12
I giorni passavano, Karen non sembrava stare meglio. I suoi occhi erano... vuoti. Nell'arco di quei dieci giorni erano avvenuti tre omicidi ma la polizia continuava a non trovare tracce oltre a un'impronta: aveva la sagoma di una scarpa, probabilmente un 39, un numero troppo usato per capire a chi appartenesse. McCoy sembrava invece godersi queste giornate, se ne stava tranquillo a guardare fuori dalla finestra, aspettando l'arrivo della ragazza che, come al solito, l'avrebbe guardato con sguardo spento e avrebbe ignorato ogni sua parola in fatto di geografia.
-"Sembra proprio una marionetta adesso: non è soltanto manipolabile a causa dei miei poteri, ma lo è anche dal suo lato sentimentale. Una parola di troppo e ti ucciderebbe. In questo momento è parecchio sensibile, ma è come se non lo fosse. Non mostra sentimenti oltre alla rabbia, neanche un minimo di risentimento... Questa è una cosa positiva: adesso non cercherà di sicuro di opporsi al mio volere, al nostro volere. Non oppone più resistenza, per lei uccidere ora non ha più il peso che aveva una volta."
-"In tutto questo però c'è una cosa che non mi torna, caro amico di legno."
-"Ovvero?"
-"L'ultima vittima, Cole Jonson..."
***
La routine di Karen ormai si limitava nel dormire, studiare, mangiare e a volte recarsi da McCoy. Una parte di lei voleva reagire, capire che ormai non c'è più nulla da fare e andare avanti, ma l'altra parte di lei, quella prevalente, non riesce a dimenticarsi dell'accaduto: la strada, la macchina, uno strano rumore, le urla... I genitori l'accompagnarono a scuola, avevano paura che, camminando affianco al luogo dell'incidente, la ragazza avrebbe potuto avere un attacco di panico. Non appena scese, sua madre la salutò mentre suo padre si limitò a farle un cenno. La prima ora c'era matematica, una volta Roman la aiutava, adesso doveva cavarsela da sola con i compiti e lo studio. Si sedette in classe e passò tutta la durata delle lezioni pensando ad altro e scarabocchiando sul quaderno che il fratello le aveva prestato e che non gli aveva mai ridato. Quel pomeriggio sarebbe andata da Andrew per affrontare il nuovo argomento e, diversamente dalle altre volte in cui cercava di ignorarlo, aveva il piacere di passare del tempo con lui: il troppo stare da sola la stava lentamente consumando, parlare con qualcuno le avrebbe fatto bene e lo sapeva.
-"Hey, come va?" Chiese la sua migliore amica sedendosi affianco a lei.
Karen si limitò a guardarla senza aprire bocca.
-"Domani ci sarà la gara di corsa, secondo me potrebbe aiutare a sfogarti."
-"In più è obbligatoria..." Aggiunse con un filo di sarcasmo e disperazione.
-"Potrei pensarci... Anche se penso di saltarla."
-"Ehh?! Vuoi lasciarmi da sola?"
-"Non penso di essere in grado di correre senza inciampare o perdermi nei miei pensieri e cadere."
-"Ma non ti è mai successo, quindi non devi esserne preoccupata."
-"La mia scarpa si è impigliata nella rete da pallavolo a bordo palestra e sono scivolata, sbattendo il naso."
-"Ok, ma quello è stato tanto tempo fa, e in più non ti può accadere se siamo all'aperto."
-"È successo due giorni fa e domani mattina, verso le 6, pioverà, quindi il campo sarà bagnato e io sicuramente finirò per terra."
-"Hai una scusa anche per me?" Domandò facendole lo sguardo da cane bastonato.
-"Non penso. Potresti dire che hai male da qualche parte e sperare che ti credano."
-"Ma non funziona mai!"
-"Scrivi una falsa giustifica."
-"Non sono brava a copiare le firme..."
-"Allora non so che dirti."
-"Mh, come pensavo. Mi toccherà correre, allora."
-"Si."
-"Tranquilla, scivolerò anche per te, non c'è bisogno di ringraziarmi."
Uscirono insieme dalla scuola e si salutarono quando arrivarono a casa di Karen. La ragazza decise di farsi una doccia veloce: nonostante fosse pulita, qualcosa la faceva sentire costantemente... Sporca. Legò i capelli per non bagnarli e, non appena si asciugò, si mise dei vestiti abbastanza comodi e uscì di casa con il libro di geografia tra le mani. Raggiunse la casa del professore in poco tempo e si fermò a guardare la struttura e il guardino. Qualcosa era cambiato, ma non riusciva a capire cosa. Fece qualche passo e bussò alla porta: ad accoglierla, c'era la simpatica signora che la fece accomodare e le disse di aspettare un attimo prima di andare nello studio.
***
-"Ho sentito il rumore della porta, non ci vorrà molto prima che la ragazzetta arrivi qui. È meglio che ti sbrighi se vuoi dirmi qualcosa." Gli comunicò agitato Travis.
-"Tranquillo, caro, non salirà per i prossimi 10 minuti."
-"Oh. Avevi pensato anche a questo, non è così?"
-"Ovviamente. Sai che non mi piace parlare di queste cose in fretta, è meglio se prese con calma."
-"Quindi? Hai intenzione di fare ancora il misterioso oppure vuoi dirmi questa cosa così importante?"
-"Certo che per essere un pezzo di legno sei parecchio impaziente, eh. L'uomo che è stato ucciso, Cole: è di lui che dobbiamo parlare. Si è trasferito da poco nel quartiere di Karen, aveva 32 anni ed era sposato, aveva due figli. A quanto pare il giorno dell'omicidio loro non c'erano. La vittima è stata accoltellata quando stava bevendo della birra, ce n'era un po' sul pavimento, e l'altro giorno la ragazzina sapeva di Beck's."
-"Si, mi pare ovvio, è stata lei ad ucciderlo. Dove vuoi arrivare, Andrew? Vuoi dirmi che l'ho manipolata per farle uccidere la persona sbagliata? Mi hai fatto usare i miei poteri per nulla?? Guarda che richiede molta più energia di quello che sembra, sei un irresponsabile!"
-"No, Travis, non c'è bisogno di scaldarsi così, altrimenti andrai a fuoco."
-"Ah ah divertente."
-"Ho cercato il suo nome e non compare nella mia lista di vittime. Ho guardato anche se il suo conto bancario rientrasse nei miei interessi, ma nulla di tutto ciò. Travis: il giorno in cui Cole è morto ti ho chiesto di manipolare Seline. Non ne sono del tutto sicuro ma, se Karen fosse davvero la persona che ha assassinato quell'uomo, allora l'ha fatto di sua volontà."
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