II

Un odore strano, mai sentito prima,  che era dolce ma gradevole, raggiunse le sue narici: era abituato a quel pesante odore del fumo di un fuoco acceso e della terra appena bagnata dalla pioggia. Ma non era quello l'odore. Era più delicato. E fu proprio  quello a ridestarlo dal suo sonno profondo.
La testa gli girava, le palpebre pesanti come se avesse preso di nuovo sonno da un momento all'altro e le immagini dei ricordi nella sua testa erano ancora sfocate: il villaggio in fiamme, i suoi genitori che erano scomparsi, lui che era rimasto da solo, le urla e la disperazione, l'attacco del nemico. A quel pensiero, strinse così forte le mani che le nocche impallidirono  in una maniera innaturale rispetto alla sua carnagione  più scura e abbronzata. Si accorse poco dopo di non stare nel villaggio, ma si trovava in una stanza, adagiato su in giaciglio scomodo e fatto di paglia, le pareti intorno a lui erano spoglie di qualsiasi cosa e sporche di una qualche sostanza, non c'era nulla a parte quella specie di letto adagiato al centro di essa. Dove si trovava? Era questa la domanda che gli era balenare in testa, prima di tutto. Una domanda alla quale non avrebbe ottenuto mai una risposta, siccome vi era solo lui in quel posto e nessun altro. Vagando con lo sguardo, notò  una porta davanti a lui, era in legno. Magari era una via d'uscita, un segno del destino per il ragazzo che si andò ad alzare e si avvicinò a essa. Mise la mano sul pomello d'ottone ma, nonostante lo avesse girato per sbloccare la serratura, questa sembrava essere serrata da qualcos'altro.
Lasciò  perdere il pomello, facendo un lungo sospiro e desiderando ardentemente di essere morto in quel momento.
Sentiva le lacrime che sarebbero potute fuoriuscire dai suoi occhi da un momento a un altro, ma non pianse: ritornò sul giaciglio di paglia e si sedette, in attesa che la porta si potesse aprire.

Non sapeva questo tempo fosse passato, forse solo una settimana, forse solo una mezz'ora o giù di lì. Ormai nulla aveva più importanza e lui aveva perso le speranze di poter sopravvivere a tutto quello. Questo fino a quanto non udì la serratura scattare. I suoi nervi si tesero come delle corde strette intorno a dei pugni, la sua testa da china e floscia  si alzò in attesta. Nonostante fosse un rumore abbastanza lieve, riuscì comunque a udirlo.  Gli insegnamenti di suo padre sui suoni della foresta avevano dato i suoi frutti.
Giunse il momento in cui la porta si aprì, da essa sbucò  un uomo molto alto, aveva i capelli chiari così come gli occhi, il suo sguardo era serio e profondo. Era da solo, non era armato, siccome aveva solo una camicia leggera e dei pantaloni scuri, ma non si poteva mai essere prudenti. Quindi, Eren si tirò indietro come se da quella porta fosse entrata una palla infuocata.
《Un ragazzino.》
Disse l'uomo con una voce profonda che riempì  la stanza, non era sospeso. Il suo viso, in realtà, non trasmetteva nulla.
Eren se ne stava lì impalato,  con il cuore che gli batteva a mille nel petto, non sapeva cosa  dirgli. Quella affermazione era risultata strana alle sue orecchie.
《Ammanettatelo, andrà da Levi.》
Dopo quelle parole, entrarono due uomini.
《Lasciatemi stare ! 》
Urlò il giovane apache nel tentativo di allontanarsi dalla presa dei due uomini.
《Silenzio!》
Bastavano queste parole da parte dell'uomo per farlo arrestare. Nonostante il carattere ribelle, il giovane sentiva che davanti a tanta autorità il suo corpo non riusciva a reagire, se non per stare fermo e in silenzio.
《Non una parola, se vuoi rivedere tua sorella viva.》
Mikasa. Era viva ?
Si bloccò, temette  che le sue funzioni vitali avessero smesso di funzionare fino quando non insipirò profondamente, come un sospiro di sollievo.
《Portatelo via.》
In quel momento non una parola, si fece mettere le fredde manette ai polsi e uscì dalla stanza a testa china.
Non si sarebbe fermato lì. Sarebbe ritornato a recuperare sua sorella.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top