48 - Svolgimento
Folksir rientrò nelle sue stanze a tarda notte.
Gli oggetti e i libri che aveva lasciato fuori posto erano ancora nelle loro posizioni dimenticate. Su sua richiesta, nessuno vi entrava per occuparsene quando lui non c'era. Il suo studio, così, lo riaccolse freddo e buio, tutto rimasto identico a come l'aveva lasciato la sera prima.
Folksir si avvicinò alla scrivania e cercò un fiammifero per accendere due delle candele nelle vicinanze. Quando la luce fioca riverberò nella stanza, si lasciò andare a un sospiro esausto.
Scostò la poltrona e vi sprofondò, chiudendo gli occhi.
Perché sono tornato?
La domanda che continuava a suonargli in testa dal momento in cui aveva messo piede sulla proprietà reale non trovò risposta neanche alla milionesima volta che se la pose.
Dopo aver assistito al confronto tra Nora e Noah, Folksir era scappato dal palazzo senza guardarsi indietro. O almeno, non all'inizio, mentre il suo corpo in moto lo aveva allontanato da lì, da loro, da lei.
Ma quando era arrivato alla meta, non aveva fatto altro che guardarsi indietro. Aveva riguardato la sua vita, il suo tempo passato alle corti di Rocheforte e Huron, alle famiglie che l'avevano accolto, ai ragazzi che considerava dei figli e alla donna che non avrebbe mai smesso di amare, consapevolmente amaro di cosa quello avrebbe significato.
La mia rovina.
Una verità che non era mai riuscita a farlo indietreggiare. Non sarebbe cambiato niente, tanto.
Non si può sfuggire al destino.
«Credevo che non saresti tornato. Lo speravo.»
Folksir non si mosse: non aprì gli occhi e non si lasciò andare a un singolo segnale di sorpresa. Schiuse solo le labbra, per lasciare uscire deboli parole: «Volevo farlo».
Nora fece un verso di assenso. «Lo so, credevo l'avessi fatto. L'ho sperato» ribatté, calma. «Eppure sei tornato.»
Folksir aprì gli occhi, trovando subito quelli di Nora, nel pieno di una tempesta. L'istinto di chiedere subito cosa fosse successo gli portò la domanda sulle labbra, ma riuscì a serrarle, anche se con difficoltà.
Non ancora.
Sapeva che sarebbe arrivato il momento, sapeva che Nora lo avrebbe trascinato nella tempesta con lei.
Concedimi altri cinque minuti di pace, e poi mi tufferò io stesso.
Come sempre, Nora sembrò capire i suoi pensieri e continuò sulla strada sicura su cui avevano già messo piede. «Perché sei tornato?» gli chiese, e Folksir sentì in quella domanda il rimpianto.
Folksir spostò lo sguardo dalla figura di lei, appoggiata allo stipite della porta che aveva nascosto Noah agli occhi di Iris quando era andata da lui per un medicinale contro l'insonnia.
Perché sono tornato?
Questa volta la sua mente produsse subito una risposta. L'aveva sempre avuta, ma era più facile ammetterlo quando la risposta era davanti ai suoi occhi. O meglio, era impossibile fingere di non saperlo.
«Dove altro potrei andare?»
Con la coda dell'occhio, intravide Nora mordersi il labbro inferiore. «Dove sei stato?»
Il paesaggio fuori dalla finestra era abbracciato dalla notte. Non c'era niente su cui puntare la propria attenzione. «In città, alla casa della divinità celeste.»
Dopo qualche istante di considerazione, Nora disse: «Saresti potuto tornare alla nostra. Lo sai che ci sarà sempre un posto per te. Sei ancora in tempo per andare».
Folksir represse una risata amara. «Non è più nostra, Nora. E non è più un luogo per me.» Riportò lo sguardo su di lei, che non sembrava mai avere distolto i suoi occhi colpevoli da lui. «Questo è il posto in cui devo stare. Non è vero?» le chiese, notando la luce di comprensione che si accese nello sguardo di Nora. Così decise di tuffarsi, perché in quel momento anche la tempesta sembrava più sicura del territorio che avevano intrapreso. «Cosa è successo?»
A dispetto di quanto si era aspettato, Nora non lo lasciò annegare subito. Le iridi di lei sembravano gli stessero offrendo una scialuppa di salvataggio.
Sei ancora in tempo per andare.
Ma lui non l'accettò.
«Mia signora?» insisté, deciso.
Nora annuì. «Ho detto a Iris chi è.»
Folksir si raddrizzò sulla poltrona che fino a quel momento aveva sorretto mollemente il suo corpo stanco. «Nora...»
«Lo so» lo interruppe lei, la voce secca, come se la sua anima avesse già finito tutte le lacrime. «Lo so» ripeté. «Non lo avevo calcolato. Non volevo farlo. Volevo solo...» non finì la frase, come se neanche lei fosse sicura del perché l'avesse fatto.
«E lei?»
Nora non perse la sua postura fiera. «È scappata. Le mie guardie non sono riuscite a trovarla, ma la stanno ancora cercando. Non può nascondersi per sempre. E appena la troverò, la porterò via da qui.»
Folksir non poté fare a meno di guardarla allibito. Come faceva a non sapere dove fosse? Quanto doveva essere cieca per non avere mandato le guardie lì come primo luogo?
Non parlare. Lasciali vivere quel poco tempo che hanno.
Ma qualcosa, dentro Folksir, iniziò ad agitarsi.
Non intromettersi avrebbe portato il destino a compiersi. Folksir non aveva mai pensato che potesse fermarlo, eppure, in quel momento, sperò di poterlo fare.
«E come pensi di riuscirci, dopo che le hai detto chi è?» le domandò Folksir, cercando di capire cose avesse in mente, come potesse essere ancora così sicura.
Nora scosse la testa. «È la mia parola contro la sua, Folksir.»
Folksir sospirò, incredulo, e si lasciò ritrarre dai suoi pensieri.
Rivelare dove fosse Iris, l'avrebbe salvata davvero?
Nora sarebbe corsa da lei.
L'avrebbe portata via.
Sarebbe stata al sicuro.
Siamo ancora in tempo?
«È con Noah.»
Era ovvio, per lui, che Iris e Noah fossero insieme. Che avrebbero passato il tempo dopo quella rivelazione tra le braccia dell'altro. Che avrebbero desiderato stare uno insieme all'altro ancora di più.
Avrebbe voluto chiederle come aveva fatto a non pensarci, ma Nora gli diede la risposta ancora prima che potesse metterla a voce.
«È impossibile. A Noah è stata assegnata una guardia. Ogni suo movimento è seguito, da quando si alza, a quando va a dormire.»
Di nuovo, Folksir soppresse una risata amara. «I suoi movimenti» concordò, quasi ilare. «Ma non quelli di suo fratello.»
Forse era per quello che non ci aveva pensato, si disse Folksir. Nora non conosceva i due fratelli quanto li conosceva lui. Simon avrebbe aiutato Noah in ogni possibile modo. Anche introdurre Iris nella sua camera di nascosto.
La postura di Nora iniziò a perdere la sua compostezza. «Non oserebbero. Portarla di nascosto in camera sua? È questo che stai suggerendo?»
«Non oserebbero?» le fece eco, sempre con un qualcosa di ilare nel tono. «Sono due ragazzi disperati che non hanno più niente da perdere» continuò, con decisione. «E non che ne avessero bisogno, ma sei stata tu a dargli il permesso, quando hai detto a Iris chi è.»
Nora sembrò metterci più del tempo necessario per comprendere cosa lui le aveva detto, per metterlo a realtà. E Folksir capì quando avvenne, perché gli occhi di lei si ingigantirono di terrore.
Folksir scattò in piedi ancora prima che le labbra di Nora si schiusero per sussurrare il suo nome.
«Cosa hai fatto, Nora?» le chiese, colmo dello stesso terrore.
Ma Nora non gli rispose. Si era portata le mani davanti alla bocca e aveva iniziato a tremare vistosamente.
È questo che lo metterà in moto?
«Nora» la richiamò, con durezza, avvicinandosi a lei.
La prese per le spalle e la scosse, ma non registrò alcun cambiamento.
È già tardi?
Lo sguardo di Folksir scivolò alle spalle di lei, allo studio in cui teneva tutte le sue erbe e medicinali. «Cosa ci facevi qui?» sussurrò.
La realizzazione arrivò quando i suoi occhi si posarono su uno dei tavolini occupato da medicinali ed erbe diverse. Folksir non aveva lasciato niente fuori posto. Non lasciava mai niente fuori posto, in quella stanza.
Credevo non saresti tornato. Lo speravo.
Proprio come non aveva provato sorpresa quando aveva sentito la voce inaspettata di Nora diffondersi nella stanza, Folksir non provò nessun tipo di sorpresa neanche in quel momento.
Sei ancora in tempo per andare.
No, non era più in tempo per andare da nessuna parte. La sua profezia si era compiuta, si stava compiendo.
La donna che sarà la mia rovina.
Folksir non perse tempo a piangere per sé stesso. Lasciò andare le spalle di Nora, ancora intrappolata in una trance, e corse fuori dalla stanza.
Posso fermare la tua, Iris?
Iniziò a correre, consapevole però che non avrebbe fatto alcuna differenza.
Non essere stolto. Lo sai che non puoi, gli sussurrò all'orecchio una delle due divinità.
Folksir non si preoccupò di scoprire quale.
*
Noah si svegliò nel letto su cui lui e Iris si erano addormentati per qualche ora, intrecciati senza distinguere uno il corpo dell'altra.
Si sedette sul bordo e si sistemò la camicia stropicciata dalle mani di Iris, poi voltò il viso sulla spalla e sorrise lieve quando i suoi occhi si posarono su di lei.
Dormiva su un fianco, le braccia che prima erano strette al suo corpo giacevano sul materasso che ancora tratteneva la sua forma.
Noah rotò il busto e allungò una mano per sfiorarle il viso. Lo fece con dolcezza, senza alcuna intenzione di svegliarla, ma Iris percepì il suo tocco e mosse le braccia a tentoni. Corrugò la fronte, come trovasse strano non trovare lui accanto. Come se dormire fianco a fianco fosse già l'abitudine di una vita.
Il sorriso sul volto di Noah si allargò e le prese una mano tra le sue. «Sono qui» sussurrò.
Il viso di Iris si rasserenò. Noah aspettò che ritrovasse una comoda posizione, e poi si alzò lasciandole andare la mano.
Andò alla finestra e scostò lentamente le tende. Nessun raggio di sole entrò però a disturbare la camera.
L'alba si doveva ancora presentare.
Lui, però, non poteva più aspettare.
Doveva andare dai suoi genitori. Buttarli giù dal letto era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Non perse tempo a cambiarsi d'abiti. Si sistemò come meglio poteva quelli che aveva addosso e si riavvicinò al letto. Non voleva chiederle di andare con lui. Avrebbe risolto la situazione da solo e poi sarebbe tornato da lei.
L'avrebbe svegliata alla luce del loro futuro splendente.
Si chinò per lasciarle un bacio sulla tempia. «Torno subito» mormorò poi, soffermandosi un istante di troppo al suo orecchio. Rabbrividì al ricordo delle sue labbra avide che quella notte si erano fatte più volte strada su quel punto delicato.
Iris, nel dormiveglia, sussurrò di rimando: «Prometti?».
Noah le diede un altro bacio sulla tempia. «Aspettami.»
Poi si sollevò e andò alla porta.
La aprì con cautela. Ser Frederick doveva essere andato a dormire, ma sicuramente qualche altra guardia doveva aver preso il suo posto durante la notte. Non voleva rischiare che chiunque fosse fuori dall'uscio vedesse l'interno della camera.
Noah si sorprese quando non trovò, invece, nessuno nel corridoio. Aggrottò la fronte, confuso.
Possibile che suo padre avesse deciso di non mettergli a guardia nessuno? Non era forse la notte, il momento in cui necessitava più controllo? Aveva forse pensato che Noah, pensando che ci fosse qualcuno, non avrebbe mai avuto la faccia tosta di provare lo stesso a scappare e aveva detto alle sue guardie di lasciare la postazione dopo una certa ora?
Fece un passo verso l'esterno disabitato, e si dovette aggrappare alla cornice della porta quando i suoi piedi sbatterono contro qualcosa che gli fece perdere l'equilibrio.
Si accovacciò e recuperò una bottiglia di vetro, rimasta a roteare sul pavimento. Sorpreso, rientrò in camera per esaminarla alla luce delle poche candele che ancora non si erano estinte.
Era una bottiglia di vino del regno dei Jean, una di quelle che Simon aveva ricevuto come regalo di nozze. Noah non riuscì a trattenere una risata. «Te la sei tenuta stretto, eh» mormorò, divertito.
Poi scosse la testa. Simon non avrebbe potuto scegliere momento migliore per recapitarla alla sua porta.
La stappò mentre tornava verso la madia su cui erano posati due calici. Ne riempì uno per metà, pensando che un goccio per raccogliere il coraggio non avrebbe potuto fargli male.
Si portò il bicchiere alle labbra, un mezzo sorriso fermo sul volto, ma all'ultimo si fermò.
Il vino dei Jean era estremamente forte, bastava poco per annebbiare la mente. E lui, già annebbiato dagli eventi e le notti insonni, aveva bisogno di tutta la concentrazione possibile.
Posò il calice e si voltò verso Iris.
Noah non aveva bisogno di alcun alcolico, quando la fonte del suo coraggio era nel suo letto.
Riprese i suoi passi in direzione della porta e si fermò un solo altro istante per assaporare la voce di Iris, che nel sonno mormorò: «Era questa, la camera?».
Poi Noah uscì, con il desiderio di tornare il prima possibile in quella stanza ad accompagnare ogni suo passo.
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