All'intero, la proposta di supplenza in un liceo del Colorado mi aveva sulle prime scoraggiato ma poi mi ero lasciato contagiare dall'emozione di Lizzy e avevo deciso di accettare, senza però pensare ai contro della situazione. Come aveva detto lei, ottenere una cattedra a soli ventisette anni per la durata di quattro interi semestri rientrava certamente in quei colpi di fortuna che ti capitano una sola volta in tutta la vita, ma d'altra parte mia madre era stata più realistica nel farmi notare che la Bennet Hight School si trovava a circa 400 km da casa nostra.
"Ora devo lasciarti", mi congeda.
"Dove vai?".
"Esco con delle amiche".
Mi agito subito. E' inutile, è più forte di me. "A che ora torni?".
"La smetti di fare il fratello ficcanaso?".
"Faccio il fratello maggiore, è diverso".
"Anche le mie amiche hanno dei fratelli maggiori ma loro si fanno gli affari propri. Dovresti smetterla di essere così geloso delle persone. Cosa farai quando ti fidanzerai?".
Rabbrividisco al solo pensiero. Non è che abbia qualcosa contro le storie serie. Anzi. Se guardo al futuro mi immagino con due o tre marmocchi, il cane che abbaia quando torno a casa da lavoro e una veranda che circonda la mia villetta in periferia. Il problema è che per mettere in pratica questa fantasia serve necessariamente una moglie.
Se volete sapere la mia opinione, questo sistema patriarcale e contrattuale ha un grosso vizio di forma. Non è chiaro. La gente si riunisce attorno a una prete e poi i novelli sposi firmano un contratto con delle clausole specifiche ma imperfette. Mi sono informato ovviamente. E sono abbastanza certo che in questo contratto manchi una postilla in cui si impone alla moglie di portare con sé un qualcosa che la identifichi come "appartenente a qualcuno". La fede al dito non fa testo; chi è l'uomo che guarda le mani a una donna? A meno che non le stia usando su una certa parte in basso del suo corpo. Le donne sposate dovrebbero avere un tesserino di riconoscimento appuntato al bavero della giacca. O una specie di allarme che scatta appena un uomo le guarda. Non credo sia una richiesta impossibile. Voglio dire, persino i cani hanno un chip dietro l'orecchio. Così tutti sanno che ha un padrone e non è un randagio. Non capisco perché non possano fare lo stesso con le donne occupate.
"E' proprio a causa della mia gelosia che preferisco avere tante amiche", riassumo.
"Sei squallido".
"E tu in ritardo. Non dovevi uscire?", taglio corto.
"Ho capito, ho capito. Ci sentiamo dopo".
"Voglio che mi chiami quando torni a casa. Basta anche solo uno squillo".
"Sì, papà".
"E stai lontana dalla periferia".
"Hai dimenticato di ricordami di non accettare caramelle dagli sconosciuti".
"Non fare la furba, mocciosa. Sai benissimo che gli sconosciuti, a te, non vogliono dare caramelle. Se capisci ciò che intendo...".
"Bla bla bla... hai finito?".
"Ti voglio bene".
"Anche io. A dopo fratellone".
Ripongo il cellulare nella tasca dei jeans ed esco dalla stanza della lavanderia. La casa è un incredibile caos ma sta tuttavia cominciando ad avere una parvenza di... casa. Non è grande ma ha due camere da letto, una cucina funzionale, o almeno credo. Voglio dire, il forno c'è. Quindi dovrebbe funzionare. Una piccola veranda verniciata di bianco fa da padrona all'ingresso da cui parte un piccolo corridoio finestrato che si apre su una stanzetta piuttosto minuscola ma luminosa. E' lì che ho sistemato la mia scrivania e il laptop. E anche lo scaffale che avevo nella mia vecchia camera da letto. Ci sono ancora attaccati gli adesivi di alcune conigliette di Playboy ma con un po' di alcool e olio di gomito dovrebbero togliersi.
Ripensando alla breve conversazione che ho avuto con mia sorella vengo assalito dalla voglia di riordinare il mio nuovo studio. Avere un'intera casa a mia disposizione mi ha permesso finalmente di avere uno spazio tutto mio dove poter programmare le lezioni e correggere i compiti, anche se al momento non ho ancora effettivamente iniziato il mio piano didattico.
Attacco il modem alla presa di corrente e controllo se la linea wireless è connessa, poi tolgo l'imballaggio dalla sedia girevole e la spingo dietro la scrivania sulla quale ho impilato in una pila disordinata alcuni test iniziali per i miei studenti. Attualmente mi sono state assegnate solo due classi ma, essendo un supplente, dovevo constatare il livello di ognuno di loro per capire da che punto iniziare.
I miei studenti sono un'enorme problema con cui dovrò fare i conti. Per carità, non è che abbia timore di mocciosi poco più piccoli di mia sorella. Il problema è che saranno loro a non avere una giusta dose di timore reverenziale nei miei confronti.
Il motivo di tutto questo è proprio lì, riflesso sullo schermo nero e lucido del laptop: la mia faccia!
Posso farmi crescere la barba quanto voglio, posso strozzarmi con la cravatta e camminare con una ventiquattrore in pelle marrone stile Robin Williams ed entrare in aula urlando "Oh, capitano, mio capitano" di Walt Whitman, ma so che niente del mio aspetto giovanile incoraggerà i miei futuri studenti a trattarmi come un adulto. E questo è un grosso problema perché, per risolverlo, sarò costretto ad impormi su di loro in modo che la mia autorità non venga mai messa in discussione. In pratica, dovrò trasformarmi in quel genere di professore che, se avessi avuto ai tempi del liceo, gli avrei reso la vita un inferno, cominciando probabilmente col rigargli la macchina. Se non lo faranno con me, presumo sarà solo perché la mia Ford è talmente malandata che un graffio in più si perderebbe tra le altre decine di ammaccature che insieme a Lucas ho collezionato durante il mio trionfale ingresso nella hall del college.
I miei studenti comunque sono solo una tra le numerose difficoltà che devo affrontare da quando quella lettera di ammissione è stata inviata a casa mia. Il trasloco è stato solo uno dei tanti contro in cui mi sono imbattuto dal momento in cui ho deciso di accettare l'incarico. Prima di ogni cosa non avrei mai immaginato fosse così difficile trovare qualcuno disposto ad affittare una casa a chi non possiede un congruo conto corrente. La mia famiglia la definirei modesta ma resta il fatto che non avendo mai lavorato in vita mia ho aperto il mio primo conto bancario solo un anno fa, quando mio zio, morendo, mi ha lasciato ottocento miseri dollari in eredità. Somma che si è dimezzata con la caparra di questa villetta.
Sul computer mi lampeggia un messaggio di posta elettronica e lo apro immediatamente:
Mitt: Lucas Smallhe
Dest: David Senforth
Data: 15 settembre 2016 – 13.00
Oggetto: Spicciati ad aprire il messaggio
Birra alle 17.00 al Green Grill?
Dott. Lucas Smallhe
Dottore Specialista in Ginecologia, Smallhe Studio M. & C.
Clicco su rispondi:
Mitt: David Senforth
Dest: Lucas Smallhe
Data: 15 settembre 2016 – 13.04
Oggetto: Spicciati ad aprire il messaggio
Certo che ci sarò. Ma dove diavolo è il Green Grill?
PS. D'impatto la firma della tua e-mail. Ti fa sembrare quasi serio.
David
Intanto che attendo la risponda prendo alcuni libri e li dispongo nella mensola accanto alla finestra: mi piace la vista che ho dal mio studio, riesco a vedere un campanile oltre i tetti delle basse villette a schiera e alcune rocce del "giardino degli Dei". Alcune di queste casette hanno la piscina ma ovviamente non sono in affitto. Non mi lamento della mia sistemazione benché posso affermare con certezza che la mia villetta è la più brutta e piccola di tutto il viale. Ma la zona è tranquilla, ho un discreto giardino alberato, un portico ombroso e una scala interna che mi ricorda vagamente quella della casa dei Robinson. Ma soprattutto sono a soli dieci minuti di macchina sia dalla scuola che dalla casa che Lucas divide coi suoi nonni.
Mi hanno promesso di invitarmi a cena almeno quattro volte a settima, il che la dice lunga sulla mia incapacità di tenere una pentola in mano, ma credo che sotto sotto ci sia lo zampino di mia madre. Non è ficcanaso, o almeno cerca di non esserlo eccessivamente, ma la sua mentalità si è fermata agli anni '50, prima della grande rivoluzione del '68, e fatica a sincronizzarsi nell'era moderna, in cui si prevede che un uomo sia in grado di sopravvivere anche senza essere sposato. Anche perché altrimenti non si spiegherebbe l'apertura di così tanti fast foods.
Per quanto riguarda l'asciugatrice non credo avrò problemi. Innanzitutto perché non ho un'asciugatrice e in secondo luogo perché ho giurato che ogni due fine settimana sarei andato a trovare mia madre, perciò mi sono munito di un rotolo di sacchi neri da riempire con gli indumenti da stirare.
In realtà le uniche cose che mi preoccupano sono che mia sorella finisca il college e di correggere tutti i test entro domani.
La risposta di Lucas mi arriva pochi istanti più tardi.
Mitt: Lucas Smallhe
Dest: David Senforth
Data: Data: 15 settembre 2016 – 13.11
Oggetto: Spicciati ad aprire il messaggio
Facciamo così, vieni davanti al mio studio e poi al pub ci andremo insieme, così ti insegnerò qualche via principale di questa città.
PS. La firma me l'ha imposta il nonno altrimenti avrei continuato a firmarmi come "Lucas il cazzaro".
Dott. Lucas Smallhe
Dottore Specialista in Ginecologia, Smallhe Studio M. & C.
Chiudo la schermata e riprendo a elaborare i test, infilandoli man mano nella tracolla per non rischiare di dimenticarne qualcuno. Infine mi strofino gli occhi e mi stiracchio lungo la sedia, controllando l'orologio. Manca quasi un'ora al mio appuntamento con Lucas ma decido di muovermi in tempo nel rischio di perdermi in questo labirinto di vie che sembrano portare tutte quante al Gardino degli Dei.
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