Chapter 4: Un piccolo Grazie

Tutti i giorni succedeva la stessa cosa.
Katsuki varcava il cancello del liceo, Izuku riusciva sempre a vederlo e lo salutava sollevando una mano e lui si nascondeva tra gli studenti, incassando chissà perché la testa nelle spalle.
Pensava che così avrebbe fatto capire a quel lentigginoso broccolo di non continuare come se fosse stato un cane festoso ma l'Alpha doveva essere duro di comprendonio, perché pure in classe gli sorrideva in continuazione e cercava sempre di incrociare i suoi occhi.

Katsuki fingeva che non esistesse ma lo sguardo di Izuku si faceva ancora più pesante sul suo collo quando qualche professore lo chiamava alla lavagna e lui dava dimostrazione in pochi minuti della sua intelligenza, risolvendo senza fatica qualunque operazione o quesito.
Neanche durante l'ora di pranzo poteva starsene tranquillo. Trovava l'Alpha seduto a gambe incrociate, con lo sguardo rivolto al cielo o gli occhi chiusi sul tetto: Katsuki indugiava se sedersi accanto a lui ma poi si arrendeva e sbuffando iniziava a mangiare.

In quei momenti, nessuno dei due spiccicava una singola parola.

Curiosamente - e per gran gioia di Katsuki - nelle svariate ore di educazione fisica dedite alla pallavolo, non era capitata una sola volta in cui erano finiti nella stessa squadra o di affrontarsi. L'Omega non aveva mai avuto alcuna prova della forza o bravura di Izuku, a differenza di quest'ultimo che sempre lo osservava.  
E infine, quando l'ultima campanella risuonava, Izuku ancora lo seguiva come un cagnolino, speranzoso di avere anche un semplice "Vaffanculo, cane di un nerd!".

Con il liceo alle spalle, ogni giorno, Katsuki saliva nell'utilitaria nera di sua madre o quella argentata di suo padre, sui sedili posteriori e abbracciava immediatamente qualcosa. O qualcuno.
Izuku non aveva mai scorto Katsumi e per questo aveva iniziato ad essere molto curioso. Ma era anche, in fondo, abbastanza intelligente da non chiedere, né di essere invasivo.
Katsuki poteva sicuramente essere un buon amico, se lo sentiva nel midollo, ragion per cui non voleva rischiare di rovinare tutto. 

Improvvisamente, quel fiume di pensieri che tanto aveva portato Izuku Midoriya a estraniarsi completamente dalla realtà, s'interruppe bruscamente. Cadde in terra con un dolore terribile allo stomaco e la criminale rimbalzò un paio di volte accanto a lui.
Dopo un momento di nebbia, la sua vista tornò normale, sebbene accompagnata da qualche lacrimuccia. Izuku si mise seduto, guardò il pallone da basket e i due piedi che gli sostavano dinanzi. 
Ah, giusto. Non c'era la pallavolo, bensì la pallacanestro...

– Quando la smetterai di starmi appiccicato al culo?  

L'Alpha sollevò lo sguardo a Katsuki che si stagliava contro i faretti alogeni sotto il soffitto della palestra coperta. Sembrava un angelo, con gli occhi luminosi, il volto un po' nella penombra e i capelli che brillavano d'oro. O meglio, un angelo con le fattezze di un ammaliante Succube.
La rabbia non arrivò mai; il funghetto verde in silenzio si rimise in piedi e gli passò la palla. 

– Mi dispiace che stai fraintendendo.
– No, senti! Non prendermi per il culo! Sono dieci giorni che ti vedo come una cazzo di cozza!

Alcuni studenti guardavano la scenetta; Izuku si accorse dei loro occhi disgustati rivolti a Katsuki e ad alcuni che provavano pena per lui. Fu questo che lo fece amareggiare. 

La gentilezza - e la vistosa contentezza di interagire con il rabbioso Omega - svanì, sostituita da uno sguardo ostile, anzi, freddo. Katsuki tacque: improvvisamente non si sentiva più tanto a suo agio. 

– Va bene, scusami. Forse hai ragione ma in fondo è solo perché ho stretto amicizia solo con te.

Quella frase, solo all'apparenza gentile, era uscita dalle labbra di Izuku.
Sorrise appena, un'espressione molto tirata e falsa, dopodiché se ne andò in silenzio verso gli spogliatoi. Katsuki... beh, era rimasto di sasso. 

Cos'era quell'espressione da predatore?

L'Omega, colto da un momento di rabbia, scagliò la palla verso un canestro e senza curarsi di aver fatto incredibilmente uno splendido canestro marciò verso la porta della palestra.
Fuori l'aria si era leggermente raffreddata, dal cielo bianchissimo pioveva fitto. Gli alberi profumavano, le pozzanghere scoppiettavano e i fiori danzavano ad ogni folata di vento. 

Il giovane si sedette su un gradino con un volto torvo. Si asciugò il sudore della fronte con un lembo della divisa sportiva prima di sospirare gravemente. Non aveva caldo per via dell'allenamento. Katsuki affondò il viso nelle braccia e, nascosta dalle ginocchia vicine al petto, si sfiorò la cicatrice sotto ai vestiti. 

Il suo calore era imminente.
Solo per un secondo ripensò a Izuku, al suo odore e soprattutto allo sguardo freddo.

Che cosa sei?


***


Katsuki si girò per l'ennesima volta nel letto.
Iniziava a prendere coscienza di tutto ciò che accadeva intorno a lui, come il rumore della pioggia, l'odore di terra bagnata e la leggera brezza d'aria che faceva muovere le tende bianche della finestra.

Stanco, con gli occhi gonfi e il fisico provato, si mise seduto. Era ufficialmente il calore, lo capì dal leggero gonfiore alla ghiandola odorosa sul collo. La sfiorò: la sensazione appiccicosa e dolciastra si depositò dolcemente sulle punte delle dita, scivolando tra i loro solchi.
L'annusò... il suo odore era forte e riempiva la camera come un velo che appesantiva solamente lui. 

Cazzo, sempre un ottimo tempismo...

Non poteva mancare a scuola; avrebbe dovuto svolgere un test importante e si era preparato a lungo. I soppressori, pensò mentre si alzava e si trascinava in bagno, lo avrebbero aiutato.
Anche stavolta fu rapido.
Da quando era nata la sua piccola, aveva sviluppato un continuo stare all'erta, proprio come un micio che teme tutto. Non si concedeva mai più di cinque o dieci minuti per se stesso, posava sempre un occhio su sua figlia e rimaneva molto tempo a guardarla quando si addormentava. 
Aveva letto una volta che alcuni neonati dormivano e non si risvegliavano più. Inutile dire che questa era la sua paura più grande.

Il giovane non fece caso ai balbettii di Katsumi al piano inferiore e alla voce melodiosa di Mitsuki che cantava per lei mentre preparava la colazione. Masaru la teneva in braccio e di tanto in tanto le baciava le guance paffute.

Il giovane Bakugo sospirò; ancora una volta si era fermato sul penultimo gradino della scala di legno che conduceva al piano superiore e alla zona notte con un po' di paura. I suoi genitori non l'avevano mai guardato con pietà e li avrebbe sempre ringraziati per questo ma a volte, il ragazzo sentiva che guardare Katsumi gli ricordava che niente sarebbe stato più come prima.

– Buongiorno... 

I suoi genitori gli sorrisero calorosamente. Bakugo non aveva una bella cera e per questo non passò inosservato ai suoi genitori. Silenzioso, sedendosi sulla sedia, prese la bimba che, un po' dispettosamente, iniziò a tirare la sua camicia per tentare di poppare al petto.
Il biondo l'assecondò e la cullò un po' nel mentre che Mitsuki serviva il miso, del salmone ai ferri e qualche verdura.

– Tesoro, non hai affatto un bell'aspetto.
– Sono in calore, mamma, ma i soppressori mi aiuteranno. Non posso mancare al test di oggi. 

Masaru gli sfiorava dolcemente i capelli; sotto al lampadario, i suoi occhi erano molto più scuri per via della preoccupazione. Non lo aveva detto a sua moglie, ma fin dalle prime luci dell'alba aveva percepito l'odore forte di Katsuki filtrare da sotto la porta chiusa della sua camera. E quando lo aveva visto aveva avuto la conferma.

– Sei sicuro, figliolo? 

Il biondo annuì solenne, ma non lo guardò. E come avrebbe potuto farlo? La piccina che teneva la manina aperta sul suo petto la incantava e lo rasserenava con i rumorini che produceva poppando.
Katsuki baciò la testa di Katsumi prima di iniziare a mangiare. Non aveva molta fame e sentiva la gola ardere, per non parlare dei crampi nel suo basso ventre che gli sembravano pugni feroci.
Ma non disse mai nulla, non si lamentò. Era un Omega in fondo...

Quando arrivò l'ora di andare a scuola, Katsuki abbracciò il più a lungo possibile la sua cucciola prima di consegnarla con il dolore negli occhi a sua madre, in braccio.
Katsumi balbettò, cercando di richiamare la sua attenzione muovendo le manine e il giovane la ignorò, mentre chiudeva la porta di casa dietro di sé. I vagiti di sua figlia arrivarono ferocemente e subito e lui, con il cuore pesante, corse verso l'auto di suo padre che l'avrebbe accompagnato a scuola.
Per tutto il viaggio non una singola parola disse...


***


Il rumore dell'acqua riecheggiava nelle sue orecchie, tamburellava il cuoio capelluto umido e vorticava nello scarico del lavandino del bagno.
Katsuki aveva passato due ore infernali, con la testa pulsante e le parole sul foglio del test che s'intrecciavano e sbiadivano a tratti. Si era massaggiato le tempie, aveva mordicchiato la matita per il nervosismo e lisciato la ghiandola gonfia sotto due grossi cerotti color carne.
Quando il professore aveva raccolto i test, il giovane che non si era mai accorto degli sguardi preoccupati di Izuku, si era fiondato nei bagni. 

Erano dieci minuti che si faceva rinfrescare la testa e nessuno era mai entrato. 

– Katsumi, piccola mia...

Le mancava da morire. Ogni giorno non vedeva l'ora di tenerla tra le braccia e di coccolarla. La sua bimba non aveva nulla di quel mostro, per fortuna... forse era anche per questo che la guardava sempre.
La porta del bagno si aprì con un cigolio, Katsuki voltò di poco la testa; l'acqua scivolò dividendosi in due sul suo setto nasale e le goccioline brillarono a tratti, incastrate tre le ciglia lunghe e bionde. 

Izuku gli sorrise teneramente prima di sparire in uno dei bagni.
Con il rumore dell'acqua Katsuki non sentì altro, neppure i suoi pensieri che improvvisamente si erano zittiti con l'arrivo dell'Alpha.
D'un tratto si sentì tirare leggermente la manica corta della sua camicia. Izuku gli era accanto con un fazzoletto bianco in mano. 

– Ti prenderai un malanno stando sotto l'acqua fredda. 

Katsuki non era in forze per litigare; elegantemente lo ignorò con tutta l'intenzione di lasciarlo come un fesso nei bagni ma le cose non andarono secondo i suoi piani. Barcollò ed inciampò di qualche passo all'indietro.
Si aspettò una caduta, il dolore, ma...
... le mani di Izuku erano ruvide, la destra aveva una cicatrice spessa che avvolgeva il palmo e parte del dorso, serpeggiando lungo il polso. Poco sopra la piegatura del braccio, una fasciatura nera proteggeva la pelle dell'avambraccio. Ma perché?

Katsuki aveva gli occhi sbarrati e tratteneva il respiro. Izuku era molto vicino alla sua nuca e non aiutava il suo respiro caldo che deviava le goccioline d'acqua che dalle punte dei suoi capelli scorrevano sparendo nel colletto della sua camicia.
L'Alpha lo stava sorreggendo per gli avambracci senza la minima fatica; le sue scapole premevano contro il forte petto e un ginocchio gli teneva sollevati i glutei per tenere una posizione meno difficoltosa. 

Izuku lo spinse in avanti, Katsuki finalmente era tornato in piedi ma rigido come un pezzo di legno ed incredulo. Con uno scatto felino si voltò ma il verdino si era chinato verso il rubinetto per bere e non poteva guardarlo. 

– Perché mi hai aiutato?

Sprezzante, ferito, incredulo, stanco... Katsuki non sapeva decidere che stato d'animo aveva usato per chiedere quella frase flebile e rassegnata. Izuku si asciugò le labbra, non sembrava minimamente turbato, per gran disappunto del biondo. 

– Non so tirarmi indietro a chi ha bisogno di aiuto.
– Me la sarei cavata da solo.

Izuku non disse più nulla. Katsuki sospirò. Lo afferrò per un polso improvvisamente e lo trascinò verso la fine del corridoio dov'erano collocati tre distributori. Scelse con rabbia una bottiglietta di tè verde, le monete cozzarono contro la fessura e le unghie rumoreggiarono sul quadrante numerico per tutto il tempo.
L'Omega spinse malamente la bevanda contro il petto di Izuku ma non andò subito via. 

– Grazie.

Le guance dell'Alpha si tinsero di rosso. Quando si voltò, Katsuki era già corso via. Guardò il tè, un sorriso sbocciò sulle sue labbra. 

– Sei davvero gentile, Kacchan...

Ma quel suo sussurro non arrivò mai alle orecchie del biondo...



Angolo di Watchie

Cercare di rendere la lettura quanto più godibile è davvero una faticaccia. 
"Watchie ma tu mai ti accontenti?". E perché? Finora ho avuto il piacere di incontrare tante lettrici e persone fantastiche, quindi perché dovrei fermarmi? Voglio che le mie storie raggiungano il cuore di chi legge. 
Grazie a tutti voi che dedicate un po' del vostro tempo a leggere ciò che scrivo. E' molto importante per me! A domani! 

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