18
Rispose in modo disattento a tutte le domande che la donna le porse, e lei se ne accorse dopo poco. Si era segnata molte cose sul suo conto: su dieci domande fatte, solo due avevano avuto una spiegazione logica mentre, le rimanenti, erano un"non ricordo".
Le fece fare qualche esercizio per la memoria, quali il memorizzare figure, parole, frasi.
-"Ti ricordi la prima parola dell'ordine?"
-"Tazza...?"
-"Si, corretto! E il secondo?"
-"Fiore."
-"Corretto ancora una volta... Ti ricordi se c'era anche la parola "miele"?"
-"No, non c'era. Però c'era "mare", se non sbaglio"
-"Si, bravissima... Proprio non capisco: la tua memoria sembra andare benissimo, eppure non hai saputo rispondere a diverse domande. Senti, tesoro, sei per caso turbata da qualcosa?"
-"No, non penso."
-"C'è qualcosa, un suono magari, o un oggetto, che ti fa sentire strana o nostalgica?"
-"Si... La suoneria del mio telefono. Ho provato a guardare quello che ho impostato per i vari contatti sul mio cellulare, e ne ho trovata una parecchio familiare... "Yellow hearts", la suoneria di Annie, una ragazza con cui non ricordo di aver scritto."
-"Puoi farmela sentire?>"
-"Certamente."
Prese il telefono e fece partire la canzone, per poi entrare in uno stato di trance.
Si trovò in una stanza bianca, inginocchiata sul pavimento, uno schermo davanti agli occhi. Sembrava un filmato, un corto animato in bianco e nero.
Nei primi tre minuti della registrazione, erano disegnate due bambine, una più alta e una più bassa, mano nella mano. La loro forma cambiò, diventò più definita, sembravano diventate adolescenti. Poi, la prima, prese un oggetto appuntito e saltò addosso all'altra, che scomparì piano piano, come se si stesse smaterializzando.
Un urlo.
Spalancò gli occhi, ancora confusa, e una lacrima attraversò il suo volto.
Guardò la donna dall'altra parte della scrivania, per poi prendersi il viso tra le mani e sussurrare qualcosa.
-"Ti spiacerebbe ripetere? Non penso di aver capito. Stai bene?"
-"Devo andare, i-io... Non mi sento troppo bene.>>
-"Vuoi dirmi cosa senti? Magari troveremo un modo per superarlo." Provò a dire, ma venne bruscamente interrotta.
-"No! Io... Stammi lontana, devono starmi tutti lontano!" Sbottò correndo via.
Superò i genitori, che cercarono di fermarla, ma non ci riuscirono e dovettero inseguirla. Chiamò l'ascensore, ma finì con l'usare le scale, dato che era occupato.
Si trovò per strada, davanti alle strisce pedonali dove quella macchina aveva investito Roman... La stessa macchina che aveva visto parcheggiata davanti allo studio, l'auto della dottoressa. Si precipitò al cimitero, chiese ai custodi dove fossero alcune tombe e si fermò davanti a quella dell'amica.
-"Annie... Ma cosa ho fatto? Perché l'ho fatto? Annie... Annie!" Gridò, inginocchiandosi.
Rimase in quella posizione per diversi minuti, fino a quando un uomo non la prese e l'aiutò ad alzarsi: Andrew.
-"Karen... Che ci fai qui?"
-"... Mi spiace, mi spiace!"
-"Per cosa? Che ti è successo?"
-"Non potrò più venire a ripetizioni."
-"Oh, guarda, sta iniziando a piovere... Vieni con me, starai a casa mia fino a quando non smetterà."
Si avviarono verso la dimora del professore, dove si sistemarono e si sedettero al tavolo, in silenzio.
Fu la ragazza a rompere il silenzio per prima.
-"Professore... Perché siete così legato a quella marionetta? È così inquietante."
-"Oh, lui? Si chiama Travis. Consideralo come un amico. È stato un regalo di mio padre."
-"Capisco..."
-"Quindi, come stai?"
-"Non lo so. Oggi sono andata per la prima volta dalla dottoressa Seline e mi ha fatto tornare alla mente cose impossibili. Non so se siano ricordi reali oppure un incubo, però sembrava tutto così vero...!"
Continuò a parlare della visita, ma l'uomo non sembrava starla ascoltando: infatti, si era fermato al punto in cui aveva nominato la donna e da lì in poi aveva smesso di ascoltarla.
Guardò nella direzione di Travis.
Se davvero quella dottoressa era la Seline che conosceva... Sarebbe mai riuscita a smascherarlo, tramite i ricordi di Karen? Avrebbe intuito i suoi piani contorti? Lo avrebbe aiutato oppure l'avrebbe denunciato, in caso la verità fosse venuta a galla?
-"Cara, ti va di raccontarmi ciò che è successo?"
-"Preferirei di no."
-"E perché?"
-"Perché ormai nulla ha più senso." Affermò, per poi scappare.
La pioggia era gelida, ma nulla la fermò dall'arrivare davanti alla caserma di polizia, dove si fermò.
Guardò le sue mani, bagnate da tante piccole gocce trasparenti, e poi le strinse.
Osservò per l'ultima volta la strada dietro a sé, e infine entro nell'edificio. Una strana forza le stava dicendo di tornare indietro, di non muoversi, di non parlare, di chiudere gli occhi, ma questa forza era troppo debole.
Avanzò, imperterrita, e iniziò a seguire un poliziotto, cercando di attirare la sua attenzione.
-"Cosa c'è piccola? Ti sei persa?"
Provò a rispondere, ma la sua voce sembrava essersi fermata nella sua gola.
-"Stai bene?" Continuò l'agente.
Prese un foglio dal tavolino a lato della stanza e una matita, e provo a scrivere con quelli, ma il suo braccio non rispondeva correttamente e, la troppa pressione esercitata sulla matita, finì per farne spezzare la punta.
Ormai esausta, Karen iniziò a piangere, facendo preoccupare ancora di più l'uomo che la stava guardando.
-"C'è qualcosa che non puoi dire?"
Provò ad annuire, ma neanche la sua testa sembrava volersi muovere.
-"Vieni con me."
La portò in una camera molto spaziosa: era quasi completamente vuota, le pareti erano grigie e il pavimento era nero, non c'era nessun appoggio.
Si sedettero sul pavimento, a gambe conserte. Il poliziotto aveva preso un blocco di fogli, e ne strappò due, per poi scriverci "si" e "no" sopra.
Li posizionò davanti alla giovane, che li scrutò, confusa.
-"Ti farò delle domande e mi segnerò le tue risposte qui. Per rispondere, ti basterà solo spostare lo sguardo sul foglio giusto, va bene?"
Detto questo, la giovane portò gli occhi sul pezzo di carta a destra, dove c'era il "si".
-"Perfetto, allora iniziamo".
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