4||cambiamenti

"La vita non ti fa essere un personaggio statico, devi imparare ad accettarti per quello che sei e per quello che diventerai"

-Hamilton-

La voce roca del carabiniere richiamò l'attenzione della bionda, intenta a fissare il pavimento, ritenendolo molto interessante. Era un pavimento in marmo, freddo e duro, una fantasia bicolore, nera e bianca, si alternava con delle piastrelline, creando un'effetto simile ad un mosaico.

Amber alzò la testa, fissando l'uomo in uniforme che l'aveva chiamata. Lui le fece cenno di avvicinarsi.
Era un uomo alto e massiccio, dei baffi giallognoli albergavano sulle sue labbra.

-Vieni a ritirare gli effetti personali, ti hanno scagionato tramite cauzione- e quindi si diresse dietro un bancone, fra millemila scaffali in metallo, contenente numerosi fascicoli e bustine.

Ne estrasse una piccolina, il cui poi contenuto fu versato davanti alla ragazza, sul bancone dove ora si era appoggiata.

-Allora...- cominciò lui -vitamine, una collana, un piercing e un anello...- sospirò -dovrebbe essere tutto-
Amber fu veloce a rimettersi la collana di Elise e a nasconderla sotto la camicia.
Mente riprendeva le altre cose il carabiniere rimetteva a posto la bustina, parlando.
-La cauzione è stata pagata, ma visto il tuo stato tuo padre ha deciso che dovrai frequentare un riformatorio.

Amber spalancò gli occhi.
LEI, un riformatorio?! Lei che faceva sempre i compiti, non alzava un dito contro una mosca, la cocca dei professori, un RIFORMATORIO?
-Che cosa?!- sbatté una mani al bancone.

A quell'azione si bloccò di scatto: non lo avrebbe mai fatto. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio, né ne avrebbe mai sentito la necessità. Era un'azione brusca, lei era timida ed incapace, perché questo comportamento?

-Senti ragazzina- l'uomo non la guardava, si limitava a rimettere a posto scartoffie bianche e a risponderle con sufficienza -io ti devo solo riferire queste informazioni, non sono responsabile di niente, quindi ora alzi il tuo culo e vai dal signore che ti aspetterà fuori dalla porta del commissariato. Niente obiezioni o ti rimettiamo dentro-

Amber non se la sentiva di controbattere. Non si sarebbe veramente più riconosciuta.

Se ne andò senza proferire parola, attraversando il grande atrio dell'edificio, incontrando poi gli occhi scuri di un'altro uomo in divisa, che la prese per il braccio e la condusse in macchina, facendola sedere dietro.
Lui si sedette nel posto davanti, erano separati da una solida retina.

Dopo una mezz'ora di macchina lui si decise a parlare, rivelando una voce solida e giovane.
-Ritroverai i tuoi effetti personali nella tua camera, appena giunti lì- Amber annuì senza pensarci.

Non si riconosceva più, era cambiata troppo. Una volta tutto questo non l'avrebbe sopportato.
Infatti, una parte di sé ancora rimasta intatta fece uscire qualche lacrima dai suoi grandi occhioni blu, senza che se ne accorgesse.

L'uomo si accorse che qualcosa non andava quando sentì tirare su col naso, quindi intravide il viso della bionda e lì per lì non seppe che fare.
Di solito chi era portato al riformatorio non piangeva, anzi, magari sbuffava o lo prendeva a male parole, o nei peggiori casi tentavano di uscire, urlando.

Quindi le passò una bustina di fazzoletti che tentava sempre nel cruscotto dell'auto.
Amber lo guardò alzando un sopracciglio, ma lo prese, sussurrando un ringraziamento, soffiandosi il naso e asciugandosi gli occhi.

-Posso essere indiscreto?- chiese molto piano lui e lei annuì -cosa ci fa una ragazza come te sulla strada per andare al riformatorio? Insomma, abbi pazienza ma non ti ci vedo a fare la gangster-
Amber sorrise mestamente -È abituato a esprimersi apertamente con tutti i pregiudicati o è un trattamento riservato a me?-
-Emh...N-no... Cioè...- Amber nascose un sorriso nel vederlo impappinarsi e cominciò a parlare.
-Stia tranquillo, non mi ha offeso- si appoggiò allo schienale del sedile -ho aggredito un bullo della mia scuola, quasi uccidendolo con un'asta- confessò rivolgendo lo sguardo al paesaggio.

-E... Come mai?- azzardò lui.
-Era uno dei responsabili della morte di mia sorella, quindi ho agito troppo d'impulso- sussurrò lei.
-La morte di tua... Ma come fai di cognome?- si interessò lui.
-Hamilton, mia sorella si chiamava Elise Hamilton-
-Ah- ragionò lui -mi ricordo di quel caso. Mi dispiace-
-Non si preoccupi, va...tutto bene- ammise lei appoggiando la testa al finestrino.

Aveva appena chiuso gli occhi quando l'auto si fermò.
Si riscosse quando ragionò di essere arrivata.
Scese dalla volante mantenendo lo sguardo fisso sull'enorme edificio di fronte a lei.

Era un edificio rettangolare, fatto di mattoni grigi, delle antenne albergavano sopra il tetto. Un'enorme muro di cinta delimitava lo spazio accessibile degli "ospiti" e sopra di esso si attorcigliava un filo spinato.
All'entrata sorgevano due torrette dove due uomini in divisa li osservavano dall'alto.

Involontariamente ingoiò la saliva e cominciò a sudare freddo.
Sentì una mano prenderla per un braccio e scortarla di fronte all'enorme cancello, il quale si aprì, dopo aver chiesto l'identificazione dell'autista.

Da qui sentì la mano lasciarla, quindi si girò e vide che l'uomo le sorrideva in modo rassicurante, quasi le augurasse di star bene.

Strinse in una mano il ciondolo di Elise ed entrò.

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