9||i demoni creature astrattamente concrete

"Demoni: come prenderli senza impazzire"

Amber passò l'intero pomeriggio a fissare il soffitto.

A cosa pensava? Non lo sapeva neanche lei. La sua testa era un disastro, se non pensava a qualcosa miriadi di ricordi, sensazioni e pensieri si andavano a mischiare con il suo cervello, creando un turbine di voci che si confondevano le une fra le altre.

Questa marea di pensieri fu interrotta da un docile bussare alla sua porta scorticata.
Si alzò barcollando leggermente e aprendo trovò Marzia che la osservava con la sua solita dolcezza disegnata negli occhi.

-Disturbo?- chiese lei con il suo sorriso sbilenco.
-Assolutamente no, anzi arrivi al momento giusto- la bionda si scostò per far entrare la ragazza e subito dopo richiuse la porta, andandosi a sedere sul letto dal quale si era precedentemente alzata.
-Al momento giusto?- Marzia riprese le sue parole aggrottando le sopracciglia perfette.
-Si, sono un disastro- Amber si sdraiò sul letto e prese ad abbracciare un cuscino.

Marzia si stese a pancia giù sostenendosi la testa con gli avambracci, le lunghe gambe slanciate si muovevano con dolce movimento. -Cosa intendi?- Amber sospirò.
-Non so dare una spiegazione ai miei innumerevoli pensieri- socchiuse gli occhi, quasi come se volesse ricordare la perfezione di due pozze castano scuro, la morbidezza dei suoi capelli le pareva di sentirle attraverso le dita.
-Bhe iniziamo subito una piccola seduta, allora- e si sedette sulla superficie morbida estraendo un paio di occhiali da vista rettangolari dalla tasca della giacca che aveva precedentemente appeso alla sedia della scrivania, prendendo un blocchetto di appunti e una penna, rizzandosi sulla schiena.

-Prego- iniziò lei prendendo a scribacchiare alcune cose sul taccuino -mi racconti l'insieme dei suoi pensieri, signorina Hamilton- aveva abbassato la voce così da farla sembrare una voce bassa, simile ad uno psicologo.
A quella vista Amber scoppiò in una risatina trattenuta per poi stare al gioco. Magari sarebbe riuscita a capirci qualcosa.
-L'insieme dei miei pensieri?- le fece eco lei.
-Si, cosa pensi che rappresentino per lei l'insieme dei tuoi pensieri. È la tua testa, mica la mia- aggiunse con un'alzata di e spalle.
-Perfetto- sospirò Amber iniziando a farsi venire una mezza idea in mente.

Sospirò pesantemente attirando l'attenzione della mora su di sé quindi essa mollò il taccuino e si appoggiò nuovamente con gli avambracci.

-Che hai?-
-È che...- Amber sospirò nuovamente emettendo una risatina isterica -io so a chi sto pensando, ma non mi permettono di ammetterlo-
-Chi non ti sta permettendo di pensarlo?-
-I miei demoni- si girò verso la castana che ora la fissava con un sopracciglio alzato -non vogliono che io ci pensi, ma è inevitabile. Sono un essere umano e quindi ho le mie debolezze. I miei demoni non vogliono farmi credere che io abbia queste debolezze. È un concetto astratto ma concreto. Loro esistono ma si manifestano entro azioni limitate, facendoti cadere nel panico quando meno te lo aspetti. Così si crea una sorta di "antidemone" che sarebbe quella sensazione che avverti quando pensi di star facendo una cazzata. Io ho rispettato i miei antidemoni per troppo tempo, e quando oggi non gli ho dato ascolto loro hanno fatto buon viso a cattivo gioco, mettendomi ancora più confusione nel cervello-

Il discorso appena fatto era più un monologo verso se stessa, finalmente si era spiegata un po' tutto.
Intanto Marzia la guardava come se si fosse messa a ballare la canzoncina della cacca con una canna fra i denti.

Quindi Amber si girò verso di lei iniziando a ridacchiare -scommetto che tu hai capito tutto- Marzia man mano si unì alle risatine che diventarono vere e proprie risate.

-Tu sei pazza-
-Ma, sai- la bionda si mise seduta su un cuscino, fra le mani era stretto il lenzuolo -il concetto di essere "pazzi" è un concetto ampio. Forse lo siamo un po' tutti inconsapevolmente e alcuni di noi questo lato lo lasciano trasparire un po' troppo. Nulla più- Marzia spalancò leggermente gli occhi cominciando a dondolarsi sul posto.
-Wow, certo che sei proprio aperta come ragazza, complimenti. Mi sa che sei l'unica ragazza che io abbia mai incontrato ad avere le cose così chiare nella sua mente- ammise lei.
-Quando si passa molto tempo da soli è normale conoscersi di più- rispose lei alzando le spalle.

Furono interrotti da un bussare frenetico e veloce alla porta, il che spinse le due a scambiarsi un'occhiata veloce prima che la bionda andasse ad aprire. Davanti alle due si stanziavano un paio di carabinieri in divisa, sui loro petti troneggiavano imponenti delle piccole medaglie e delle striscette colorate, indicanti il grado.

-Hamilton Amber?- chiese uno dei due, il più tozzo.
-Sono io- si fece avanti la bionda.
-Venga con noi- Amber si impietrì.
-Ho fatto qualcosa di... Sbagliato?- chiese lei cautamente.
-No, ma degli psicologi vorrebbero vederla- La ragazza capì che se avesse continuato a fare domande non sarebbe finita bene, quindi preferì acconsentire, facendo uscire Marzia dalla camera e scambiandocisi un'occhiata veloce.

Dopo aver percorso un'infinità di corridoi si ritrovarono davanti ad una porta metallizzata, che l'uomo in divisa aprì con una carta magnetica, dandogli accesso alla stanza. Era un luogo in penombra dove era stanziata una moltitudine di schermi che mostravano un'ulteriore stanza, anch'essa non molto illuminata. Davanti a lei c'erano due ragazze in camice da laboratorio e un ragazzo con lo stesso vestito. Amber riconobbe subito le ragazze come Ida e Alice e si stupì che fossero anche psicologhe. Il ragazzo avrà avuto almeno ventisei anni e le strinse subito la mano, facendo segno ai carabinieri di uscire dalla stanza.

-Ciao Amber- fece lui cordialmente -mi chiamo Micheal e sono uno psicologo.
-P-piacere...- fece lei confusa salutando anche le due ragazze -Ho fatto qualcosa che vi induca a psicanalizzarmi?-
Il trio si scambiò un'occhiata veloce e Ida prese la parola.
-No, Amber. Ma abbiamo notato che hai stretto amicizia con quel ragazzo alto e magro...- lei alzò un sopracciglio.
-So benissimo che è un assassino, ma credo che tutti possano avere un'amico.- rispose semplicemente lei.
-Il punto è questo. Lorenzo non si fa avvicinare da nessuno e se qualcuno prova anche solo a parlargli lui tenta di sbarazzarsene- proseguì Alice.
-Però non mi ha toccata...Perché?- chiese la bionda cominciando a torturarsi le dita delle mani dal nervoso.
-Noi crediamo che gli ricordi una persona, ma non riusciamo a capire chi sia. Forse te potresti indurlo a spiegarcelo.-
-Figuriamoci- Amber sbuffò -di rado con me ha spiccicato parola, per lui sono i gesti che contano: come li fai, dove li fai, cosa vuoi dire tramite quel gesto... Una serie di fattori che gli porta a farsi un'idea sulla persona che ha davanti senza usare le parole-

I tre si guardarono sbalorditi.
-Non c'è dubbio. Devi provarci. Entrerai in quella stanza- ed indicò i monitor -dove noi vi terremo sotto controllo, dopo un'ora rientrerai qua e discuteremo delle nostre conclusioni. Voglio riuscire a curare quel ragazzo- fece deciso il ragazzo passandosi una mano fra i capelli neri.

-Va bene, ma a una condizione- Amber attirò la loro attenzione -se lui tenta di uccidermi non fermatelo-

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