30||demons

"We are our demons"

Quando Amber aprì gli occhi fu accompagnata da un leggero dondolio che pareva cullarla, mentre un senso di vuoto si impossessava man mano del suo corpo. Lei si sentiva completamente svuotata di qualsiasi emozione, non aveva più forze.

Mosse le gambe per constatare se ci fossero ancora, e si sentì parecchio indolenzita. Gli occhi da socchiusi si aprirono completamente, esponendo l'iride celeste chiaro alla visione in orizzontale di un tavolino e di un paio di gambe.

Aggrottó le sopracciglia: dove si trovava? Perché non si ricordava di come era arrivata lì?

Ad un tratto realizzó di star poggiando la testa su delle gambe di una persona, quindi si giró, poggiando la schiena sul sedile e piegando le ginocchia, accoccolandosi a quello che era il corpo di un ragazzo.

-Amber- Lorenzo pronunció il suo nome sussurrandolo, in modo che solo lei potesse sentirlo.

Lei si mise seduta sulle sue gambe, poggiandosi al petto del ragazzo moro.
Lui aveva i capelli come al solito scompigliati, delle leggere occhiaie sotto gli occhi, ma la stringeva lo stesso dalla schiena, come se da un momento all'altro la bionda potesse svanire.

-M-mi dispiace i-o- ma fu interrotto dalle labbra di Amber, che si poggiarono delicatamente sulle sue, appositamente per farlo tacere.

Amber fece strofinare i loro nasi, questo fece spuntare un timido sorriso sulla bocca di Lorenzo.

-Non eri in te.- sibiló lei al suo orecchio.

Ora le era ritornato tutto in mente: lui, il generale, le scariche elettriche, Marzia.... Estelle.

Alla fine Amber aveva scoperto il perché del sorriso rassicurante della piccola prima dell'atto mortale: a quanto pare Estelle era malata.

Aveva una malattia alle ossa, che man mano dell'avanzare con l'età sarebbe diventato un grande problema, che l'avrebbe costretta a stare in sedia a rotelle e a non poter praticamente più respirare.

Marzia quando Amber e Lorenzo se ne erano andati stava ancora in sala operatoria, non si sa se gli avrebbero dovuto amputare la gamba. Il proiettile era rimasto per troppo tempo nel l'osso dello stinco e in questo si erano create delle crepe. C'erano buone probabilità che al posto della rimozione dell'arto le avrebbero messo una semplice protesi... Proprio come a Estelle.

Ginette e Gabriele decisero di frequentare un college insieme, era in programma di scegliere un corso avanzato di tecnologia. Ormai erano una coppia a tutti gli effetti ed erano felici.

Amber si voltò dietro di lei, per poi vedere un paesaggio campagnolo scorrere molto velocemente davanti ai suoi occhi stanchi.

-Eri molto stanca quando siamo saliti sul treno- rispose Lorenzo alla sua domanda mai posta -e sei crollata addormentata dopo cinque minuti dalla partenza.-

-Dove stiamo andando?- chiese Amber voltandosi verso di lui, e poggiando la fronte contro la sua.

-Via di qui.-

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-Amber, piccola mia- sua nonna la accolse con un grande abbraccio, stringendola a se e baciandole la fronte.

Era una donna di settanta cinque anni, ma se li portava benissimo, a detta di tutti i suoi conoscenti. La villa in campagna era molto grande, con quattro piani, contando il seminterrato. La natura della Campania era viva e vegeta. In particolare Benevento, quella piccola città racchiudeva una tradizione bellissima, dove Amber amava trascorrere i giorni d'estate.

-Ho saputo tutto- e disse l'anziana signora, mettendo le mani sulle sue spalle. Dai suoi occhi cerulei si poteva intravedere una grande tristezza per aver perso sua nipote e grande preoccupazione per la consapevolezza di poter perdere anche la bionda.

-Mi dispiace tanto per Elise... E quel cornuto del generale... All'anima de chi gli'è murt.- Amber ridacchió a quell'imprecazione e abbracció ancora di più la donna dai capelli ramati, raccolti in uno straccio per non farli finire sugli ortaggi appena colti.

-C'è una sorpresa- le disse lei, facendo entrare nella grande villa i due.

Lorenzo si sentiva a disagio in quelle situazioni familiari. Non sapeva come muoversi.

Salirono le scale della villa campagnola dallo stile rustico per poi entrare in un appartamento al terzo piano, dove Amber fu investita da due furie dai capelli ramati, simili a quelli di sua nonna. I loro occhi erano uguali, di un giallo felino con delle scaglie di nero, che ora la guardavano, preoccupati, mentre la abbracciavano.

-Amber, ci sei mancata tantissimo!-
Dissero all'unisono, mentre forzavano un sorriso.

Le due gemelle, sue cugine di secondo grado milanesi, ora erano davanti a lei. Per Amber erano sempre state come altre due sorelle.

Entrambe erano di media altezza e indossavano lo stesso vestitino estivo grigio dai bordi bianchi.

-Astrid, Giuliette.- si, la madre milanese si era sposata un norvegese di origini francesi, ecco perché i nomi ed ecco perché la pelle chiara come quella di Amber.
-Siete mancate anche a me- sorrise lei dalle sue labbra fini.

Lorenzo era rimasto immobile dietro Amber, non sapendo che fare, né come muoversi.

La bionda si giró e gli sorrise calorosamente, tendendogli una mano per poi attrarlo da lei.

-As, Giuls, lui è Lorenzo- le due bambine fecero un grande sorriso e gli saltarono addosso, stringendolo con affetto. Il moro non poté far nulla se non ricambiare i saluti e arrossire per i complimenti.

Amber entró in una stanza, che era sempre stata quella che ospitava lei e Elise, in estate. Vedere quel letto vuoto le creó un ennesimo varco al cuore.

Si sedette sul letto appartenuto a sua sorella e ci si sedette sopra, sulle coperte nere come la pece, nulla a che vedere con le trapunte colorate del suo letto. Sua nonna ci teneva particolarmente al lutto, ma evidentemente non voleva far pesare la perdita a Amber, quindi non si era vestita di nero.

La bionda si guardó intorno, vedendo foto appese per la stanza: lei che faceva un saggio di danza, Elise in un saggio al violino, entrambe che reggevano un mazzolino di fiori raccolti nella serra della nonna.

Amber si ricordava perfettamente della faccia della nonna quando trovó le sue azalee piantate due anni fa e maturate in mano alle sue nipoti, che non so spiegavano il suo disappunto espresso con un grugnito di rabbia.

A quel ricordo Amber non potè fare a meno che mordersi un labbro, per evitare di piangere, ma con scarsi risultati. Infatti le sue guance erano state tagliate da quell'acqua calda e salaticcia.

Si distese lentamente sul letto dalle coperte nere, stringendo la fotografia di entrambe con i fiori in mano al petto. Dopo qualche giorno finalmente si lasció andare i numerosi singhiozzi trattenuti, per poi sfogarsi in un pianto disperato qualche secondo dopo.

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-Ti ho sentita piangere- ammise Lorenzo, mentre spingeva la schiena di Amber con le mani.
I lunghi capelli biondi della ragazza le impedivano di vedere nitidamente quando andava indietro.

-Immaginavo mi avessi sentita- ammise lei giocando con la fune che collegava l'altalena con l'asse in legno su cui era seduta la ragazza.

-È che... Mi manca tanto. È questo era un posto della nostra infanzia- ammise lei, guardando in basso. Fu costretta a ritornare a guardare davanti a lei, o la nausea avrebbe avuto il sopravvento.

-Capisco...- fece lui, continuandola a spingere.

Ad ogni spinta Amber protendeva i piedi verso il cielo, tentando di toccare le nuvole con la punta delle all star.

-È bello vedere una famiglia così unita- mugugnó Lorenzo.
-Si... Sai, se si sta in compagnia è più semplice dimenticarsi delle cose brutte.-

Lorenzo fermó il movimento, per poi farla scendere dalla giostra e farla sedere sul prato accanto ad essa.
Il moro prese a tirare l'erbetta su cui era seduto e Amber lo imitó.

-Credevo che stando da soli il dolore sarebbe mano a mano scomparso ma mi sbagliavo. Cose come i lutti, o la solitudine vanno affrontati insieme all'aiuto di chi ti sta accanto. Non da soli.-

Amber sorrise, facendo splendere i suoi occhioni celesti.
-Sono contenta tu sia giunto a questa conclusione.-
Lui annuì di riflesso, come per assecondare se stesso.

-Sai- riprese lui -sono anche arrivato alla conclusione che i nostri demoni non sono qualcosa da combattere, ma qualcosa da accogliere come parte di un individuo. E per la cronaca- alzó lo sguardo dall'erbetta stracciata -amo i tuoi demoni-

Amber arrossì e amplió il suo sorriso, quando una piccola Golden Retriver si intromise fra i due e saltó in braccio alla sua proprietaria, mandandola a terra e leccandole il collo.

-Emily! Basta!- rise Amber, staccando la cagnolina dal suo volto, mentre osservava Lily, il gatto Persiano, che si faceva accarezzare da Lorenzo, facendo le fusa.

-Sono offesa- ridacchió Amber, a quella vista -da lui ti fai fare di tutto e io sono fortunata che non mi graffi se ti accarezzo. Grazie tante- fece la finta offesa.

Fra risate e occhiate entrambi finirono sdraiati e abbracciati sul terreno asciutto, a guardare il cielo. Stavano facendo combaciare le loro mani, e Amber notó solo adesso di quando ossute fossero le dita di Lorenzo. Tuttavia aveva una splendida mano.

Era perfetto nei suoi piccoli difetti.

Ed entrambi si amavano era questo l'importante. E i loro demoni in realtà non esistevano.

I loro demoni erano loro stessi.

                              Fine

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