50 - Profezie
Un mese dopo
Folksir voltò il viso verso le sbarre quando sentì risuonare nel silenzio dei sotterranei dei passi pesanti.
Ser Martin si fermò davanti alla sua cella, facendo scorrere le chiavi sulle barre di metallo per richiamare la sua attenzione, nonostante non ve ne fosse bisogno dato che i loro occhi erano già incatenati.
«Hai visite» gli disse, monocorde.
Questo, lo sorprese. Nessuno veniva a trovarlo, non più.
Folksir aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere sul lettino di ferro che ospitava il suo corpo da un mese.
«Chi?» domandò.
Ser Martin gli scrutò il volto, infastidito, e non gli concesse risposta. Voltò il viso verso la sua sinistra e disse a qualcuno che Folksir non poteva ancora vedere: «Cinque minuti».
Poi se ne andò, senza rivolgere a lui un ultimo sguardo.
Folksir rimase fermo in una posizione scomoda, mentre aspettava che chiunque fosse andato a trovarlo si palesasse.
Noah?, si chiese, senza capire se quella possibilità gli portasse speranza o terrore.
Noah era la persona che più era andato a trovarlo, i giorni immediati il suo arresto.
Folksir non era uscito libero dalla camera in cui aveva trovato il corpo di Iris Larson. Ser Frederick, che aveva assistito a tutta la vicenda dal momento in cui Noah era tornato, l'aveva arrestato appena lo shock era sbiadito abbastanza da farlo mettere in moto.
Lo avevano trovato con Iris tra le braccia, e le sue grida erano bastate per accusarlo.
Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?
Folksir era uscito da quella camera come prigioniero, e non aveva mai lottato per dimostrare la sua innocenza. Sapeva di essere colpevole, e aveva accettato il suo destino in silenzio.
Noah, invece, non l'aveva fatto. La prima settimana aveva passato tutti i giorni lì, nelle viscere del palazzo, per cercare di farlo parlare, per cercare la verità.
Quello che non capiva, quello che non avrebbe mai potuto capire, era che nonostante non fosse stato lui a recapitare quella bottiglia di veleno, la colpa era comunque sua.
Così Folksir non aveva mai parlato e aveva accettato la sua condanna per avere ucciso quella che ora tutti i regni conoscevano come Iris Valsecchi.
La perduta figlia di Rocheforte.
Possibile che alla vigilia della sua esecuzione, Noah avesse deciso di tornare da lui e di provare, un'ultima volta, a cavargli la verità?
Folksir si mise in piede con uno scatto quando davanti alla sua cella si fece avanti non Noah, ma Nora.
Le parole gli vennero a mancare, ma le ritrovò comunque prima che lei potesse schiudere le labbra.
«Sei folle?» le sussurrò, con una preoccupazione però ben evidente nel tono basso. «Non dovresti essere qui.»
Folksir non aveva più visto Nora da quella note, da quando l'aveva lasciata tremante nel suo studio. Non era andata a trovarlo, ma Folksir non gliene aveva fatto una colpa.
Non dovevano rivelare il loro legame. Non avrebbe mai permesso che Nora venisse coinvolta in quella vicenda.
Nora arricciò le labbra in un debole sorriso. «Ciao, Matías» lo salutò, ignorando quanto le aveva detto.
Folksir deglutì, e il suo cuore pianse nel vedere le sue condizioni. Era dimagrita, i suoi occhi avevano perso la luce, le guance sembravano non conoscere la semplicità di una risata, e intorno ai suoi occhi vi erano delle ombre che Folksir sapeva non si sarebbero mai più dissipate.
«Nora...» fu l'unica cosa che riuscì a sussurrare, arreso.
Aveva sentito le guardie parlare, in quelle settimane. Sapeva che Nora, in qualche modo, aveva continuato a vivere. Sapeva che non avrebbero mai potuto accusarla di niente, a dispetto di quello che Noah aveva sostenuto all'inizio.
Nora era sempre stata scaltra.
Aveva programmato ogni cosa, da molto tempo. Aveva fabbricato quella trama in ogni dettaglio, anche considerando le pieghe da darle se un giorno, Iris Larson, sarebbe tornata miracolosamente in vita.
L'unico modo per lei di colare a picco era solo se Folksir avesse deciso di aprire bocca.
Per questo, la presenza di lei in quel sotterraneo lo metteva in agitazione. Le guardie avevano orecchie in ogni punto.
«Mi dispiace non essere venuta prima.»
Folksir scosse la testa. «Non dovresti esserci neanche adesso.»
Nora lo guardò dritto negli occhi. «Non potevo non vederti prima che...» si interruppe, incapace di mettere a parole quello che sarebbe successo all'alba. «Mi dispiace, Matías.» Non erano scuse vane. Folksir sentiva tutto il dolore che provava per lui, per loro e per la storia che non avevano mai potuto vivere. «Pensavo davvero che non saresti tornato» continuò, la voce sul punto di rottura. «Il modo in cui te ne sei andato quella notte...» scosse la testa, arresa. «Perché sei tornato?»
Folksir si avvicinò alle sbarre che li separavano, spinto delle onde del passato, e ne strinse una. «Perché non avrebbe fatto alcuna differenza, scappare.»
Una fioca luce di sorpresa si accese negli occhi di Nora. «L'hai sempre saputo?»
Che saresti stata la mia rovina?, avrebbe voluto chiedere.
Rovina.
Il crollo che provoca un disfacimento.
Ma che lascia sempre indietro qualcosa.
Cosa lasceremo di noi?
«Sì» le rispose. «Dal primo contatto dei nostri occhi.»
Lacrime leggere le solcarono le guance. Nora allungò una mano e strinse quella di lui intorno alla sbarra.
«Eppure mi hai seguito» mormorò, spezzata. «Perché?»
Folksir chiuse gli occhi. «Non avrebbe fatto alcuna differenza. Ci sono diversi tipi di rovina, Nora. Lasciarti andare l'avrebbe fatto comunque.»
Il respiro di Nora che si infranse sul suo viso lo fece tremare. «Rovinato, ma non...»
Di nuovo, si interruppe, incapace di dire quella parola.
Folksir sollevò le palpebre. «Sono stato al tuo fianco. Ho scelto l'alternativa che mi ha recato più felicità.» Le iridi di Nora erano allo stato liquido, e Folksir allungò la mano libera fuori dalla cella e gliela posò sulla guancia. «È stata una mia scelta.»
Nora adagiò il viso contro il suo palmo, e il cuore di Matías si riempì, per un'ultima volta, di puro e incondizionato amore.
«Avrei dovuto ascoltarti...» sussurrò lei, la voce rotta da emozioni. «Me l'hai sempre detto, che era meglio non sapere... avrei dovuto...»
«Shhh» cantilenò dolce Folksir. «Non sarebbe cambiato niente» cercò di rassicurarla, anche se ormai non ci credeva più neanche lui.
In quella stanza, un mese prima, erano morte tutte le sue convinzioni. Tutto quello che aveva creduto in quasi quarant'anni di vita era crollato insieme alla sua esistenza.
«È morta per...»
Ma Folksir la interruppe di nuovo, accarezzandole la guancia. «Sarebbe successo lo stesso.»
Ma Nora sembrò sentire che la sua voce non era più sicura come lo era stata un tempo, quando avevano parlato ore e ore sul destino. «No, se io non avessi saputo...»
«Sarebbe accaduto in un altro modo. Non si può sfuggire al destino, mia signora» si sforzò di dirle, con la stessa intonazione sicura con cui l'aveva ripetuto per anni. «Doveva accadere. Le tue mani sono state solo un mezzo del fato crudele.»
Voleva rassicurarla. Voleva convincerla, come lui lo era stato un tempo. Non aveva importanza che avesse perso la fede, adesso. Per lei, si sarebbe mostrato solido fino alla fine.
«Tempo scaduto.» La voce di ser Martin risuonò da lontano, mentre i suoi passi pesanti echeggiarono ancora una volta nel silenzio.
«Ti ho sempre amata, Nora» le sussurrò.
Non aveva più niente da perdere, ormai, e tra tutti i rimpianti che si sarebbe portato nella tomba non ci sarebbe stato anche quello.
Rilasciare finalmente quelle parole lo rese libero.
Ma non quanto lo fece l'ultima frase che Nora lasciò ad aleggiare nell'aria prima di essere portata via. «Anche io, Matías. E nella mia vita non c'è mai stato un giorno in cui io non abbia immaginato cosa sarebbe potuto essere se.»
E mentre Nora si allontanava, Matías cadde in rovina.
Lacrime calde si affacciarono ai suoi occhi, mentre lui e Nora tornavano bambini e poi adolescenti, nella casa della divinità celeste, e il ricordo del gioco del se gli infuse un dolceamaro dolore.
«Matías, cosa succederebbe se io non fossi una futura regina e tu un messaggero?» gli avrebbe chiesto una decenne Nora.
«Ci sposeremmo!» le avrebbe risposto un decenne Matías, facendola inorridire.
«Nora, cosa succederebbe se fossimo liberi?» le avrebbe chiesto un sedicenne Matías.
«Ce ne andremmo da qui, insieme, e viaggeremmo per il mondo» gli avrebbe risposto una sedicenne Nora, facendogli scoppiare il cuore.
«Anche io non ho mai smesso» sussurrò, anche se nessuno era rimasto ad ascoltarlo.
*
Contro ciò che aveva sperato, alla fine arrivò anche Noah.
Successe poco prima dell'alba, quando Folksir non lo temeva più.
Quando sentì dei passi farsi sempre più vicini, Folksir si tirò in piedi, pronto ad andare incontro al suo destino.
Invece, fece un passo indietro su gambe instabili quando dietro la guardia di turno vide il volto di Noah Hudson.
La guardia trafficò con le chiavi e aprì la porta della cella, facendosi poi da parte per lasciare solo Noah a fronteggiarlo.
«Lasciaci» ordinò.
La guardia fece un inchino e si affrettò ad allontanarsi. Per qualche istante rimasero così, avvolti nel silenzio, gli occhi di uno dentro quelli dell'altro, un abisso tra di loro.
Ma poi Noah fece un passo avanti ed entrò nella cella, accorciando le distanze. Gli si fermò davanti e Folksir rimase con il fiato sospeso, aspettando una sua mossa.
Il modo in cui si era avvicinato gli aveva fatto credere che Noah avesse avuto intenzione di abbracciarlo. E il momento sospeso di indecisione che li legò, gliene diede conferma.
Noah, però, sembrò decidere di non assecondare quell'istinto dettato da niente di più che da un'abitudine passata.
Lo superò e si sedette sulla branda alle spalle di Folksir.
Lui non si voltò verso Noah. Rimase a guardare la porta della cella rimasta aperta, ad ascoltare il silenzio che si protraeva per metri. Noah doveva aver congedato tutte le guardie, come ad aver spianato per lui la strada verso la libertà.
«Non ti fermerei, se adesso uscissi da questa cella» esordì Noah, come ad avere indovinato il corso dei suoi pensieri.
Folksir sospirò. Quella davanti a lui non era una vera opzione. Non l'avrebbe mai presa in considerazione.
Non sarebbe mai stato libero. Quella strada era solo un'illusione.
L'unico modo per liberarmi dalle mie colpe è affrontare ciò che mi aspetta all'alba.
«Perché?» domandò.
Noah si sorprese. Folksir lo capì anche senza bisogno di vederlo. Aveva passato tutta la prima settimana della sua prigionia a sommergerlo di domande, ma Folksir non aveva mai aperto bocca, per paura di ciò che avrebbe potuto uscirne.
Ma ora non aveva più importanza.
Noah si riprese dallo stupore della sua voce. «Perché so che sei innocente, anche non vuoi ammetterlo.»
Folksir scosse la testa e si voltò verso di lui, dando le spalle all'illusoria libertà. «È colpa mia, principe Noah, anche se voi non volete crederci.»
Queste parole accesero una rabbia ardente negli occhi di Noah. «Sia io, sia tu, sappiamo di chi è la colpa. Smettila di proteggerla, Folksir.»
«Perché ne siete così sicuro?»
Noah rise senza alcuna emozione, un latrato strascicato di vuoto. «Perché quel vino era destinato a me, e non esiste mondo in cui tu mi avresti ucciso.»
Folksir non poté fare a meno di sorridere, triste.
Non lo puoi capire, Noah. Quel vino non è mai stato destinato a te.
«Perdonatemi la franchezza, principe, ma non c'è niente di vero in quello che credete. È colpa mia.»
Noah schiuse le labbra, ma non ribatté.
Nel silenzio che seguì, Folksir scrutò tutti i dettagli del suo volto marmoreo. Non c'era più niente del ragazzo di un mese prima. Era finalmente diventato chi era destinato a essere.
Di nuovo come ad avergli letto nella mente, Noah riprese a parlare, gli occhi ora bassi e la voce più vicina a quella che era stata, ma comunque diversa. «Ho avuto déjà vu, la prima volta che l'ho baciata.»
Il dolore riempì così velocemente quella cella che Folksir sentì mancare l'aria. Non c'era bisogno che si spiegasse, che esplicitasse tutto quello che c'era di implicito in quell'affermazione. Era stato lui a spiegargliene il significato, a raccontargli ciò che credeva.
«E poi... ho avuto un déjà vu quando l'ho raccolta tra le mie braccia, quella mattina» aggiunse, e altro dolore strinse la gola di Folksir. «Hai la minima idea di cosa significhi vivere quel momento due volte, Folksir?»
Folksir annuì senza esitazione, ma poi si ricordò che Noah non lo stava guardando, così si fece forza per far risuonare le parole in mezzo a tutto quel dolore. «Credetemi, lo so bene.»
Perché l'aveva vissuto anche lui, proprio lì.
Il suo ultimo incontro con Nora.
Noah risollevò gli occhi sul suo volto. «Era davvero quello, il nostro destino?» chiese, le parole soffocate. «È davvero questo, il mio?» aggiunse.
Si sentiva in colpa. Folksir lo sapeva. Si sentiva in colpa a credere che la morte di Iris gli fosse servita.
Un'altra cosa che Noah non avrebbe mai capito era che la morte di Iris era stata il punto zero per tutti loro.
No, non la morte.
La nascita.
La morte era stato quello che gli aveva fatto finalmente realizzare il significato di tutti quegli avvertimenti.
Per questo motivo le profezie sul destino sono volubili, e spesso è meglio rimanerne all'oscuro.
Sarebbe cambiato qualcosa se...
Folksir scosse la testa. Aveva passato la sua vita nel gioco contorto dei se, dimenticandosi di vivere la sua realtà, e non l'aveva mai portato da nessuna parte.
Se non a quella conclusione dolorosa.
Se io non avessi...
Non ci avrebbe perso anche i suoi ultimi momenti di vita.
«Siete diventato tutto ciò che vostro padre desiderava diventaste?» domandò di rimando Folksir.
Dopo tutto quello che è successo, hai accettato il tuo ruolo, non è vero?
Nelle iridi di Noah si accese una luce di sorpresa, come se non l'avesse mai preso in considerazione. Lentamente, annuì.
Folksir gli riservò un altro sorriso amaro. «Diventerete un grande sovrano, principe Noah.»
Fu tutto quello che si azzardò a dire, mentre il potere luminoso che aveva sempre visto nelle iridi di lui rischiarò quella cella buia.
La sorpresa lasciò il volto di Noah, rimpiazzata dalla rabbia. Folksir sapeva cosa doveva star pensando, anche se non lo mise a voce.
Cosa me ne faccio di un futuro luminoso senza di lei?
E Folksir gli rispose, dentro di sé: Con lei, non avresti potuto averlo. Se lei non fosse morta, non avresti avuto motivo di fare quello che farai.
Davvero, non avrebbe avuto motivo?, si domandò poi Folksir.
Il campanile sorprese entrambi. Nel silenzio surreale di quella notte, i rintocchi arrivarono fino a lì. Quattro e mezza.
Folksir tornò a guardare Noah, così come Noah tornò a guardare lui. I loro occhi ressero una conversazione segreta alla mente dell'altro.
«Dovreste andare, principe Noah. Verranno a prendermi a momenti.»
Noah annuì, assente. «Non ci sarò.»
Folksir non ribatté niente, mentre dentro il sollievo lo pervadeva. Non avrebbe mai voluto che Noah assistesse alla sua morte.
Poi lo vide mordicchiarsi un labbro, come se fosse indeciso di aggiungere altro. Nelle sue iridi, Folksir vi vide il passato. Non erano in una cella spoglia nei sotterranei della reggia. Erano nel suo studio, a parlare come se niente di tutto quello fosse accaduto. Come se il destino non si fosse infiltrato nelle loro vite.
Alla fine, Noah seguì l'istinto passato, e disse: «Tra mezz'ora, partirò per Intelli. Porterò le sue... la porterò a casa, nel posto a cui appartiene.»
Il dolore lo arpionò al petto. Folksir chiuse gli occhi. Ancora, non trovò parole da dirgli. Non avrebbe avuto senso farlo.
Per quanto averlo accanto lo aveva trascinato al passato, erano nel presente.
Stavano vivendo i suoi ultimi momenti di vita.
Folksir si rese conto che non avrebbe desiderato passarli in modo diverso da quello.
«Folksir...»
Folksir riaprì gli occhi quando sentì Noah chiamare il suo nome nascondendovi dietro una supplica. Si affrettò a scuotere la testa prima che lui potesse aggiungere altro, e Noah si arrese.
Si alzò in piedi. «Mi dispiace.»
Folksir si costrinse a separare le labbra. «Non avete niente di cui dispiacervi.»
Noah sospirò, distolse lo sguardo e lo superò.
Folksir non lo seguì con lo sguardo, e non si voltò neanche quando Noah sussurrò, colmo di differenti emozioni: «Grazie, vecchio mio».
Folksir chiuse di nuovo gli occhi, combatté contro quelle iridi che quel giorno avevano dimenticato come trattenere le lacrime. «Rifarei tutto da capo, ragazzo mio.»
Tornerei qui, in modo che io vi possa conoscere ancora e ancora e ancora.
Era stata una sua scelta, non l'avrebbe mai rinnegata.
Noah non aggiunse altro prima di allontanarsi.
Folksir si voltò verso la porta della cella solo quando sentì i passi veloci di lui svanire.
«Addio, Noah.»
Colui che metterà fine all'era delle monarchie e donerà ai popoli la stessa incondizionata libertà che lui assaporerà per un solo inverno.
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