36 - Realtà
Iris si voltò quando sentì dei passi risuonare nella serra fino a quel momento disturbata solo dalla sua presenza, e poi si immobilizzò quando il suo sguardo si incrociò senza preavviso a quello di Noah Hudson.
Per qualche lungo secondo di vuoto, entrambi rimasero fermi, le palpebre spalancate e le labbra schiuse, nell'attesa di qualcosa.
Il cuore di Iris prese a battere così veloce che in lei si fece avanti la paura che quel suono frastornante potesse arrivare alle orecchie dell'altro, trasportata dall'aria come l'eco di un campanile in festa.
Il volto di Noah era molto pallido, i suoi capelli scompigliati, e tracce di pesanti occhiaie risaltavano attorno al contorno dei suoi occhi come il nero su una tela bianca. Nonostante quei segni di stanchezza, a Iris non era mai apparso più bello come in quel momento, neanche alla cena in cui si era presentato in tutta la maestosità del suo titolo.
Di nuovo, si stava mostrando a lei nelle semplici vesti con cui l'aveva conosciuto, quelle che cozzavano con i suoi veri abiti, quelle che riuscivano a farla dubitare della sua capacità di resistere in quel luogo, quelle che l'avevano ingannata.
È solo una finzione, si disse. Lui non è questo.
Aggrappandosi a quel pensiero, Iris si alzò dalla panca in marmo interrompendo quel momento di pesante attesa.
«Principe Noah» esordì, cercando di modulare la propria voce per paura che i fremiti che continuavano a scuoterla da quando lui era entrato si manifestassero anche nel tono. «Mi dispiace, non dovrei essere qui» aggiunse, inclinando il capo in una riverenza. «Tolgo subito il disturbo.»
Dopo essere uscita dalla camera di Victoria ed essere arrivata alla sua, Iris aveva capito che necessitava di una passeggiata per tranquillizzare i suoi nervi e la sua mente: il discorso intrattenuto con Victoria l'aveva agitata, gli implacabili pensieri sul suo futuro si erano arrampicati sulla sua epidermide, e così si era ritrovata all'aria aperta e i suoi passi l'avevano portata lì, a quella serra in cui si era sentita per la prima volta a casa da quando era arrivata in quel luogo.
«No» si affrettò a dire Noah, e la sua voce riuscì ad aumentare ulteriormente la velocità del suo cuore. Non la sentiva da una settimana, e Iris si ritrovò a pensare che le fosse mancata. «Potete venire qui quando volete. Siete ospite di Huron, e questi luoghi sono anche vostri» continuò. «Soprattutto questo» concluse, distogliendo finalmente le iridi dalle sue per guardarsi intorno.
Iris rilasciò il respiro che aveva trattenuto nel momento in cui lui aveva iniziato a parlare, sollevata dalla fine di quel contatto. Stava diventando difficile sostenere i suoi occhi.
Le iridi di lui non erano niente di insolito, ma il loro colore era uno di quelli che lei spesso si era ritrovata a invidiare quando lo vedeva sulle altre persone. Erano di un dolce marrone scuro, come la terra bagnata, il guscio delle nocciole, i ceppi in un camino. Ed erano capaci di suscitarle bellezza e allo stesso tempo timore, come se avessero la misteriosa capacità di leggerle l'animo.
«Vi ringrazio per le vostre gentili parole» gli rispose. «Ma siete venuto qui alla ricerca di tranquillità, non dovreste andarvene per colpa mia.»
E io qui dentro insieme a te non ci posso stare.
Gli occhi di Noah saettarono di nuovo nei suoi, comprendendo senza difficoltà il pensiero non detto. Schiuse le labbra, ma tutto quello che fece fu limitarsi ad annuire.
Iris allora si incamminò nella sua direzione, verso la porta. Doveva uscire, doveva allontanarsi da lui, doveva lasciarselo alle spalle.
Ma a ogni passo che l'avvicinava a lui, la sua determinazione diminuiva e i battiti del suo cuore aumentavano.
Rallenta, rallenta che ti sente.
«Volevo farvi le mie felicitazioni» riprese tutto d'un tratto Noah, come a non essersi neanche accorto del suo intento a uscire, oppure per fermarla dal farlo.
No, non gli interessa niente. È sparito per una settimana. Mi ha presa in giro.
Iris però si fermò, la loro distanza dimezzata. «Riguardo?» gli domandò, il cuore in gola.
Noah sorrise, un sorriso che le apparve costruito, diverso da tutti quei sorrisi che le aveva rivolto durante le loro notti passate insieme. «Ho sentito che avete trovato notizie sui vostri genitori naturali.»
Iris strabuzzò gli occhi, spaesata, e scrutò il suo viso stanco e la sua espressione tirata.
Come faceva a saperlo? Era sicura che la regina non ne avesse fatto ancora parola con nessuno, e lei l'aveva detto solo a Victoria che sapeva averlo accennato a... suo fratello.
Avevano parlato di lei? Perché? Cosa sapeva Simon Hudson di loro?
Iris, a disagio, annuì. «Sì, le ho trovate.»
«Mi fa piacere, dico davvero. Rocheforte è un luogo stupendo, sono sicuro vi troverete benissimo» le disse, mantenendo quell'intonazione distante e il sorriso estraneo. «Quando partirete?»
Iris serrò le labbra, insicura di cosa rispondergli. Una parte di lei avrebbe voluto dirgli che se ne sarebbe andata via presto, avrebbe voluto fargli credere che stesse lasciando quella dimora, ma sapeva che mentirgli non fosse la cosa matura da fare.
Inoltre, non aveva senso farlo. L'avrebbe sicuramente scoperto, quando il giorno dopo avrebbe declinato l'invito della regina.
Non avrebbe mentito. L'avrebbe affrontato a testa alta.
«Non partirò» lo informò, raddrizzando la schiena in una postura più rigida, attenta. «O almeno non prima di diversi mesi» chiarificò. Il viso di Noah sembrò farsi ancora più pallido. «Non posso lasciare la signorina Paddington prima del suo matrimonio.»
Noah non rispose, si limitò a fissarla con le palpebre sbarrate, e Iris distolse lo sguardo, confusa da quella reazione di sgomento.
Istanti di silenzio dopo, Iris riprese a camminare, ora più che mai determinata ad andare via.
«Buonanotte, principe Noah» sussurrò, quando gli passò accanto.
Alzò gli occhi da terra per lanciargli un'ultima occhiata quando non ricambiò nemmeno il suo saluto: lo sguardo di lui era ancora fermo al punto in cui era stata, come se non si fosse neanche accorto del suo spostamento; la sua espressione era la stessa che aveva indossato quando si era presentato fuori dalla sua camera, quando l'aveva supplicata di non rivolgersi a lui come principe.
Sembrava distrutto, inanimato, combattuto.
Il cuore di Iris fermò inaspettatamente la sua corsa sfrenata e, al contrario, sembrò saltare qualche battito. Lo sapeva razionalmente che non fosse possibile, eppure lo sentiva suonare in una maniera così irregolare che riuscì a suscitarle paura.
Non era mai stato così altalenante.
Si costrinse a distogliere lo sguardo e lo superò. Mancava così poco alla salvezza.
«No, non posso.»
Il mormorio di Noah si distese nell'aria così debolmente che Iris capì che non fosse stata una frase rivolta a lei, quanto più a sé stesso.
Deglutì, cercando di non interrogarsi sul significato, e continuò a compiere i passi che le mancavano.
«Fermati, per favore.»
Questa volta, la voce di Noah risuonò forte e chiara, e Iris non ebbe alcun dubbio che quella richiesta fosse stata fatta invece a lei.
Nonostante non avrebbe dovuto, Iris si fermò per rispondere a quello che era sembrato un ordine regale.
Non si voltò però a guardarlo, mancando di forza per farlo, e rimase in attesa di un proseguo.
«Credevo davvero di potercela fare a far finta di niente, e ce l'avrei fatta se tu te ne fossi andata» iniziò lui, la voce distante, ma non di disinteresse. «E non mi aspetto niente da parte tua, ma ho bisogno di spiegarti, Iris, ho bisogno di scusarmi per quello che è successo.»
Iris chiuse gli occhi, una parte di lei desiderosa di ascoltare quello che aveva da dirle, un'altra parte, quella pungente ancora di umiliazione, che la invitava a uscire da quella serra senza rivolgergli più una parola.
Decise di arrivare a un compromesso tra le due, e disse, risollevando le palpebre ma ancora dandogli le spalle: «Con tutto il rispetto, ma avete avuto una settimana per spiegarmi, se aveste avuto davvero intenzione di farlo».
Nella serra risuonarono i passi di Noah, e Iris si irrigidì pensando che si stesse avvicinando a lei. L'eco però si interruppe quasi subito, come se Noah ci avesse ripensato nel portare a termine il loro avvicinamento. «Lo so e mi dispiace anche per questo» ribatté, ora molto più sicuro, combattivo. «Mi sono ammalato, e neanche la febbre mi avrebbe fermato se solo non fossi stato incosciente per la maggior parte del tempo» le spiegò, concitato. «E so che può sembrare una scusa, so che starai pensando che la notizia di un principe ammalato avrebbe dovuto risuonare così forte tra le mura da arrivare anche alle tue orecchie, ma no, perché quando un membro della famiglia reale si ammala, si tende a rimanere in silenzio per non dare l'idea che possa essere debole, che possa essere umano anche lui.»
L'accento sull'ultima frase la colpì come una sferzata d'aria gelida: Iris ci sentì dietro risentimento, dolore, rabbia e impotenza.
Deglutì, la parte che la spingeva ad andarsene sempre meno pressante, quella a voltarsi verso di lui sempre più forte, comandata da quella debole voce che per tutti quei giorni passati le aveva sussurrato che potesse esserci una spiegazione per quello che era successo, da quella voce che aveva cercato di soffocare per non sentirsi una stupida.
Rimase in silenzio, senza fare una mossa, aspettando.
Noah sembrò capire che gli stesse dando la possibilità di continuare, così lo fece. «Non ho mai voluto prenderti in giro. Quando ci siamo incontrati sul tetto non ho iniziato la conversazione con l'intento di nasconderti chi ero. Mi ero presentato come Noah e, onestamente, per me è impensabile incontrare qualcuno che non sappia chi sono» le spiegò, e nonostante la frase potesse sembrare arrogante, il tono con cui la disse indicò il sentimento più lontano da quello. Era pura arresa. «Quando mi sono reso conto che tu non l'avevi capito mi sono inizialmente sorpreso, ma poi mi sono trovato divertito da quell'incomprensione. Per me, era qualcosa di nuovo e rinfrescante, e quando ci siamo seduti a giocare a carte mi sono detto che avrei trovato un modo per dirtelo durante la nostra conversazione, ma a mano a mano che la notte passava mi sono trovato sempre più in difficoltà nel farlo. Come avrei potuto menzionare il fatto che fossi un principe? E poi per quale motivo?»
Fece una pausa, e Iris si domandò se si aspettasse delle risposte. Aprì la bocca, ma non riuscì a pronunciare una sola sillaba.
Come avrebbe potuto dirgli che il motivo per cui avrebbe dovuto dirglielo era per non illuderla?
Si sarebbe mostrata una sciocca.
Avevano parlato per ore, era vero, con scioltezza e divertimento, ma era stato comunque il primo incontro tra due perfetti sconosciuti.
Come poteva confessargli che le era bastata quella notte per far sì che il suo viso e la sua voce attecchissero al suo cuore?
Non poteva, così serrò di nuovo le labbra.
«Così ho lasciato perdere» riprese Noah. «E quando tu a fine serata mi hai fatto nuovamente quella domanda su chi fossi e io l'ho di nuovo evitata, mi sono sentito non solo un vigliacco ma anche una persona miserabile. Ti ho mentito, ti ho nascosto la verità appositamente, ma non perché avevo intenzione di prenderti in giro, non perché volevo qualcosa da te che avrei potuto ottenere se tu non fossi stata a conoscenza della mia nomina, non perché avevo intenzione di umiliarti, ma perché non volevo che quella notte passata con te si rovinasse, non volevo che la libertà che avevo provato si disintegrasse, non volevo che l'aria che ero riuscito a respirare si contaminasse come sempre si contamina quando la gente sa di avere davanti l'erede di un regno.»
Iris rilasciò un respiro, sorpresa da quanto le stava dicendo, sorpresa da quelle parole che stavano risuonando così vere da accenderle un dolce calore nel corpo.
Noah si era sentito come lei si era sentita in sua presenza la prima volta che l'aveva incontrato: libero di essere sé stesso.
Iris aveva dato per scontato che il suo vero sé fosse il principe, e ora si domandò se non fosse stata frettolosa nel pensarlo, nell'additarlo come un ragazzo viziato che aveva sempre ottenuto quello che desiderava con uno schiocco di dita.
E se invece era la libertà ciò che aveva sempre voluto?
Pensarlo la riempì di speranza, e quella parte di mente che ricordava ancora perfettamente la sua umiliazione bruciante cercò di schernirla.
Te le stai bevendo davvero queste scuse ridicole? Ti ricordi la cena? Che bisogno aveva di farti quello?
«La mattina dopo mi sono sentito così stupido, Iris, così stupido e allo stesso tempo così in trappola al pensiero che avresti presto scoperto la verità. Era impossibile che non l'avresti fatto. Ma poi quel giorno è passato senza incontrarti e così la notte sono tornato sul tetto, nella speranza di ritrovarti ma senza in realtà crederci finché non ti ho vista. Sono tornato lì per aggrapparmi, stupidamente, a un'altra notte ancora. E di nuovo, la libertà che ho provato in tua presenza mi ha fatto morire le parole sulle labbra. Un'altra alba è sorta, un altro giorno per te per scoprire la verità. E l'avresti fatto, perché ho scoperto che il giorno dopo saresti stata presente al tè domenicale con i miei genitori e io non potevo più continuare, non potevo più fingere.
Così, non sono più salito sul tetto, nonostante avessi voluto farlo. Non avrei potuto continuare a mentirti, non me lo sarei mai perdonato, e non volevo venire lì solo per confessarti il mio titolo e vedere il tuo atteggiamento nei miei confronti cambiare. Ingenuamente volevo rimanere aggrappato a ciò che avevamo condiviso, non volevo che fosse rovinato da niente» continuò Noah, ineluttabile, la voce concitata e triste allo stesso tempo. «Ed ero terrorizzato, talmente terrorizzato da avere persino paura di camminare per i corridoi della mia casa perché avrei potuto incontrarti. Una paura che dopo giorni si è concretizzata. Ci siamo incontrati e il mio animo si è affossato, perché i miei genitori erano a pochi passi di distanza da me e, rimanendo lì, tu li avresti visti e avresti capito, in quello che pensavo fosse il peggiore dei modi. Ma, qualche sera dopo, mi sono dovuto ricredere» disse, il tono piegato in amara ironia. «C'era di peggio, e c'è stato.»
Iris ripensò a quell'incontro nel corridoio, a come Noah era sembrato nervoso, di come aveva continuato a lanciare occhiate preoccupate alle sue spalle, di come era scappato da lei e l'aveva invitata a fare lo stesso.
L'aveva allontanata dai reali.
Un'altra volta, le aveva nascosto deliberatamente la verità.
Si irrigidì di nuovo: l'umiliazione soddisfatta, la speranza schiacciata.
«Dopo quell'incontro mi sono sentito ancora più ridicolo» riprese Noah. «Dopo quell'incontro mi sono detto che avrei dovuto dirtelo, ma dall'altra parte ammetto di essermi chiesto il perché avrei dovuto farlo. Cos'era quell'arroganza che mi spingeva a credere che a te importasse sapere che fossi un principe? Cos'era quell'arroganza che mi spingeva a pensare che ci saresti potuta rimanere male? Cos'era quell'arroganza che mi faceva credere che ti era importato di quelle notti come erano importate a me?» le chiese, altre domande a cui non ricevette risposta.
Non sei stato arrogante.
Quelle notti hanno significato tanto anche per me.
Quelle due notti mi hanno legata a te in un modo che mi ha fatto ripete più volte di essere una ragazzina romantica senza speranza.
Sono state due notti, eppure sono sembrate una vita.
«E allora ho cercato di dimenticare, ho preso una bottiglia di vino ed è lì che sei arrivata tu» continuò. «E, per la divinità celeste, sapevo che avrei dovuto dirtelo, ma è stata un'altra sera così piena di respiri che non ho avuto il coraggio di mozzarmelo. Ed ero ubriaco da far schifo, e non desideravo altro che baciarti, ma mi sono allontanato perché sapevo che non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti» le confessò, e il cuore di Iris venne stretto in una morsa. «E poi, quando ho scoperto che saresti stata presente a quella cena, ho capito che il tempo di illudermi era finito... e ti ho cercata, Iris, ti ho cercata per ore, ti ho cercata tutta la notte e tutta la mattina. Ti ho cercata perché la notte in questa serra mi ha dato la speranza che anche a te potesse importare qualcosa di me. Ti ho cercata perché non ti meritavi di scoprire chi ero in quel modo. Ti ho cercata per provare a spiegarti prima di commettere il danno più grave. Ti ho cercata, ma non ti ho trovata. E quando sono entrato in quella sala, quando ho visto la tua reazione, ho desiderato scomparire dalla faccia della terra» aggiunse, un tremolio nella voce che fece tremare anche il suo corpo. «E mi dispiace, mi dispiace più di quanto le parole possano esprimere, ma Iris, con il mio cuore in mano che non ha più smesso di battere da quando ho incontrato le tue iridi, ti giuro che non è mai stata mia intenzione prendermi gioco di te. Mai.»
Quando il silenzio ritornò a prendere possesso della serra, Iris sapeva che sarebbe stato molto più lungo di quelli che avevano interrotto di tanto in tanto il discorso di Noah, perché era consapevole che lui avesse finito di parlare, e che fosse ora il suo turno di dire qualcosa.
Ma Iris si ritrovò senza parole, incapace di mettere in fila anche solo un pensiero.
L'umiliazione e la rabbia erano del tutto scomparse, ma anche la speranza non stava più riscaldando il suo cuore accelerato.
Perché nonostante in quelle parole avesse sentito sincerità e bisogno, dei sentimenti caldi che le avevano fatto capire che Noah non aveva davvero mai voluto ingannarla, e nonostante in quel discorso Noah avesse fatto riferimento a dei sentimenti che provava per lei, Iris vi aveva sentito anche arresa e realtà.
E la realtà era che il ragazzo dietro di lei continuava a essere un principe. Continuava a essere l'erede al trono degli Hudson. Continuava a essere il promesso sposo di una principessa.
E l'arresa che aveva modulato il suo tono in distanza, nasceva dal fatto che Noah ne era consapevole, come lo era lei. Nonostante avesse sentito il bisogno di spiegarle ciò che lo aveva portato fino a quel punto, Noah sapeva perfettamente che quelle scuse erano tutto ciò che avrebbe mai potuto offrirle.
Parole.
Aveva voluto dirle che anche lui aveva sentito la connessione dei loro animi, ma aveva anche voluto dirle che era consapevole che non avrebbero mai potuto agire secondo i loro desideri.
Le aveva detto che non si aspettava niente da lei, e dall'altra parte non le aveva dato neanche lo spiraglio che avrebbe potuto aspettarsi qualcosa da lui.
Non mi hai baciata perché non pensavi fosse giusto nei miei confronti. E continuerà a non essere giusto, anche se adesso so chi sei.
Per quanto movimentato di sentimenti, il suo era stato un discorso fine a sé stesso, fatto con il solo scopo di chiedere scusa e non per farle capire che, se l'avesse perdonato, avrebbero potuto avere una possibilità.
Era stato un discorso pieno di realtà.
«Iris, ti prego, dì qualcosa» mormorò Noah.
Iris chiuse le palpebre, prendendo un respiro profondo.
A che scopo, Noah? A che scopo dirti che vorrei che le cose fossero diverse? A che scopo dirti che vorrei girarmi e perdermi nelle tue braccia?
«Vi ringrazio per avermi detto la verità, principe Noah.»
Le parole le uscirono dalle labbra come un grido velenoso, nonostante le avesse mormorate piano e senza intonazione.
A che scopo rimanere qui con te? A che scopo assecondare il desiderio di girarmi per sedermi su quella panca insieme a te? A che scopo passare con te un'altra notte destinata a rimanere nascosta dall'oscurità, come se fossimo ladri di un tempo che non ci spetta?
I suoi piedi si mossero senza una vera volontà del cuore. «Vi auguro una buona notte» aggiunse, raggiungendo la porta della serra, la mano alla maniglia.
E allora perché sto sperando che tu mi fermi, Noah? E allora perché sto sperando che tu mi chieda di rimanere a vivere una notte che domani, alla luce del sole, ci farà sentire ancora più noi e ancora più colpevoli?
Noah non disse niente, e Iris, le lacrime incastrate tra le ciglia, uscì nel gelo della notte.
Non vi è possibilità.
Non c'è mai stata.
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