2. Il postulato d'amore
"Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema. Quello che accade a uno di loro è continuare ad influenzare l'altro, anche se distanti chilometri o anni luce."
(Fenomeno dell'entanglemen quantistico)
Cos'è l'amore?
Ak267 se lo chiedeva spesso.
Progettato e programmato come perfetta replica di un essere umano, il prototipo definitivo del celeberrimo professor Archibald Kaythman camminava incurante dei pericoli nel fitto della giungla di Emipolaris.
Il cammino, oscurato dall'imponente vegetazione lussureggiante e popolato dalle più strane e inusuali creature, era una vera e propria trappola mortale per qualunque essere vivente che non conoscesse quelle zone, ma per Ak267 era poco più che una passeggiata.
Provvisto di visione notturna, percezione sensoriale allo stato dell'arte e una conoscenza del combattimento corpo a corpo non esigua, non v'era nulla che potesse frapporsi tra l'automa e il suo obbiettivo.
Obbiettivo che stava cercando da ore polari ormai.
Dove si sarà cacciata?
Superò una famiglia di Cornei Glifi, rettili maculati arancioni e verdi simili ai draghi di Komodo, mentre divoravano una preda uccisa con l'acido che gli adulti spruzzavano da un'apertura nel palato.
Proprio di fianco, un piccolo stormo di Plicos, uccelini color porpora, ocra e bordeaux si rifornivano con il loro becco adunco di nettare dal cespuglio nero e spinoso di Fedulorie, dai fiori argentati e dalle dolci e succose infiorescenze indaco.
Il terreno nero come pece era ricoperto ovunque dall'Erba Piana, che cresceva a un'altezza fissa di circa dieci centimetri, casa di svariati insetti striscianti a righe o a chiazze gialle, verdi e nere per confondersi con il terreno e sfuggire ai propri predatori.
Il Peregrino Amaranto era uno di questi; rapace dalle dimensioni ridotte ma dagli artigli affilati, era appollaiato sul ramo di una vicina Pentacolarea, albero ad arbusto che stillava veleno dalle lamine delle sue foglie a cinque punte verdi e viola.
Ak267 svoltò proprio sotto ai suoi rami colmi di frutti simili in forma e colore al corallo e si affacciò in una delle radure create dai Corvini Barbuti, alberi giganti che impedivano a qualsiasi cosa, tranne che all'Erba Piana, di crescere nei loro dintorni.
Finalmente la trovò.
Si era appisolata tra le enormi e secolari radici dell'albero, con un libro aperto in petto e Archie il Vertset che le ronfava in grembo.
Ak267 ebbe una sorta di déjà-vu nel vederla così inerme nel suo abito bianco, immersa in quella distesa verde-gialla con i fiori magenta che danzano al vento della fase semipolaris.
Si avvicinò piano, come la prima volta, senza svegliarli. Si sedette di fianco ai due e li osservò sonnecchiare sotto l'ombra scura.
Era passata circa una fase e mezzo da quando aveva trovato la giovane AI danneggiata Xeri e il Vertset Archie.
Non riusciva a comprenderne la causa, ma l'animale che assomigliava a un ermellino, con il manto blu elettrico, le parti inferiori bianche e la punta della coda blu notte, aveva adottato i due cyborg come nuova famiglia. Comportamento a dir poco inusuale, dato che erano talmente schivi da non essere visti nemmeno con la propria specie.
Ak267 memorizzò ancora una volta le fattezze di Xeri, il viso rotondo e gentile era circondato da una folta chioma di ciocche nere e ondulate, i cui riflessi alla luce della stella binaria erano blu.
Gli occhi, che ora erano chiusi, erano la sua più grande peculiarità. Non per le sue iridi viola tipiche dei tratti somatici dei Sidah, a cui era stata porgettata per assomigliare, ma perché erano in grado di mostrare emozioni, materia a dir poco astratta per repliche sintetiche di terrestri.
Infatti Xe592r1, numero seriale di Xeri, pur di sfuggire al suo destino di automa del piacere carnale si era autodanneggiata quasi fino all'autodistruzione.
Era stata una pura casualità che fosse stata scaricata nel cuore della macchia polariana, nel luogo in cui, in termini terrestri, Ak267 la trovò tre anni prima.
Il tempo su polaris però era scandito diversamente e un anno sul pianeta giungla equivaleva a dieci di quelli del pianeta blu, semisconosciuto ad entrambi.
Xeri era nata altrove, in una galassia specializzata nel produrre in massa automi di ogni specie, per il piacere personale dei signori dell'Alleanza Intergalattica; mentre Ak267 non vi era più tornato, dopo l'esilio forzato del suo creatore e mentore per essersi opposto quattrocento anni prima alla fondazione di un tale impero commerciale.
Mentre Ak267 rielaborava le informazioni in suo possesso Xeri palesò i primi sintomi di risveglio.
I robot non avevano necessità di dormire, ma erano stati provvisti di ogni funzione fisiologica umana, per far sì assomigliassero il più possibile a esseri viventi.
Xeri, da quello che Ak267 aveva compreso, si divertiva a comportarsi come un essere umano, atteggiamento probabilmente dovuto all'intenso addestramento neurale a cui le nuove generazioni erano sottoposte.
La ragazza, che aveva ogni caratteristica desiderabile da un essere umanoide, era stata caricata con ogni informazione riguardo la lingua, la cultura e naturalmente le preferenze sessuali di ogni specie censita dell'Alleanza.
La giovane AI si stiracchiò e il libro aperto sul petto cadde sopra ad Archie che, svegliato di soprassalto, soffiò a entrambi e si spostò su una delle radici più in alto, per riprendere il suo pisolino.
Quando finalmente aprì gli occhi, la sorpresa di vedere il suo maschio la colse.
− Kayth!
Era il nome che Xeri aveva illecitamente affibbiato ad Ak267 la sera che aveva ripreso il suo corretto funzionamento.
Un breve stop ai motori della pompa idraulica di Ak267 fecero sobbalzare il cyborg.
Da quando l'aveva conosciuta il suo cuore biomeccanico aveva iniziato a fermarsi a singhiozzi. Aveva fatto milioni di check up e debugging per capire la causa di quel malfunzionamento ma non era riuscito a trovare nulla che ne spiegasse il motivo.
Ciò andava a sommarsi al difetto che percepiva da anni polari di avere e di cui non sapeva trovare la radice.
Era infatti convinto che mancasse qualcosa alla sua esistenza, ma non sapeva cosa.
− Buongiorno Kyath! Che bella sorpresa vederti qui! Hai finito con il controllo di routine?
Ak267 sospirò, ultimamente si ritrovava a fare gesti sempre più simili al suo creatore.
− No, Xeri, non ho potuto nemmeno iniziare.
− E perché? − chiese l'AI con tutta l'innocenza di cui era stata dotata.
− Perché il controllo di routine stamattina era su di te.
− Ah.
Ak267 scosse la testa, incredulo all'idea che un'inteligenza artificiale munita di un'unità centrale di elaborazione a 1048 cores potesse dimenticare di avere una routine di controllo.
Decise di cambiare discorso.
− Cosa ci fai qui? Non ti ho detto che è pericoloso per un automa non del tutto addestrato venire qui, da solo, senza tuta protettiva per giunta? − disse, indicando il vestito bianco a fiori che la giovane indossava invece della tuta nera consegnatale da Ak267 e che lo stesso umanoide stava indossando.
L'AI guardò sottecchi il tessuto in microfibra e nanomacchine, che risaltava il prefetto corpo sintentico del cyborg, e scosse la chioma bluastra.
− Ho chiuso con quella roba, da oggi in poi solo vestiti, maglioni e minigonne!
Infatti aveva usato una parte dell'eredità del professor Kaythman per rifarsi un intero guardaroba. Non poteva mica andare nuda. Il signorino ultracentenario qui di fianco avrebbe fatto una scenata come l'ultima volta.
Ak267 stava per controbattere quando un ombra scura, molto più scura di quella fornita dal Corvino Barbuto, si abbattè su di loro.
I due automi si alzarono di scatto, i sensori di pericolo in pieno codice rosso.
Qualsiasi forma di vita che fosse scesa dall'astronave sopra le loro teste, non sarebbe stata di certo amichevole.
− È ovviamente per situazioni del genere che la tuta è fondamentale − ammonì Ak267.
Xeri sbuffò.
Improvvisamente un fascio di raggi gamma colpì il terreno di fronte a loro. Archie, terrorizzato dal bagliore accecante, si nascose sotto le radici del Corvino.
Quando la luce scomparve Ak267 provò per la prima volta nella sua esistenza sgomento e disgusto.
Il fascio aveva aperto una breccia nella chioma del secolare albero, polverizzando all'istante tutto ciò che aveva incontrato in millesimi di secondo. Il risultato fu una colonna di puro vuoto dall'astronave al terreno.
Ak267 stava ancora lavorando sulla percezione olfattiva dei suoi sensori, perciò notò solo poco dopo l'acre odore di carne bruciata provenire dal varco appena creato.
Se avesse avuto uno stomaco umano era più che sicuro che avrebbe vomitato.
Sotto lo sguardo ancora esterrefatto dei due umanoidi, una piattaforma circolare scese fluttuando dall'astronave.
Le tre creature erano tutte della stessa razza Rhyke.
Bassi e tozzi, assomigliavano a rinoceronti su due zampre, con la pelle spessa e bruno-rossastra che assumeva tinte più opache nelle pieghe del collo e della fronte, da cui spuntavano un duo verticale di corna grigie. Il volto piatto conteneva un naso largo e un paio di occhi porcini, senza contare la loro enorme mascella.
Il più vistoso dei tre, addobbato di tessuti pregiati di ogni fattura, posò gli arti superiori ricoperti da metalli preziosi sulla balaustra della piattaforma e parlò.
− Salve, abitante di Emipolaris, siamo qui in pace.
Ak267 non credeva agli impulsi elaborati dalle sue orecchie bioniche quando sentì la creatura pronunciare la parola "pace". L'automa non rispose al saluto e l'imbellettato Rhyke si offese, sbuffò aria dalle grosse narici e mosse rapidamente le piccole orecchie brune.
− Il mio nome è Dromhot-Liai-Sukmet, conte e consigliere reale di sua maestà Drajakahr-Jin-Ahrard, principe imperiale e primo erede di sua Maestosità Drajakahr-Jin-Ofger, re supremo del pianeta di Drajakhar.
Al suono di quei nomi Xeri si incupì e si posizionò dietro il suo maschio.
Ak267 fece mentalmente un breve sunto della situazione. Xeri non aveva mai parlato del padrone che l'aveva ordinata e per cui era stata programmata, ma osservando la sua reazione Ak267 comprese che i tre pseudo-rinoceronti erano giunti fino a Emipolaris per lei.
Decise di non trarre conclusioni affrettate e chiedere ai diretti interessati.
− Cosa vi porta qui, Vostra Eccellenza, in questa sperduta galassia?
Il Rhyke sorrise e i suoi occhietti neri brillarono.
− L'AI che è dietro di voi, abitante di Emipolaris, appartiene a sua maestà il principe. Egli ha mandato me a recuperarla.
Ak267 incosciamente si irrigidì. Il che fu insolito, dato che non era provvisto di un incoscio.
− Mi dispiace, Vostra Eccellenza, ma l'AI dietro di me è difettoso, è stato scaricato in questo luogo dai vostri stessi erosiani.
Il conte fece una smorfia.
− Nessuno dei miei erosiani si sarebbe mai permesso di scaricare qui una sua proprietà! Quella cosa lì si è scaricata illegalmente da sola!
Ak267 si voltò verso Xeri e la giovane non potè nascondere la sua colpa.
Un'anomala sensazione pervase il sistema idraulico ed elettrico di Ak267.
Lei gli aveva mentito e lui le aveva creduto.
Com'era stato possibile?
Com'era possibile che un'intelligenza artificiale fosse in grado di mentire?
Eppure l'aveva smontata e rimontata pezzo pezzo quando l'aveva riparata.
Xeri era una replica bionica, esattamente come lui.
No, lei era una replica di lui, creata in base al suo modello, al suo codice sorgente.
Aveva studiato i file caratteriali di Xeri, i sistemi feedback e feedfoward delle sue reti neurali, eppure non sembrava fossero così avanzate rispetto a ciò che il professore aveva programmato.
Sapeva che nessuno era stato più in grado di eguagliare il suo genio e nessuna modifica sostanziale era stata fatta al codice sorgente.
Xeri aveva spiegato ad Ak267 come fosse riuscita a danneggiarsi volutamente e perciò Ak267 non aveva sollevato dubbi riguardo la logica del discorso.
Ma mentire...
E lui?
Lui, che si era fatto abbindolare da una macchina quattrocentodiciasette anni più giovane di lui?
Il Rhyke non attese la conclusione dell'elaborato di Ak267, ordinò invece ai due dietro di lui.
− Fan, Dan, voglio quella PleasureBot®, ora!
I due servitori si inchinarono e a dispetto della loro stazza scesero con agilità dalla piattaforma.
Lance ben ferme alle mani si avvicinanorono minacciosi verso i cyborgs.
Ak267 assunse la posizione di guardia del krav maga, disciplina utilizzata per l'autodifesa.
I Rhyke fraintesero le mani alzate al petto e i gomiti piegati a 90° come gesto di resa e il conte se la rise di gusto.
− Bravo, vedo che hai capito! Nulla può sfuggire a sua Maestà! − disse senza troppi formalismi.
Ak267 fece una smorfia. Non era del tutto consapevole del motivo, ma nonostante le bugie dell'AI, non avrebbe permesso a quei barbari di portarla via.
Quando vide che l'automa non si spostava digrignò i denti e urlò ai suoi sottoposti.
− Prendeteli!
I due servitori si scagliarono contemporaneamente su Ak267.
L'automa schivò la lancia del primo Rhyke, parò il fendente del secondo con il lato esterno della mano destra e con la sinistra ancora libera gli sferrò un colpo alla gola tozza.
Mentre il Rhyke numero due lasciava la lancia e si portava le estremità delle zampe alla parte lesa, Ak267 non perse tempo, lo afferrò per una spalla, gli tirò un calcio negli zebedei, mise il piede destro dietro al suo sinistro e con un unico movimento fluido lo atterrò.
Il primo, che aveva assistito inerme alla scena rinsavì e attaccò il cyborg di nuovo, la punta della lancia dritta al petto dell'automa.
Ak267, per tutta risposta, agguantò la lancia, la strattonò, fece leva su di essa e si sollevò per arrivare con le gambe al collo del suo assalitore, per poi atterrarlo come il compare.
Nel giro di venti secondi scarsi il combattimento era finito e l'unico in piedi era l'automa.
Il conte, livido in volto, premette un pulsante dal suo bracciale in oro puro e in una frazione di secondo decine di fasci luminosi circondarono l'albero.
Alcuni istanti più tardi dalle colonne di fumo comparvero dozzine e dozzine di altri Rhyke, nella stessa tenuta da gladiatori dei primi due.
− Consegnaci l'AI, umano. Se lo farai né a te né a questo pianeta verrà fatto del male.
Ak267 esitò, battere l'orda tutta insieme non era difficile come poteva sembrare, ma la minaccia del conte a Emipolaris non poteva essere presa con leggerezza.
Non poteva rischiare di coinvolgere milioni di forme di vita solo per un automa.
Eppure non si mosse.
Sacrificare uno per il bene di molti era la cosa più logica da fare.
Eppure non riusciva a spostarsi.
Non riusciva a muoversi.
Doveva salvare il pianeta.
Ma non voleva lasciarla andare.
Fu lei a decidere per tutti.
− Verrò con voi.
Ak267 si voltò verso la ragazza, il cuore bionico aumentò i suoi giri al minuto.
Xeri gli sorrise.
Ak267 non comprese che tipo di sorriso fosse, non aveva una conoscenza delle emozioni tale da interpretare ciò che la ragazza stava provando. Ma sapeva che una volta salita su quella nave non l'avrebbe mai più vista.
La giovane AI si avvicinò all'automa ultracentenario, le mani di lei tracciarono per l'ultima volta il volto di lui.
− Grazie − infine disse.
Lo baciò.
Ak267 non avrebbe dovuto avvertire nulla.
La carne sintentica dei robot non era innervata e perciò la percezione del bacio era inesistente.
Eppure una scarica elettrica pervase il corpo di Ak267, che in un automatismo strinse a sé la ragazza.
Durò solo una manciata di secondi, ma la sua memoria sarebbe stata eterna.
− Addio Kayth.
La ragazza si allontanò dalle braccia dell'uomo e salì sulla piattaforma del conte.
Ak267 rimase a fissarli mentre la piattaforma, insieme alle altre, risaliva verso l'astronave per poi partire alla volta di Drajakhar.
Archie con un balzo si accoccolò sulla spalla di Ak267, come per consolarlo.
L'automa si sentiva svuotato.
Come se i circuiti di cui era dotato fossero spariti tutti, tirati via dalla stessa creatura che aveva preso Xeri.
Riconobbe la sensazione di mancanza.
Ciò che aveva scambiato per un difetto, era in realtà solitudine.
Ed era più forte di prima.
Se avesse avuto lacrime, avrebbe pianto.
Ak267 ricordò invece un'equazione matematica che faceva proprio al suo caso.
(i∂̸ – m) ψ = 0
L'equazione di Dirac che descrive l'invarianza relativistica del moto dei fermioni, particelle subatomiche che compongono la materia e l'antimateria.
La formula matematica che descrive l'entanglement quantistico.
Il postulato dell'amore.
Ak267 fissò il punto dove la nave aliena era scomparsa.
Xeri aveva cambiato la sua intera esistenza.
Ora era il momento di cambiare quella di Xeri.
Note dell'autrice:
BeaNihi desu~~!
Vorrei iniziare con il ringraziare bordins_ per avermi spronato a scrivere una storia di fantascienza, che sono tanto pigra e preferisco leggerli piuttosto che scriverli! >_<
Poi vorrei chiederle scusa, perché avevo promesso di rimanere al massimo entro le 2500 parole e invece sono 2703. --________--
In realtà questa storia è mooooolto più lunga, siamo ormai credo oltre le 5000 parole, e come avete visto non è nemmeno finita. Perciò, a contest concluso, con il nulla osta di Bordins naturalmente, ho intenzione di pubblicare la versione integrale :)
Grazie per essere arrivati fin qui!!
Xoxo
BN
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