43 - Lottare

«La regina madre Valsecchi quando intende riconoscerti pubblicamente?»

Iris alzò gli occhi dalla macchina da cucire per guardare Victoria, seduta sullo sgabello di un piano lavoro immacolato vicino a quello, caotico, dove era sistemata lei.

«Non lo so, non ne abbiamo parlato» le rispose. «E non so neanche cosa significhi riconoscermi pubblicamente. Come funziona? A chi lo deve dire? A chi può interessare, poi? Da quanto mi ha detto, tutti i miei parenti sono morti» aggiunse, titubante.

Non era qualcosa su cui Iris si era interrogata più di tanto. Non pensava ci fosse un protocollo da seguire. La regina si sarebbe dovuta sistemare in piedi nell'atrio per declamare il suo lignaggio? Avrebbe dovuto sussurrarlo alle orecchie delle sue dame di compagnia e aspettare che fossero loro a spargere la notizia?

Victoria tamburellò con le dita sul grosso tomo aperto davanti a lei. Erano andate lì in sartoria dopo cena, Iris desiderosa di continuare a lavorare al proprio vestito, Victoria bisognosa di finire la lettura assegnatele dal precettore.

Avevano lavorato in religioso silenzio per un'ora.

«Deve sicuramente riferirlo al censore del regno Valsecchi» ribatté, pensierosa. «Tu e i tuoi genitori naturali sarete segnati sul registro come morti o dispersi. Deve far cambiare il tuo stato lì. E poi dovrà avvisare il censore del regno dei Monvisi, dove invece sei segnata come figlia di Anna e Anthony Larson, cosicché loro possano correggere. Solo una volta che sarai riconosciuta legittima e avrai preso il loro cognome, potrai rivendicare il patrimonio che ti aspetta a Rocheforte.»

Iris si immobilizzò, sorpresa. «Il loro cognome?» ripeté, presa alla sprovvista. «Io... non credo di voler cambiare il mio cognome.»

Avrebbe dovuto rinunciare ai Larson? Avrebbe dovuto ripudiare le persone che l'avevano cresciuta con amore? Avrebbe dovuto rinnegare i propri genitori?

Iris Vinco.

Fu la prima volta che accostò nella mente il proprio nome e quel cognome, e fu solo in quel momento che si rese conto che era così che avrebbe dovuto suonare in un'altra vita.

Non Iris Larson.

Iris Vinco.

E le suonò sbagliato.

Sentì una stretta allo stomaco, ma non riuscì a capire da cosa fosse dovuta.

«Oh, no» le disse Victoria, il tono pacato. «Non credo che la regina voglia farti rinunciare al tuo cognome, Iris. Per la legge di qualsiasi regno resterai sempre figlia di Anna e Anthony. Sei loro figlia. A tutti gli effetti. Ma è necessario riconoscere anche quello dei tuoi genitori naturali.»

Iris considerò quel pensiero, poi mormorò: «Iris Larson Vinco?».

Victoria le sorrise, divertita. «Iris Larson Monticelli Vinco» ribatté. «Dovrai riconoscere anche quello di tua madre, visto che le proprietà sono più che altro della sua famiglia» le spiegò. «Un nome altolocato, non c'è dubbio.»

«E immagino che una notizia del genere prenderà poi piede da sola, giusto?»

Victoria annuì. «Giusto.» Riabbassò lo sguardo al volume aperto. Era scritto così fitto che Iris non aveva perso tempo a provare a capire di cosa si trattasse. «Spero che lo farà in fretta.»

Iris inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché ti verrebbe sicuramente assegnato un precettore!» esclamò Victoria, con enfasi. «Magari potremmo seguire le stesse lezioni, e non dovrò più sorbirmi da sola il maestro Mirai» sospirò, esasperata.

Iris scoppiò a ridere. «Temo che non siamo allo stesso livello, Victoria» ribatté, indicando con un cenno il libro. «E poi non è una responsabilità degli Hudson, quella di istruirmi, ma dei Valsecchi.»

«Ma dato che rimarrai qui a corte, sono sicura che i reali Hudson, una volta saputa la verità, saranno più che felici di mettere a disposizione i loro precettori per te» insistette con sicurezza Victoria. «Te l'ho detto. Hai fatto loro una bellissima impressione.»

Iris distolse lo sguardo, lo riportò, imbarazzata, al vestito ancora prigioniero della macchina da cucire.

Perché non sanno niente di me e del loro primogenito, Victoria.

«Sì, beh» mormorò, schiarendosi la voce. «Non frequenteremmo comunque le stesse lezioni, Vic.»

Victoria sbuffò, un suono poco elegante che la fece sorridere.

Rialzò lo sguardo, cauta, su di lei, ma Victoria aveva ancora il suo sulla pagina del libro.

Le scrutò il volto, i suoi occhi giovani, le sue labbra ancora piegate in una smorfia.

E tu cosa penseresti di me?, si domandò, come si era chiesta, con paura, in quegli ultimi giorni.

Iris non pensava che Victoria le avrebbe dato una poco di buono, non credeva che si sarebbe arrabbiata, non dopo averle spiegato come era accaduto, non dopo averle detto che era stata spinta tra le braccia di Noah da una forza intangibile, non dopo averle fatto capire che non aveva potuto fare altrimenti, perché quando l'aveva capito era stato già troppo tardi.

Ma si sarebbe preoccupata, e Iris non voleva turbarla, non voleva farla angustiare per qualcosa che era fuori dal suo controllo, fuori dal controllo persino di sé stessa.

Non voleva metterle sulle spalle quel segreto, un segreto che avrebbe dovuto tenere in presenza della famiglia reale, un segreto che l'avrebbe potuta mettere in pericolo o farla accusare di tradimento.

Non poterglielo dire, però, la faceva sentire in colpa. Una bugiarda.

Cosa avrebbe pensato, Victoria, se quel segreto sarebbe alla fine emerso e lei l'avrebbe saputo da qualcuno di diverso da Iris?

Che non si era fidata abbastanza di lei? Che l'aveva presa in giro? Che mentre lei si era preoccupata per il suo benessere, per il suo futuro, Iris aveva vissuto una doppia vita e che non aveva mai tenuto in considerazione le parole di incoraggiamento e apprensione di lei?

Come posso dirtelo, senza metterti in pericolo, Victoria?

«Io me ne vado a dormire.» La voce di Marie la colse di sorpresa, allontanandola da quei pensieri agitati di colpa e vergogna.

Iris portò lo sguardo alla porta dello stanzino da cui la donna era emersa, dopo esservi sparita mezz'ora prima. «D'accordo, signora Marie» le rispose.

La signora fece passare lo sguardo tra lei e Victoria. «Voglio trovare tutto in ordine, domani mattina» si raccomandò, burbera come sempre era rimasta.

Iris, però, era ormai sicura che, nonostante i suoi borbottii, le facesse piacere la sua compagnia a tarda sera – così, come alle volte accadeva, quella di Victoria.

Iris modellò un sorriso angelico sul proprio volto. «Come sempre.»

Marie la guardò torva e poi si congedò con un secco: «Buona notte, signorine».

«Buona notte, signora Marie» le fece eco Victoria, seguendola con lo sguardo. Quando uscì, lasciandosi dietro la porta socchiusa, Victoria aggiunse: «Credo sia arrivato anche il mio momento di ritirarmi, o domani non riuscirò a restare sveglia durante la lezione del maestro Mirai neanche con le cannonate».

Iris sorrise. «Ti dispiace andare da sola? Vorrei finire il colletto, prima di andare a dormire.»

Victoria le scrutò il viso. «Iris, stai dormendo abbastanza?» le chiese, preoccupata.

Iris strabuzzò gli occhi. «Sì, certo» mentì, in fretta. «Perché me lo chiedi?»

Non stava dormendo abbastanza. Iris ne era consapevole. Le ultime notti passate insieme a Noah, e quelle prima ancora quando erano stati i pensieri delle proprie origini a tenerla sveglia, le avevano sottratto molte ore di sonno, che non era riuscita a recuperare dormendo fino a tarda mattina.

Rispetto alla sua prima settimana passata lì, quando era rimasta a letto anche fino a mezzogiorno, Iris si levava anche solo tre ore dopo essersi addormentata all'alba.

Nonostante tutto, non si sentiva stanca. Il tempo passato con Noah sembrava riuscire a caricarla meglio di una dormita. Il suo viso, però, doveva dimostrare tutta la stanchezza delle sue notti insonni.

Victoria si strinse nelle spalle. «So che rimani qui sempre fino a tardi» le rispose, il tono impensierito. «E, non offenderti, ma non hai una bella faccia. Sembri stanca.»

Iris rifuggì il suo sguardo, mostrandosi interessata al vestito. «È solo lo strascico della malattia» si inventò, dando la colpa al malessere immaginario che aveva finto dopo la cena per restarsene rintanata in camera.

«Va bene» le concesse Victoria, dopo qualche altro istante di considerazione. Chiuse il libro, lo prese tra le braccia e si alzò dallo sgabello. «Promettimi che non resterai qui fino a notte fonda.»

Iris rincontrò i suoi occhi per sorriderle rassicurante. «Te lo prometto.»

Non era una bugia, non sarebbe rimasta lì in sartoria ancora a lungo.

Noah la aspettava alla serra.

*

Noah non riusciva a stare fermo.

Quando era arrivata alla serra, l'aveva già trovato lì, già in movimento, già caldo di ira.

Iris non aveva fatto neanche in tempo a chiedergli se fosse successo qualcosa, che lui aveva iniziato a rimetterle addosso parole su parole.

Così si era seduta sulla panchina e aveva ascoltato in silenzio, mentre lui aveva parlato continuando ad andare avanti e indietro, come qualcuno che aveva perso la strada.

Anche quando finì di raccontarle cosa era accaduto quel pomeriggio, Noah non concluse la sua marcia nervosa.

Iris, invece, rimase immobile per un tempo indefinito, mentre la sua testa cercava di mettere insieme tutti i pezzi e dare un senso a quanto le aveva detto.

Mi vogliono obbligare a sposare Livia tra due mesi.

Era chiaro, non c'erano significati nascosti da trovare o letture più profonde da compiere. Era chiaro, come lo era sempre stato.

L'erede al trono degli Hudson avrebbe spostato la sua promessa sposa. Prima di quanto si era aspettato, certo, ma non era una sorpresa. Entrambi sapevano che sarebbe dovuto accadere.

«Noah» lo richiamò, sussurrando il suo nome con cautela.

Noah riuscì comunque a percepirlo in mezzo alla tormenta che lo aveva preso ostaggio. Si voltò verso di lei, si fermò. Come se fosse bastata la sua voce per dargli un appiglio sicuro a cui aggrapparsi e riposarsi senza paura di essere spazzato via.

«Forse...» riprese Iris, quando i loro occhi si incontrarono. «Forse dovrei dire alla regina Nora di averci ripensato e andare a Rocheforte.»

Le palpebre di Noah si spalancarono, e nelle sue iridi Iris vi vide terrore. «Per... Perché?» balbettò, con voce flebile.

Iris abbassò lo sguardo sulle mani strette sul grembo. «Penso che sarebbe più facile» gli rispose, sincera. «Per te» aggiunse in fretta. «Senza avermi intorno, mi dimenticherai.»

Sarebbe più facile per te, ma anche per me. Come posso restare qui a guardare i preparativi per le tue nozze, ad assistere al tuo matrimonio, a vederti ogni giorno senza poterti avere?

«Non voglio che sia più facile, Iris» ribatté con decisione Noah. «Voglio stare con te. Come puoi credere che potrei dimenticarti, se te ne andassi da qui? Porteresti via con te tutto l'ossigeno!»

Iris rialzò lo sguardo su di lui. Le sue iridi bruciavano ancora, ma di un sentimento diverso dall'ira con cui aveva raccontato della litigata con suo padre e della sua richiesta di spiegazioni alla regina Nora.

Iris deglutì nel trovarsi faccia a faccia con quell'ardente determinazione. «Cosa mi stai chiedendo, Noah?» gli chiese, la voce tesa. «Di continuare... questo» disse, indicando prima sé stessa, poi lui «anche una volta che ti sarai sposato con la futura regina di Huron?»

Noah scosse la testa, più volte, frenetico. «No, no, no» ribatté, avvicinandosi a lei. «Non ti chiederei mai di essere la mia amante, Iris.» Le si inginocchiò di fronte, le prese le mani e se le portò all'altezza del cuore. «Te l'ho già detto, in questa serra, che manderai al diavolo tutti i miei doveri per te. E non era una frase tanto per dire. Lo farei davvero.»

Iris abbassò le palpebre. La sua voce era di una sincerità disarmante, e le sue parole le riscaldarono il petto. Ancora una volta, tutte le sue paure per un futuro che non riusciva a vedere svanirono. Ancora una volta, si sentì ancorata al presente, a lui. E niente aveva più importanza.

«Noah...»

«Ma solo se lo volessi anche tu» la interruppe, ripetendole ciò che le aveva già detto prima del loro bacio in quel luogo, ciò a cui aveva chiesto conferma il pomeriggio dopo. «Non ti spingerei mai a fare qualcosa che non vuoi fare, Iris. Se vuoi andare a Rocheforte, vai a Rocheforte. Se vuoi restare qui ma non vedermi più, mi farò da parte. Se vuoi... quello che vuoi, Iris, lo farò.»

Iris riaprì gli occhi, sentendoli lucidi di emozioni. Proprio come quelli di Noah, che incontrò subito nella traiettoria del suo sguardo. «Voglio stare con te, Noah, ma... come

Fammi vedere il futuro che hai detto che riesci a vedere per noi.

Noah sospirò di sollievo, e poi si portò le sue mani alle labbra per baciarle entrambi i dorsi. «Parlerò con i miei genitori» le disse, la voce come una carezza. «Voglio credere che la felicità di loro figlio sia più importante di un vecchio accordo che hanno stipulato ancora prima di mettere al mondo un erede.»

Iris ebbe uno spasmo di paura. «Mi odieranno» mormorò, certa che una volta saputa la verità avrebbero maledetto il giorno in cui avevano deciso di aprire le porte dalla loro reggia a un'umile ragazza che era riuscita a deviare il loro primogenito. «I tuoi genitori, Livia, la regina Nora...»

«I miei genitori non ti odieranno» ribatté Noah. «Se proprio dobbiamo trovare un colpevole, quello sono io, che non ti ho detto la verità nel primo momento in cui ti ho vista. Si arrabbieranno con me? Sì, non c'è dubbio, ma tu non hai nessuna colpa» la rassicurò. «Per quanto riguarda Livia, fidati quando ti dico che te ne sarà grata» aggiunse, arricciando le labbra in un sorriso divertito. «Ma sua madre... Sua madre sarà un problema. Ed è per questo che prima di parlare con i miei genitori, tu dovrai chiederle di riconoscerti pubblicamente.»

Iris strabuzzò gli occhi, non capendo nell'immediato il motivo di quella condizione. «Perché?»

«Perché a saperlo siamo solo noi, Livia, mio fratello e Victoria. La nostra parola non varrà niente contro la sua, se deciderà di rinnegare la storia che ti ha raccontato, una volta che la verità su di noi verrà fuori» le spiegò. A Iris impressionò la sua improvvisa calma, la capacità di portare avanti quel ragionamento analitico. «E ci sarà poco che possiamo fare, se lei non riconoscerà le tue nobili origini. Anche volendo, i miei genitori...» si interruppe, preso da un momento di insicurezza.

«Anche volendo, i tuoi genitori non potrebbero mai concederti di sposare una popolana» concluse Iris, capendo dove volesse arrivare il suo discorso.

La parola sposare le uscì dalle labbra senza timore, anche se pronunciarla le fece arrossare il viso.

Ma era di quello che stavano parlando, implicitamente. Raccontare la verità ai reali Hudson, cercare di convincerli a lasciarlo libero dal suo matrimonio programmato con Livia, significava mettere sul piatto un'altra alternativa, un altro futuro.

Il loro.

Un altro spasmo di paura attraversò il suo corpo.

Come poteva anche solo star pensando di diventare la regina di Huron? Cosa ne sapeva lei, di quel mondo? Come avrebbe potuto governare un regno al fianco di Noah, quando era vissuta come la figlia di servitori fino a tre mesi prima?

Sei nata come altro, però.

Un elenco infinito di se tornò a popolare la sua testa.

Cosa sarebbe diventata, se fosse stata cresciuta alla corte dei Valsecchi? Chi sarebbe stata, se fosse stata istruita come una nobile del suo rango? Qualcuno che avrebbe potuto diventare senza problemi chi Noah le stava chiedendo di essere?

Noah annuì. «Dobbiamo fare quindi in modo che lei lo riconosca prima» ripeté, riacquistando decisione.

Iris si umettò le labbra, si concentrò sul volto di Noah, si ancorò a lui e alla sua stabile presenza. Lasciò andare i suoi se, i suoi dubbi, la sua paura. «Ci vorranno sicuramente più di due mesi per mettere tutte le carte a posto» gli disse, facendogli intendere che non pensava che avrebbero potuto raggiungere il loro scopo prima del suo matrimonio con Livia.

«Non hanno importanza le carte» ribatté svelto lui, il suo cervello addestrato a risolvere quei problemi burocratici in una maniera che lei non avrebbe mai potuto fare o comprendere. «Abbiamo bisogno solo che lei lo riconosca a corte, davanti ai miei genitori. Una volta ammesso davanti a un re e una regina, non c'è niente che potrebbe fare per negarti quello che ti appartiene di diritto» le spiegò, per poi allontanare lo sguardo da lei, pensieroso. «Potresti dirle...» sussurrò, alla ricerca di una scusa valida per chiedere tutto quello alla regina Nora.

«Potrei dirle di volerlo così da poter chiedere un precettore» suggerì allora Iris, ripensando al discorso intrattenuto con Victoria qualche ora prima. «Immagino che ci siano diverse cose che devo studiare, capire, per prepararmi al meglio ad assumere il mio ruolo e a imparare a gestire tutto quello che i miei genitori mi hanno lasciato.»

Noah riportò gli occhi su di lei. «È perfetto» le disse, con il sorriso di un bambino. «Iris, è perfetto. Lei lo dovrà dire ai miei genitori per combinare il tutto, e non avrà motivo di aspettare. Anzi, capirà che è una richiesta matura, necessaria, e vorrà provvedere subito. E appena lo farà, io parlerò con loro. Sarà solo questione di giorni.»

Iris però non riuscì a lasciarsi andare all'illusione che potesse essere così facile. «Sia i tuoi genitori, sia lei, ti hanno fatto capire che c'è un motivo dietro la loro decisione di farti sposare Livia così in fretta. E se è uno davvero... valido?»

Noah non si lasciò sconfortare neanche da quella domanda, sembrava che niente avrebbe potuto abbattere la sua fiducia, la sua speranza. Iris si stupì quando si rese conto di essere lei la ragione del suo rasserenamento: quando era entrata alla serra, il suo umore non le era sembrato possibile di miglioramento.

«Allora saranno costretti a rivelarmi la motivazione, e io troverò una soluzione anche per quello. Te lo prometto, Iris, mi scervellerò giorno e notte per trovare un modo.»

Iris portò gli occhi alle loro mani, ancora intrecciate. «Ma anche se lo farai, anche se i tuoi genitori vorrebbero farti felice» disse, la voce bassa, in un tremito di paura e speranza. «Il tuo matrimonio con Livia è un accordo siglato tra re. Non sarà così facile...»

«Iris, Iris, ascoltami» la interruppe, un'altra volta, Noah. Le liberò le mani e, veloce, le posò le sue sul volto per rialzarlo. «È un accordo siglato tra mio padre e un re defunto. È il fratello di Livia, adesso, ad avere parola. Ha un ottimo rapporto con sua sorella e Livia desidera le nostre nozze tanto quanto le desidero io. Lo so che ci aiuterebbe, aiuterebbe sé stessa, e re Evan la ascolterebbe. Si possono trovare altri modi per ripagare vecchi favori. E se così non fosse, Iris, credimi quando ti dico che sono pronto a lasciarmi tutto questo alle spalle.»

Iris provò a scuotere la testa, ma la presa di Noah le impedì di compiere quel gesto. «Non posso chiederti di fare questo per me, Noah.»

Lo sguardo di Noah si colmò di dolcezza, e Iris sentì le guance andare di nuovo in fiamme. Non riusciva a capacitarsi che fosse lei a illuminare il volto di lui di quei sentimenti, a smuovergli quelle parole. «Non me lo stai chiedendo tu» le sussurrò. Si avvicinò al suo viso, sfiorò con le labbra la sua guancia bollente. «E ne parli come se pensi che io possa compiere una scelta diversa» aggiunse, e il suo respiro le solleticò l'orecchio. «Sei il mio destino, Iris Larson. E se c'è una cosa che so bene, è che non si può fuggire al proprio destino.»

Iris pensò che non avrebbe potuto esserci niente di più convincente come supporto alle parole di Noah del déjà vu che, proprio su quella frase, esplose dentro di lei.

Così si lasciò guidare da tutte quelle emozioni e gesti e parole sovrapposti, e voltò il viso per inseguire quello di Noah come aveva già voltato il viso per inseguire quello di Noah, e posò le sue labbra su quelle di Noah come aveva già posato le sue labbra su quelle di Noah, e alzò un braccio per immergere la mano tra i capelli di Noah come aveva già alzato un braccio per immergere la mano tra i capelli di Noah.

«Le parlerò domani» mormorò, quando lui spostò la traiettoria della bocca verso il suo collo esposto e lei strinse le dita con maggior forza tra le sue onde bionde.

Noah acconsentì, poi tornò verso le sue labbra e vi si immerse alla ricerca di respiro.

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