35 - Porte
Iris bussò alla porta della camera di Victoria, rimanendo poi lì in attesa nella speranza che fosse già rientrata.
Erano passate da poco le nove di sera e, prima di coricarsi a letto, desiderava mostrarle il vestito su cui aveva lavorato negli ultimi giorni. Non stava più nella pelle di sapere cosa ne pensasse.
«Chi è?» domandò Victoria da dietro la porta chiusa.
«La tua unica ragione di vita» le rispose, gonfiando la voce.
L'uscio si aprì, rivelando Victoria e la sua espressione divertita. «Modesta come sempre, signorina.»
Iris fece un cenno alla camera. «Posso? Ho una sorpresa per te.»
Lo sguardo di Victoria si abbassò al fagotto che stringeva con cura tra le braccia. «Tu sì che sai come conquistarmi» le rispose, scostandosi per farla passare.
Iris le sorrise ed entrò, avvicinandosi subito al letto per depositarvi il vestito e sistemarlo in modo che si presentasse al meglio.
Victoria la raggiunse e osservò curiosa il suo lavoro, schiudendo le labbra in un oh silenzioso. «È bellissimo» si complimentò, facendovi passare sopra una mano. «Sei riuscita a lavorare la lana?»
Iris annuì, soddisfatta del risultato e della sua reazione. «Sono contenta ti piaccia, l'ho fatto per te.»
Gli occhi di Victoria saettarono al suo volto. «Non dovevi, Iris.»
«Ma volevo» ribatté, sorridendole dolce. «Te l'avevo promesso. Ed è stata un'ottima distrazione in quest'ultima settimana.»
Victoria annuì, uno sguardo colmo di gratitudine, e tornò a concentrarsi sul vestito per cogliere ogni particolare. «Lo metterò domani!» Iris ridacchiò del suo entusiasmo. «Aspetta» mormorò poi Victoria, riportando lo sguardo, ora sospettoso, su di lei. «Non è il tuo modo per addolcirmi per dirmi che hai deciso di andare via, vero?»
Iris scosse la testa. «No, non lo è» la rassicurò. Erano passati quattro giorni da quando la regina Nora le aveva rivelato le sue origini e l'aveva invitata ad andare a Rocheforte per ricongiungersi ad esse.
Nonostante Victoria si fosse, da quel momento, sempre mostrata entusiasta, Iris sapeva che non era felice al pensiero di una sua possibile partenza.
Victoria si sedette sul letto, lo sguardo basso alle mani che si contorcevano l'una all'altra. «Lo sai che non ti devi preoccupare per me, vero?» le domandò, senza però darle alcun tempo per rispondere. «Non devi rimanere qui per me.»
Iris si accucciò a terra per essere alla stessa altezza del viso di lei. «Ti ho promesso che ti sarei stata accanto.»
Victoria annuì. «E io ti ho promesso che una volta arrivate qui saresti stata libera di fare quello che desideravi. Hai la possibilità di ritrovare una parte della tua famiglia, di capire chi avresti potuto essere e di vestire i panni che ti spettano. Non voglio che tu rimanga qui a Huron per me, non se il tuo desiderio è quello di andare via.»
Iris rimase in silenzio, sedendosi poi a terra in una posizione più comoda. Si portò le gambe al petto, racchiudendosele tra le braccia per poggiare il mento alle ginocchia.
Sentiva lo sguardo di Victoria sul suo viso, ma non lo incrociò quando le disse: «Vorrei andare».
Il giorno dopo, quando si era risvegliata e aveva ripensato a tutto ciò che era successo con una mente più riposata e libera dalle emozioni del momento, Iris si era sorpresa del sollievo che l'aveva sommersa nel ricordare la proposta della regina Nora di andare con lei a Rocheforte.
Era però stato innegabile che il motivo per cui avrebbe acconsentito a seguirla senza ulteriori pensieri e domande era per il desiderio che provava di scappare da Huron.
La regina Valsecchi l'aveva avvicinata nel momento più adatto per porle quella domanda, quando la vergogna e l'umiliazione per quello che aveva subito alla cena del loro arrivo avevano ancora bruciato come braci ardenti il suo animo.
Ma ora, una settimana dopo la cena, Iris si era calmata abbastanza per riuscire a ragionare. E la verità era che non voleva lasciare Victoria: aveva deciso di andare a Huron per lei, di starle accanto in quella complicata transizione, di essere il suo familiare appoggio e il suo sostegno in quel mare di cambiamenti, e non avrebbe rotto una promessa alla sua migliore amica per colpa di un ragazzo.
Non sarebbe scappata. Avrebbe affrontato la situazione a testa alta.
«Allora vai» mormorò Victoria.
Iris ricercò gli occhi di lei. «Andrò, ma non adesso. Ho vissuto tutta la mia vita senza sapere niente della mia famiglia di origine, e già solo quello che so adesso mi soddisfa. Sono contenta di avere saputo chi sono, sono contenta di aver scoperto chi avrei potuto essere, e i titoli che mi spettano posso prenderli anche da qui. Non ho bisogno di correre a una casa impolverata e disabitata. Sta lì da diciassette anni, può aspettare ancora un anno. Non sono gli oggetti materiali a interessarmi, sono contenta anche solo di aver conosciuto i loro nomi.»
Victoria le sorrise, dolce e malinconica. «Lo so, ma quegli oggetti materiali potranno aiutarti a conoscerli, a renderli ancora più reali. Non ritardare per me ciò che stai aspettando di conoscere da tutta la tua vita, Iris.»
«Non è vero che lo sto aspettando da tutta la vita» ribatté lei, stringendosi nelle spalle. «Sono cresciuta più che bene, Vic, con dei genitori che mi amavano, in un paese accogliente. La mia è sempre stata solo curiosità» le spiegò. «Sono felice di avere dato loro dei nomi? Sì, lo sono. Ma questo non cambia niente. Sono venuta qui con te e non me ne andrò perché sono venuta a conoscenza di qualcosa che sì, mi rende felice, ma che non cambia niente di me.»
Non era proprio la verità. Quello che aveva scoperto aveva cambiato molto di lei. Ma erano tutti cambiamenti che non facevano altro che farla sentire ancora più in preda alle onde che l'avevano sballottolata per tutta la sua vita. Erano cambiamenti che la facevano ancora più interrogare sul suo futuro.
Desiderava davvero andare a Rocheforte e vivere a quella corte sconosciuta come nobile? O era solo quello che pensava di dover fare, prendere un posto, mettersi i panni di qualcuno che avrebbe potuto essere ma che non era?
Il suo futuro, il suo sé, i suoi desideri, erano più incerti che mai.
Victoria le sorrise luminosa, mentre le sue iridi verdi dimenticarono la preoccupazione. «Davvero?»
Iris annuì. «Davvero. Ho intenzione di dirlo domani alla regina Valsecchi. Rimarrò qui fino al tuo matrimonio, e poi deciderò cosa fare, che sia una gita di due settimane o uno spostamento un po' più lungo. Rocheforte non andrà da nessuna parte. Esattamente come te senza di me» le disse, per prenderla in giro.
Victoria roteò gli occhi e fece una smorfia, cercando di apparire infastidita ma mostrando invece solo divertimento. «Attenta, tra poco tu e l'ego smisurato che ti porti dietro potreste non riuscire più a entrare in questa stanza» le disse, per poi cadere in ginocchio sul pavimento per racchiuderla in un abbraccio.
Iris lo ricambiò, le labbra piegate in un sorriso sereno. «No, le camere di questa reggia sono talmente grandi che non corro alcun rischio.»
Victoria rise e si districò dall'abbraccio, risedendosi poi composta sul letto, e Iris allora si alzò in piedi, stiracchiandosi.
«Grazie per il vestito, è davvero bellissimo» le disse Victoria, accarezzandolo con lo sguardo.
Iris le sorrise e poi allacciò le mani dietro la schiena. «Ora credo proprio che andrò a dormire per riposarmi da tutto il faticoso lavoro che ho svolto per te.» Victoria roteò ancora gli occhi, e poi scosse la testa. «Buona notte, Vic.»
Victoria si alzò per accompagnarla alla porta. «A domani, Iris.»
Domani.
Un altro giorno che avrebbe passato alla reggia degli Hudson. Uno dei tanti che avrebbe vissuto con il batticuore nel camminare per quei corridoi lucidi con l'ansia di poterlo incontrare, uno dei tanti in cui avrebbe tirato un sospiro di sollievo e uno di esasperazione per non averlo trovato da nessuna parte, uno dei tanti in cui si sarebbe impegnata a non pensare a lui.
Non sarebbe scappata. Avrebbe affrontato la situazione a testa alta. Ci sarebbe riuscita, come c'era riuscita in quegli ultimi giorni.
Era però vero che Noah le stava rendendo quel compito estremamente facile: era scomparso da una settimana.
*
Noah bussò alla porta di suo fratello, sapendo che a quell'ora l'avrebbe trovato in camera.
Infatti, dopo soli pochi secondi, l'uscio si spalancò e Simon, ancora vestito di tutto punto per la cena da cui doveva essere appena tornato, lo squadrò dalla testa ai piedi. «Folksir ti ha liberato o sei evaso?» gli domandò.
Noah rise secco. «Ho scontato la mia pena da educato e diligente prigioniero» gli rispose, entrando nella stanza quando Simon si scostò per farlo passare. «Sono ufficialmente un uomo libero.» Si mosse in direzione del letto, su cui si sdraiò comodamente senza neanche preoccuparsi di togliersi gli stivali. «Cosa mi sono perso di interessante?» chiese, la voce leggera. «Abbiamo finalmente dichiarato guerra al regno degli Jean per conquistare il segreto del loro vino?»
Simon scosse la testa e si avvicinò al portabiti in ferro addossato a una parete, slacciandosi i lacci della camicia nel tragitto. «No, ma ne sono arrivate diverse casse come regalo per il mio fidanzamento. Guerra evitata.»
Noah ghignò e chiuse gli occhi in un'espressione sognante. «Loro sì che sanno fare dei doni apprezzati.»
«Se ti comporti bene, potrei condividerne un bicchiere con te.»
Noah spalancò gli occhi e li puntò sul volto ironico di Simon. «Un solo bicchiere?» gli domandò, fingendo sgomento. «Sono appena guarito, fratello, hai intenzione di farmi venire un altro colpo per spedirmi all'oltre mondo?»
Simon alzò gli occhi al soffitto, per poi togliersi la camicia. «Come stai?» gli chiese, sistemando con cura il vestiario.
Noah sventolò una mano in aria. «Bene, ma me la sono vista brutta. Fossi in te mi sentirei in colpa per non essere venuto a trovarmi al capezzale. Avresti potuto non vedermi mai più. Non merito neanche un saluto?»
La testa di Simon riemerse dalla sua camicia notturna in tempo per lanciargli un'occhiata annoiata. «Avevi la febbre, non una malattia mortale» ribatté, e Noah gli fece il verso. «Inoltre sono passato a trovarti il secondo giorno, ma Folksir mi ha cacciato.»
Noah arricciò le labbra, lasciandogliela vinta.
Folksir l'aveva tenuto segregato per sette giorni, anche se, a suo parere, gli ultimi due erano stati del tutto superflui. Non se ne era però lamentato: in fondo era quello che aveva desiderato avere, dei giorni per nascondersi dalla regina Nora e da Livia.
Per scappare da Iris.
Era da quando Folksir gli aveva chiesto se non fosse meglio non avvicinarsi più a lei, che Noah stava provando a dimenticarla. Cosa che però non gli stava riuscendo molto bene: i suoi pensieri continuavano a tornare su di lei, nonostante lui si affrettasse sempre a distoglierveli.
Aveva dato ascolto a Folksir perché sapeva che aveva ragione. Per quanto aveva provato a chiudere gli occhi e a fare finta di niente, aveva saputo fin dal primo incontro che quella relazione non solo era destinata a finire, ma neanche a iniziare.
Doveva aprire gli occhi, doveva rizzare la schiena e la testa e adeguarsi alle aspettative degli altri. Doveva abbracciare quel destino che non sarebbe mai potuto cambiare.
Scusarsi con Iris avrebbe fatto bene a lui, ma non a lei. Era meglio lasciarla andare con il pensiero di averla solo presa in giro, così da lasciarsi odiare e farsi dimenticare.
Noah avrebbe trovato un altro modo per sopravvivere.
Si schiarì la voce. «Nessuno è venuto a darmi la lieta notizia, quindi è inutile sperare che Livia e sua madre se ne siano andate così come sono venute, vero?» domandò, sperando che quel discorso potesse allontanarlo dai pensieri su Iris.
Ma in realtà anche quelli, come qualsiasi altro, continuavano a condurlo alle iridi di quella ragazza.
«È inutile» confermò Simon.
Noah annuì. «E non ha parlato dei malvagi piani che l'hanno portata qui, né di quando tornerà alla sua grotta nascosta tra i monti?»
Simon gli scoccò un'occhiata accusatoria. «Noah.»
Noah sorrise smagliante e si portò le mani dietro la testa, irriverente. «Lo sai che scherzo.»
L'espressione di Simon esprimeva tutto il suo scettiscismo e poi, ormai nei suoi vestiti da notte, si avvicinò al letto per sedersi accanto a lui. «Non ha parlato di niente di tutto questo» gli rispose, per poi lanciargli un'occhiata preoccupata.
Noah la colse senza problemi. «Ma?» lo incitò, capendo che c'era qualcosa che avrebbe voluto aggiungere ma che era insicuro di fare.
Simon distolse lo sguardo preoccupato. «Victoria mi ha riferito una cosa su Iris.»
Noah si irrigidì, lo sguardo fermo sul volto di suo fratello.
Che Iris avesse raccontato alla signorina Paddington di lui? Che l'avesse raccontato a tutti, solo per il gusto di vendicarsi?
Chiuse gli occhi, ricercando respiro.
No, non la farebbe mai.
Nonostante non potesse dire di conoscere così bene Iris Larson, Noah lo sentiva che il suo non era un animo capace di una crudeltà del genere.
«Sì?» lo esortò ancora, fingendo tranquillità e disinteresse.
«La regina Nora l'ha riconosciuta come la figlia di una marchesa e di un ricco nobile diplomatico della sua corte» gli confessò, e Noah spalancò le palpebre, fissando incredulo gli occhi scuri di suo fratello di nuovo tornati nei suoi.
Iris gli aveva raccontato del naufragio che l'aveva portata sulle coste di Intelli, gli aveva raccontato di essere cresciuta in una famiglia che aveva deciso di prendersi cura di lei, gli aveva raccontato della sua curiosità di trovare notizie sulla sua famiglia d'origine.
Possibile che fosse stato così facile?
«Ne... ne è sicura?» riuscì a domandare.
Simon annuì. «Lo è.».
Il cuore di Noah iniziò a battere più veloce nel suo petto alla realizzazione di cosa quello significava: Iris apparteneva alla nobiltà, anche di una classe molto elevata.
Noah strinse i pugni intorno alle lenzuola, cercando di non cedere alla sua stupida speranza.
Non cambia niente. La tua promessa sposa è Livia. Non cambia assolutamente niente.
«È talmente sicura da averle chiesto di andare a Rocheforte con loro» aggiunse Simon, dopo un ultimo istante di esitazione. «E lei sta prendendo in seria considerazione la sua proposta.»
La fioca gioia che Noah aveva provato alla prima notizia si spense sotto la freddezza di quell'ultima affermazione. Senza riuscire a fermarsi, spalancò ancora di più le palpebre, mostrando senza veli tutto il suo orrore.
Suo fratello se ne accorse senza difficoltà, e si chinò verso di lui come per mettere in atto un gesto di conforto, ma Noah fu più veloce e si alzò dal letto, dandogli le spalle per sfuggire a qualsiasi tipo di contatto.
Simon sospirò. «Mi dispiace tanto, Noah.»
Noah chiuse gli occhi, cercando di raggruppare tutte le flebili verità a cui si stava aggrappando da giorni: che tra lui e Iris non sarebbe potuto succedere niente, che lei avrebbe dovuto odiarlo, che si sarebbero dovuti dimenticare senza scambiarsi più neanche una sola parola di cortesia.
Non avrebbe dovuto importargli di una sua possibile partenza. Non avrebbe dovuto desiderare che rimanesse lì a quella reggia.
Anzi.
Avrebbe dovuto sperare in un suo allontanamento. Avrebbe dovuto sperare che se ne andasse per non fare più ritorno a Huron.
Partendo si sarebbe portata via tutta l'aria rimasta nei suoi polmoni, non gli avrebbe permesso più di goderne neanche per pochi secondi di contatto fugace delle loro iridi, ma sarebbe stato indubbiamente più facile.
Dopotutto era sopravvissuto per diciotto anni.
Avrebbe continuato a farlo.
Non aveva mai avuto bisogno di vivere.
«Non deve dispiacerti» disse, cercando di apparire sicuro, indossando i vestiti splendenti che non permettevano di mostrare insicurezza e dolore. «Sono contento per lei.»
«Noah...» provò a ribattere Simon.
Ma Noah si girò verso di lui, riservandogli un sorriso splendente. «Lo dico davvero» insistette, interrompendo le riserve dall'altro. «Questa settimana mi ha aiutato a riflettere molto» aggiunse, sostenendo con qualche difficoltà lo sguardo sorpreso di suo fratello. «Ora, se vuoi scusarmi, ho un appuntamento che mi aspetta sul tetto. È da una settimana che il mio caro amico piange dal desiderio di essere battuto a carte.»
Simon lo guardò per qualche altro istante di preoccupazione, ma alla fine sospirò arreso e annuì. «A domani, Noah.»
«A domani» ribatté, uscendo poi dalla camera.
Una volta fuori, si appoggiò alla porta e chiuse gli occhi, prendendo una boccata d'aria.
Ma quella era già profondamente diversa.
Si fece forza e si mosse per il corridoio per arrivare alle scale, che scese in fretta nella speranza di non incontrare nessuno, senza alcuna voglia di fermarsi in qualche convenevole sulla sua guarigione.
Non aveva alcun appuntamento con Filippo sul tetto, l'aveva solo utilizzato come scusa per scappare, per raggiungere in fretta il luogo di cui aveva bisogno, la serra che riusciva sempre a calmargli l'animo.
Non vi era più tornato da quando vi aveva portato Iris, non ne aveva più avuto il coraggio. Ma in quel momento necessitava così tanto di quell'aria pura, che il pensiero di poter sentire la sua risata ancora echeggiare in quella struttura di vetro, come se fosse rimasta intrappolata lì dentro per lui da riascoltare, non gli provocò paura.
Arrivò all'uscita della dispensa indisturbato, e si avventurò nel silenzioso giardino mangiato dalla notte con il solo desiderio di chiudersi lì dentro, sentirla e respirare.
Quando arrivò alla serra e vi entrò, però, Noah si immobilizzò appena dopo l'uscio, il respiro mozzato dalla sorpresa.
Dentro vi era già una persona.
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