44 - Divieti

«Noah, dove ti eri cacciato ieri sera? Ti ho cercato ovunque!»

Simon entrò a passo svelto nella sala della colazione, dove Noah era arrivato prima di tutti. Non era passato neanche in camera quando si era separato da Iris, era andato dritto lì.

Posò sul piattino la sua terza tazza di tè. Non aveva dormito, e aveva bisogno di ogni tipo di aiuto per affrontare la giornata.

Suo fratello aveva lo sguardo urgente, sembrava preoccupato. «Perché? È successo qualcosa?» gli chiese, teso.

Simon lo guardò sbigottito. «Ho sentito cosa è successo a te» ribatté, arrivandogli vicino e abbassando la voce. «Livia ne ha parlato con Odette, e Odette è corsa da me. Ti abbiamo cercato, eravamo preoccupati» gli spiegò, scrutandogli il viso e il corpo con attenzione, come fosse alla ricerca di chissà quali segni.

«Ah» mormorò Noah, abbassando gli occhi alla tazza. «Io...»

Ma Simon lo interruppe, sempre sussurrando: «Ne parliamo dopo. Papà era dietro di me. È furioso».

Noah sospirò, stanco. Non era nelle condizioni di affrontare suo padre, non in quel momento, senza nessuna ora di sonno sulle spalle e ancora il caldo ricordo delle labbra di Iris sulle proprie. Entrambe condizioni che non lo rendevano capace di ragionare a dovere.

Ma neanche il tempo per Simon di concludere la frase, che suo padre entrò nella sala, in tutta la sua regale potenza.

Si guardò attorno, e poi ordinò: «Fuori».

Le tre donne della servitù, che si stavano già affaccendando per servire a Simon la sua tazza di tè caldo, si inchinarono, lasciarono subito tutto ciò che avevano tra le mani e uscirono.

Anche Simon fece qualche passo in direzione della porta, incerto, non sapendo se l'ordine valesse anche per lui.

«No, Simon» lo fermò loro padre, senza distogliere gli occhi irati da Noah. «Rimani qui. La divinità celesta sa che ho bisogno di un testimone» aggiunse, secco.

Simon sospese i suoi passi e riportò le iridi, dispiaciute, su Noah.

La porta dietro le spalle di loro padre venne chiusa dalla sua guardia reale, che rimase piantato lì fuori per evitare intrusioni.

«Papà...» cominciò Noah, un groppo alla gola.

«No» lo interruppe. «Non hai alcuno diritto di parola. Resterai lì, in silenzio, ad ascoltare. Hai capito?»

Noah abbassò il capo e annuì. «Sì, padre» rispose, stringendo i pugni sul grembo.

«D'ora in avanti, ti verrà riassegnata una guardia» incominciò suo padre, senza mostrare un accenno di insicurezza nel cominciare un discorso che Noah, sospettava, l'avrebbe distrutto.

Noah rialzò lo sguardo con uno scatto repentino. «Cosa?»

«Non mi devi interrompere, Noah. Devi ascoltare e basta. Te lo richiedo: sono stato chiaro?»

Noah scosse la testa. «Ma...»

«Sono stato chiaro, Noah?» gli parlò sopra, a voce alta.

Noah serrò le labbra. L'ira stava già insorgendo, bruciando via la stanchezza con cui aveva iniziato quella conversazione.

Aveva lottato, a sedici anni, per farsi togliere la guardia reale che aveva il compito di seguirlo ovunque, anche all'interno della reggia.

Aveva supplicato i suoi genitori, affermando che non ve ne fosse bisogno, perché erano a casa loro, una casa così ben sorvegliata che rendeva inutile il compito di una guardia personale.

Con tutte quelle sistemate alle entrate, o a sorvegliare i corridori, non c'era davvero bisogno di avere qualcuno ingaggiato alla propria sicurezza a seguirlo ovunque.

Suo padre, dopo mesi passati a tartassarlo, si era arreso alla sua richiesta. E Noah aveva assaporato un assaggio di libertà.

Aveva litigato, poi, per estendere quella libertà anche alle sue cavalcate con Arya. La presenza del cavaliere a seguire ogni suo galoppo aveva vanificato lo scopo per cui, in primo luogo, saliva in groppa al suo cavallo. Suo padre non aveva davvero desistito, ma Noah aveva preso l'abitudine di seminare il suo accompagnatore appena entrati nella foresta, e alla fine era riuscito ad averla vinta anche in quel caso.

Noah si era conquistato quelle piccole libertà con le unghie e con i denti, e ora suo padre aveva deciso di privargliele.

Non rispose, così lui continuò: «In questi ultimi mesi sei andato fuori rotta. È colpa mia, ti ho concesso troppo, nella speranza che tu mi avresti dato qualcosa indietro. Ma così non è stato. Sono stato paziente con te, Noah, perché so cosa significa essere l'erede di un regno e allo stesso tempo un ragazzo di sedici anni. Sono stato paziente, ma adesso basta. Hai compiuto diciotto anni quest'estate, e tra due mesi ti sposerai con la principessa Livia. È arrivata l'ora di prendere sul serio il tuo ruolo».

Noah non resistette nel replicare, con un secco e infastidito: «Ho sempre preso sul serio il mio ruolo».

La risata senza allegria di suo padre lo colse di sorpresa. «Lo credi davvero? Lo sai da quanto tempo non partecipi a una riunione giornaliera? Lo sai da quanto tempo trascuri i tuoi studi?» gli domandò, per poi alzare la voce: «Per non parlare di tutte le volte che scompari senza avvertire nessuno! Per tutte le notti che non passi in camera tua! Credi che non lo sappiamo? Hai idea di quanta preoccupazione ci arrechi? Tua madre non dorme da settimane!».

Noah deglutì, ma scelse di aggrapparsi alla rabbia bruciante piuttosto che a quel principio di colpa che aveva iniziato ad ardere le sue viscere. «Credevo che giocare a carte con un amico non fosse un reato.»

Ma quella risposta accrebbe ancora di più la rabbia di suo padre. «Non mentirmi, Noah. Filippo non aveva idea di dove tu fossi ieri sera. Nessuno lo sapeva! Sei andato, contro il mio ordine, dalla regina Nora e poi sei sparito. Ho anche paura di chiederti cosa hai combinato in sua presenza...»

«Folksir deve averti già detto che mi sono comportato...»

«Non vedo Folksir da quando ti è venuto dietro!» urlò suo padre. «È sparito anche lui, come se non avessi già troppi problemi.» Noah inarcò un sopracciglio, preso di sorpresa da quella informazione. «E non è questo il punto. Folksir non avrebbe dovuto riportarmi niente, perché tu non saresti dovuto andare lì in primo luogo. Il tuo re te l'aveva espressamente vietato. Sei senza controllo, Noah. Adesso basta, dico sul serio.»

Noah schiuse le labbra per ribattere, ma suo padre, accorgendosi del suo intento, lo guardò con un'espressione che gli incusse timore.

È mio padre, provò a dirsi Noah.

Ma quello davanti a lui, in quel momento, non aveva niente dell'uomo che avrebbe potuto raggiungere appellandosi al suo amore paterno.

«Ti verrà riassegnata una guardia» ripeté. «Non scomparirai più, quando e dove ti pare. Domani, alla messa, annunceremo il matrimonio con Livia e dopodiché manderemo gli inviti alle cariche più alte degli altri regni. Da lunedì, invece, riprenderai a partecipare a tutte le funzioni di corte.»

I pugni di Noah erano diventati insensibili, per quanto li stava stringendo. Il suo petto si alzava e si abbassava senza riuscire però a incamerare aria, solo perderla. Il suo labbro inferiore, arpionato dai denti, cominciò a pulsare di dolore.

Suo padre gli stava togliendo tutto, con una semplicità che lo feriva più di quanto stessero facendo le sue sentenze.

Aveva sempre saputo che i suoi genitori avessero fin troppo pazienza, era consapevole di averli testati fin troppo, soprattutto negli ultimi tempi, ma non aveva mai immaginato che potessero arrivare a quel punto.

Che cosa vi ha detto per convincervi?

«Come vi ho già detto ieri, vostra maestà» biascicò, freddo, provando il desiderio di ferirlo quanto lui lo aveva ferito. «Credo almeno di meritare di sapere perché. Mi dite che mi devo comportare come il mio ruolo richiede, ma voi siete il primo a trattarmi come un ragazzino.»

Per la prima volta da quando era entrato lì dentro, suo padre distolse gli occhi dal suo viso per portarlo in un'altra direzione.

Noah la seguì, ritornando cosciente solo in quel momento che Simon fosse lì con loro.

Era rimasto in piedi, senza neanche fare un respiro troppo forte, o forse l'aveva fatto, ma Noah era stato troppo concentrato su suo padre per rendersene conto.

In quel momento, suo fratello non stava guardando niente in particolare. Il suo sguardo era basso, ma Noah percepì la sua sofferenza.

Assistere a tutto quello non lo stava lasciando indifferente.

«Lo scoprirai lunedì, alla riunione alla quale parteciperai» decretò suo padre.

Noah tornò a guardare il suo viso. «Quindi lo scoprirò dopo che avremo già avvisato mezzo mondo del mio matrimonio con Livia tra due mesi.»

«Esatto.»

Noah serrò ancora le labbra, rendendosi conto di cosa significasse. Lui e Iris avevano un solo giorno per portare avanti il piano pensato quella notte: alle 17 del giorno dopo sarebbe già stato troppo tardi.

Una volta che la notizia del suo matrimonio fosse uscita, le cose si sarebbero complicate ancora di più. Sarebbe diventato impossibile: un conto era rivedere un accordo di vent'anni prima, un conto era romperne uno appena siglato.

Iris avrebbe quindi dovuto parlare per forza con la regina Nora quel giorno, e la regina Nora avrebbe dovuto parlarne subito con i reali. E lui avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori senza sapere prima cosa fosse l'affare di stato che li aveva spinti ad accettare.

Sarebbe stato cieco, obbligato a pensare al momento.

Noah chiuse gli occhi.

Ce la posso fare. Sono stato addestrato per trovare soluzioni al momento. Sono stato addestrato per essere svelto.

«Simon, pensi che io sia stato abbastanza chiaro nello spiegare a tuo fratello cosa mi aspetto da lui d'ora in avanti?»

Noah risollevò le palpebre, portando già gli occhi verso suo fratello, i quali erano su loro padre. «Sì» sillabò, la voce soffocata. «Ma...»

«No, Simon.» Lo troncò senza neanche degnarlo di uno sguardo, dato che le sue iridi dure erano già tornate su Noah. «È chiaro, Noah?»

Noah non rispose subito. Non perché valutò la possibilità di ribattere, nonostante non desiderasse fare altro che quanto lui e Iris si erano detti. Ma non avrebbe sprecato la loro unica occasione di farsi ascoltare. Noah sapeva che sarebbe stato inutile farlo in quel momento. Quindi si rimangiò tutte le parole.

Noah non rispose subito perché non trovò la voce per farlo. Le corde vocali non potevano vibrare senza aria. E suo padre gliela aveva tolta tutta.

Annuì.

Ma all'uomo di fronte a lui non bastò. «Ho bisogno che tu mi dia una risposta» lo incalzò.

Così Noah si sforzò a separare le labbra: «Ho capito».

«Bene» ribatté lui, dando loro le spalle. Si riavvicinò alla porta e la aprì, facendosi poi da parte per far entrare nella sala un cavaliere reale, che si inchinò al loro cospetto.

A Noah bastò una sola occhiata al suo volto per riconoscere ser Frederick, una delle guardie più fidate di suo padre. Non c'era andato alla leggera: sarebbe stato impossibile sbarazzarsi di lui.

«Simon, ricordati che devi raggiungere la signorina Paddington a lezione, stamattina.»

Simon annuì. «Sì, padre, adesso vado.»

«Bene. Ci vediamo stasera a cena» concluse, guardando entrambi ma soffermando lo sguardo su di lui.

Né lui, né suo fratello diedero però risposta. Loro padre si era già voltato, in fretta, e uscì dalla sala, lasciando indietro ser Frederick.

Noah tornò a guardarlo. Era una delle guardie più fedeli di suo padre, al suo servizio da quindici anni. Non era stata una scelta casuale: si era assicurato di mettergli alle calcagna qualcuno che gli avrebbe riferito ogni sua mossa, parola e incontro.

Noah chiuse gli occhi, sconsolato. Come avrebbe potuto vedersi con Iris? Come avrebbe potuto raccontarle cosa era successo, e come avrebbe potuto assicurarsi che lei parlasse con la regina Valsecchi proprio quel giorno?

Era necessario che lo facesse. Avrebbero perso, se no.

Noah risollevò le palpebre quando sentì la mano di suo fratello posarsi sulla sua spalla. Lo guardò, mettendoci qualche secondo di troppo per metterlo a fuoco.

Il suo volto era cinereo.

«Mi dispiace, Noah.»

Noah cercò di modellare un sorriso confortante. «Non è colpa tua.»

Simon lasciò ricadere il braccio e sospirò. «Non posso mai fare niente per aiutarti.»

«Beh, sono sicuro che una delle bottiglie del regno dei Jean potrebbe aiutarmi molto. Hai presente quella che mi hai promesso? Direi che non c'è momento migliore per farmi questo regalo.»

Simon scosse la testa, divertito. «Intendevo un aiuto un poco più concreto, ma d'accordo, ne avrai presto una bottiglia.»

Noah si umettò le labbra e gettò uno sguardo ansioso verso ser Frederick. Gli occhi di lui, fermi, erano puntati in avanti, su nessun punto in particolare.

Si schiarì la voce. «Ser Frederick» lo richiamò. «Potete aspettare fuori, devo parlare con mio fratello in privato.»

La guardia non spostò lo sguardo di un solo millimetro. «Ho istruzioni precise di non perdervi mai di vista. Potete parlare liberamente, fate come se non ci fossi.»

Noah inarcò un sopracciglio. «Siamo al terzo piano, credete che mi butterò dalla finestra per scappare dalla vostra deliziosa compagnia?»

Ser Frederick non gli concesse risposta.

Noah sospirò e riportò lo sguardo sul volto di suo fratello. «C'è qualcosa che puoi fare per aiutarmi» gli disse, nella loro antica lingua. Ne erano entrambi fluenti, e Noah sperò che non lo fosse anche ser Frederick. Per maggiore sicurezza, mantenne la voce in un leggero sussurro. «Puoi riferire a Iris cosa è successo.»

Simon strabuzzò gli occhi, confuso. «Iris?»

Noah annuì. «Non abbiamo mai smesso di vederci» gli confessò.

«Noah...»

«Simon, abbiamo pensato a un piano» lo interruppe, prima di dargli modo di esporre anche solo un ma. «Voglio confessarlo ai nostri genitori, ma prima lei deve farsi riconoscere pubblicamente dalla regina. E ho bisogno che tu la trovi e le dica cosa è successo, che mi hanno messo una guardia alle costole e che domani vogliono annunciare il matrimonio con Livia. Le devi dire che deve assolutamente fare quello che ci siamo detti di fare oggi, e che deve insistere per far parlare la regina con i nostri genitori entro la messa di domani» gli spiegò, in fretta.

Simon lo guardò stralunato. I suoi grandi occhi scuri erano frastornati e increduli. «Noah, non crederai che sia ancora una buona idea dopo quello che è appena successo, vero?»

Noah aggrottò la fronte. «Cosa vuoi dire?»

«Cosa voglio dire?» ribatté incredulo Simon. «Papà è furioso, non sembrava nemmeno lui! Cosa credi che farà quando tu gli dirai di Iris? Come minimo la caccerà via.»

Noah indurì la mascella. «Che lo faccia, io me ne andrò via con lei.»

Simon scosse la testa. «Non puoi dire sul serio. Noah, ti conosco, non faresti mai una cosa del genere alla tua famiglia.»

«Che altro potrei fare?» ribatté, con rabbia. «Sono innamorato di lei, Simon» aggiunse, la voce in un fremito. Le palpebre di suo fratello si spalancarono ancora di più. «Per favore, io...» Trasalì. «Ci devo almeno provare.»

Simon gli scrutò il volto, lo guardò con preoccupazione. «Va bene» gli disse, ma dalla sua voce Noah capì che non c'era niente che andasse bene in quella situazione, per lui. «Ora devo raggiungere Victoria, ma dopo cercherò la signorina Larson e mi raccomanderò che sappia cosa è successo.»

Noah lo guardò con tutta la gratitudine che sentiva dentro di sé. «Grazie, Simon.»

Suo fratello annuì, e poi si alzò dalla sedia.

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