13
-"Mi chiedo dove sia il problema, And-" il burattino fu interrotto da qualcuno che bussò alla porta.
-"Shh, è arrivata..." Sussurrò a Travis per poi esclamare ad alta voce "Avanti!". La porta si aprì e Karen entrò.
-"Buongiorno professore, sbaglio o stava parlando con qualcuno?" Chiese sospettosa la ragazza mentre setacciava l'intera stanza con lo sguardo, come se stesse cercando qualcosa o qualcuno. Andrew la guardò dubbioso.
-"Sì, ero al telefono per questioni di lavoro." Mentì McCoy.
-"Oh, capisco. Iniziamo? Non penso di aver capito bene l'argomento trattato stamattina dalla mia professoressa e volevo chiarirlo il prima possibile..."
Karen si sedette e, inevitabilmente, il suo sguardo cadde sul burattino poggiato sopra la mensola.
-"Certo, dimmi tutto. Oggi mi sembri più allegra del solito, o sbaglio?"
-"Effettivamente è vero, stranamente sono di buon umore."
-"Ne sono contento, è da tanto che non ti vedevo sorridere."
Karen abbassò il capo, leggermente imbarazzata. Prese dallo zaino il libro e insieme iniziarono a studiare. Andrew si soffermava spesso a guardare gli occhi scuri della ragazza, nella speranza di riuscire a capire la ragione di tale contentezza.
Travis, invece, aveva capito tutto e non poteva che non essere soddisfatto della piega che stavano prendendo i fatti.
***
Karen entrò in casa, lanciando la giacca sull'attaccapanni. Mentre saliva le scale per andare nella sua camera, notò la madre seduta sul divano, che guardava la televisione distrattamente. Gli occhi erano incorniciati da terribili occhiaie e tra i capelli scuri, legati in alto alla meglio e buona, si intravedevano le radici bianche.
La ragazza sospirò tristemente, la donna sembrava essere invecchiata di colpo.
Lasciò cadere lo zaino e corse dalla madre per abbracciarla. Lei scoppiò a piangere. Karen non sapeva che fare, era spiazzata da quella reazione: raramente l'aveva vista piangere.
Pensò di consolarla usando il metodo che Roman aveva sempre utilizzato con lei quando era giù di morale: la strinse ancora più forte e le sussurrò parole dolci e rassicuranti. Facendo questo, le venne subito in mente la promessa che si era fatto solo qualche giorno prima: si sarebbe vendicata di coloro che le avevano strappato suo fratello. Lo avrebbe fatto a tutti i costi.
Quando si staccarono dall'abbraccio, Karen si allontanò dalla stanza con un ghigno disegnato in volto. Invece di entrare nella sua camera, entrò in quella del fratello, dove sapeva che c'era il computer. Si chiuse a chiave e lo accese per fare un paio di ricerche su una persona.
In quel momento si sentiva come la sua amica Annie e, pensando ciò, ridacchiò tra sé e sé.
Una volta trovate tutte le informazioni che le servivano, spense il computer e uscì dalla stanza come se nulla fosse. Era nervosa, ma non poteva darlo a vedere.
-"Dai, la prima volta è andata bene, perché non dovrebbe essere così anche questa volta?" Continuava a ripetersi in continuazione per cercare di scacciare l'ansia.
-"E se invece mi scoprono? ...Ma no! Se sto attenta non succederà. O almeno spero..."
Per distrarsi si mise le cuffie alle orecchie e fece partire della musica. Si lasciò andare alle note e cantò il ritornello delle sue canzoni preferite, lo faceva sempre quando era nervosa, l'aiutava a rilassarsi.
Quando si calmò un po', prese il telefono e rispose ai messaggi dei suoi amici; per un attimo aveva dimenticato tutte le sue preoccupazioni.
***
Andrew fumava mentre guardava fuori dalla finestra, pensieroso.
-"Ucciderà un'altra persona stanotte."
-"Mh?" Mugolò girandosi verso la marionetta.
-"Ho detto che la ragazzina ucciderà un'altra persona. Stanotte, per l'esattezza."
-"Karen? Davvero?"
-"Sì. Ha anche ucciso quel Jonson... e credo di aver capito il perché."
-"Sentiamo." Disse McCoy che fremeva dalla curiosità. Aveva il presentimento che centrasse la morte di Roman, ma non riusciva in nessun modo a collegare le due cose.
***
La notte era scesa nelle strade di Ravensville, fredda e cupa come sempre. I lampioni illuminavano debolmente le strade poco frequentate di quel martedì. Le persone temevano la banda di criminali che si aggirava da un po' di tempo e, per questo, cercavano di uscire il meno possibile, soprattutto di sera.
Karen camminò a passo felpato verso la stanza dei suoi genitori e si affacciò: dormivano profondamente. Perfetto.
Indossò una felpa nera, un regalo di Annie fatto un anno prima per il suo compleanno, e uno scalda collo del medesimo colore. Con quest'ultimo, si coprì bene il volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Uscì dalla porta sul retro della cucina e si avviò in strada.
Presto, si rese conto che le era difficile orientarsi in città di notte, soprattutto in quel quartiere, che non visitava da qualche anno. Si fece coraggio e proseguì ancora per un centinaio di metri prima di svoltare in una delle vie principali della città.
Sospirò, almeno non si era persa.
Poco dopo, arrivò al parcheggio dell'ospedale e, dopo essersi nascosta per bene, iniziò ad aspettare. Passò all'incirca una mezz'ora prima di vedere due uomini parlare tra di loro mentre si avvicinavano a una Citroen nera. Uno dei due aveva delle cartelle in mano, lo vide in faccia e capì che era proprio lui l'uomo che stava cercando.
Non era molto alto, un paio di occhiali posati sopra al naso adunco, il capo era coperto da pochi capelli, quasi bianchi, esattamente uguale alla persona nella foto.
-"Piacere di incontrarti, Stuart Mears..." Sussurrò la ragazza osservando ogni suo movimento.
L'altro signore salutò Mears ed entrò in macchina mentre, Stuart, uscì dal parcheggio a piedi e iniziò ad incamminarsi seguito a ruota da Karen in una direzione ancora ignota alla ragazza, ma che molto probabilmente era la sua abitazione.
L'uomo controllava spesso dietro di sé, era nervoso e si sentiva osservato. Aumentò il passo, sperando che fosse solo un'impressione, finché non arrivò davanti casa. Aprì la porta e si chiuse immediatamente a chiave. La ragazza si soffermò a guardare la targhetta di fianco alla porta e sorrise.
"Dott. Stuart Mears, neurologo."
Karen camminò per tutto il perimetro dell'abitazione, cercando una via di accesso, che scoprì essere la finestra del bagno, lasciata socchiusa. Era piccola ma, la corporatura esile della ragazza, le permise di intrufolarsi senza problemi.
In punta di piedi, uscì dal bagno e cautamente iniziò a girare nella casa dell'uomo: lo trovò appisolato sulla poltrona. Estrasse un coltello e gli tagliò la gola in un gesto netto e rapido, Mears spalancò gli occhi un attimo prima di morire.
Si allontanò di qualche passo dal cadavere del dottor Stuart: da una piccola parte di sé era inorridita da quello che stava facendo ma, dall'altra, era convinta di aver fatto la cosa giusta: quell'uomo avrebbe dovuto salvare suo fratello dal coma e invece era morto.
Aveva avuto la punizione che si meritava, così come quel Cole Jonson... Quando Karen aveva visto il suo vicino di casa guidare una macchina identica a quella che aveva investito Roman, qualcosa dentro di lei le disse che era proprio quella.
Pensava che loro due fossero i responsabili della morte di Roman e perciò meritavano di pagarne le conseguenze con la morte.
Si pulì il sangue dalle mani e, prima di uscire, si girò per guardare un punto indefinito della stanza. Inclinò leggermente la testa di lato e sorrise dolcemente.
-"Hanno avuto ciò che meritavano, adesso sei contento, fratellone?" Restò per alcuni secondi in silenzio, come se aspettasse una risposta.
-"Sì, anch'io lo sono." Sussurrò prima di uscire dalla casa.
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