31 - Febbre
Folksir si destò per dei pesanti colpi alla porta.
Si tirò a sedere sul letto e gettò una veloce occhiata alle finestre a cui non tirava mai le tende per provare a indovinare l'ora. Fuori il temporale imperversava allo stesso modo di quando si era messo a letto, ma la luce grigiastra gli fece capire che doveva essere quasi l'alba.
Chiunque avesse deciso di presentarsi così presto alla sua porta non accennava a volersene andare. I colpi erano continui, un tuono dietro l'altro.
Sospirando, si alzò e uscì dalla camera, chiudendone la porta per affrettarsi a quella del suo studio, l'unica d'entrata per le sue stanze.
L'idea che potesse essere Nora, incapace di prendere sonno dopo il primo incontro con quella figlia che aveva allontanato da sé diciassette anni prima, lo riempì di agitazione. Era troppo stanco per essere Folksir in sua presenza, per raccogliere le energie che gli servivano per non essere Matías e non prenderla tra le braccia per consolarla e sussurrarle parole di coraggio.
Folksir non aveva mai toccato la regina.
Folksir non aveva mai sussurrato parole di cuore alla regina.
Da quando l'aveva seguita alla corte di Rocheforte, tutto quello che erano stati da bambini e ragazzi era andato perso senza alcuna possibilità di essere ritrovato.
Aprì la porta con titubanza, per poi rilasciare un sospiro tra il sollevato e il sorpreso quando il suo sguardo incontrò gli occhi nocciola di Noah.
Subito dopo, però, domandò allarmato: «È successo qualcosa?».
Nonostante il primogenito passasse spesso a trovarlo, non l'aveva mai fatto a quelle tarde ore. Inoltre, appena la luce delle torce del corridoio inondarono il suo volto, notò che era devastato. La tristezza e il dolore erano sentimenti troppo labili per descrivere quello che esprimeva.
«Mi odia» disse il ragazzo, un mormorio che Folksir percepì appena. «Mi disprezza, e ha tutte le ragioni per farlo.»
Folksir strabuzzò gli occhi, sorpreso sia da quelle parole che dal loro senso di arresa. «Chi?»
Noah si coprì il volto con una mano. «Sono stato uno stupido» continuò, alzando il tono di voce. L'eco rimbombò per il corridoio vuoto. «Stupido ed egoista.»
Nel momento in cui si scoprì il viso, lasciando ricadere il braccio lungo il corpo, Folksir sussultò.
Stava piangendo.
«Perché non vieni dentro, Noah?» lo invitò, scostandosi dall'uscio.
Lui annuì e si fece avanti, perdendo il sostegno dello stipite della porta a cui si era appoggiato quando lui l'aveva aperta. Inciampò nei suoi passi traballanti, così Folksir si affrettò a sorreggerlo.
A quella vicinanza riuscì a sentire l'odore di alcol che si diramava dal suo fiato pesante.
«Sei ubriaco?» gli venne spontaneo domandare.
Noah scoppiò in una risata sarcastica. «Ho provato ad annebbiare i miei pensieri, e invece i liquori non hanno fatto altro che renderli più consistenti.»
Folksir grugnì quando il ragazzo si lasciò andare con tutto il peso del corpo su di lui, e lo accompagnò a una stanza attigua, il luogo in cui visitava i suoi pazienti in privato. Era una camera semplice e spoglia, con solo un letto singolo, qualche sedia comoda e diversi armadi e madie che custodivano gli strumenti del suo mestiere.
Fece sedere Noah sul letto e si allontanò da lui, sperando che senza il suo sostegno non cadesse in avanti a terra.
«Sdraiati» gli disse.
Ma Noah rimase immobile, senza dare neanche segno di averlo sentito. Lo sguardo vuoto era fisso nel nulla, la postura rigida come fosse di pietra.
Folksir si avvicinò a una mensola in vista per recuperare tre barattoli contenenti piante diverse, depositandoli poi sul tavolo addossato alla parete.
«La cena è andata così male?» trovò il coraggio di chiedergli, senza però trovare quello per guardarlo in faccia.
Noah scoppiò in un'altra risata che diede però l'impressione di essere più il guaito di un animale ferito. «È stata un incubo. Una tortura.» Folksir si immobilizzò e il barattolo a cui stava svitando il tappo quasi gli cadde dalle mani. Cosa era successo? Cosa aveva fatto Nora? «Era lì, così vicina eppure così lontana. Era lì, e io non ho avuto neanche il coraggio di guardarla» si interruppe, trasalendo. «Di guardarla, Folksir, guardarla!» urlò. Folksir si girò verso di lui, e deglutì quando vide i suoi occhi neri, le pupille dilatate come quelle di qualcuno in preda a un delirio. «E poi...» riprese, abbassando lo sguardo alle mani che si stava facendo passare nervosamente sulla stoffa dei pantaloni. «E poi sono andato da lei per chiederle perdono e lei... lei ha pensato che fossi lì per... per la divinità celeste, Folksir, cosa ho fatto?» chiese, riabbassando il tono della voce in un mormorio. «Cosa ho fatto?»
Folksir rimase impietrito dalla disperazione che emanava, così come dalla realizzazione che lo bruciò come uno dei fulmini del cielo può incendiare un albero.
«Immagino che tu non stia parlando di Livia.»
«Livia» ripeté Noah, il nome trascinato in una mezza risata.
Era da una settima che Folksir si stava domandando se Iris e Noah si fossero incontrati, e ora aveva la sua risposta. L'avevano fatto, ed era certo che il loro incontro fosse avvenuto nello stesso istante in cui lei era arrivata alla reggia.
Non senti qualcosa di diverso nell'aria, vecchio mio?
Come poteva avere avuto anche un solo singolo dubbio?
Oh, fato crudele.
«Iris Larson» mormorò Folksir.
Il viso di Noah scattò verso l'alto, gli occhi giganteschi puntati nei suoi. «Iris Larson» ripeté, e l'ironia che era capitolata nel tono nel nominare Livia scomparve. Il nome di Iris uscì dalle sue labbra come pura musica. «L'hai notata anche tu, Folksir? Hai notato anche tu le sue iridi, vero?»
Folksir sospirò. «Sì, Noah, le ho notate anche io.»
Le ho aspettate per diciassette anni.
Quando Nora aveva deciso di allontanare Iris dalla corte dei Valsecchi, Folksir aveva deciso di allontanarsi allo stesso modo. Nonostante lei l'avesse pregato di restarle accanto, lui se ne era andato, senza il minimo dubbio di dove dirigersi: Huron l'aveva accolto dieci giorni dopo la sua partenza da Rocheforte.
Folksir credeva fermamente nel fato, nelle due divinità. Come poteva non farlo? Era un loro messaggero, riusciva a vedere il destino insito negli occhi delle persone, riusciva a percepire la meta a cui i loro passi li avrebbero portati, riusciva a leggere le profezie cucite sulla loro pelle come cicatrici di battaglia.
Nora aveva creduto che mandare via Iris dalla corte per farla crescere senza sapere chi fosse avrebbe fermato il suo destino, ma Folksir era sempre stato consapevole che le strade del fato erano molteplici.
Era allora andato a Huron, certo che un giorno vi sarebbe giunta anche lei.
Erano stati diciassette anni di attesa e dolore.
«Certo che le hai notate!» esclamò Noah. «Come si può non notarle?» domandò poi, scuotendo la testa. «Come si fa a non innamorarsi di lei a prima vista, Folksir? Le sue iridi ti attraggono e non ti lasciano più. E non sono solo quelle, sai? La sua voce, il modo in cui scoppia in una risata, le cose che ha da raccontare, la capacità che ha di farmi respirare, il suo corpo...» si interruppe, la bocca schiusa, gli occhi spalancati. «Hai visto che vestito indossava stasera, Folksir?»
Folksir sospirò e scosse la testa, dandogli poi di nuovo le spalle per riprendere il lavoro che aveva interrotto.
«È vero, non c'eri stasera!» riprese il ragazzo dopo un attimo di silenzio. «Dovevi vederla in quel vestito, vecchio mio, dovevi vedere come...» si interruppe un'altra volta, sospirando di frustrazione. «Non ho mai desiderato strappare il vestito a nessuno, Folksir, a nessuno! E ho desiderato strapparglielo a lei... anche se non avrei mai potuto farlo... le stava davvero bene e sarebbe stato un peccato rovinarlo... sai, l'ha cucito con le sue stesse mani... glielo avrei tolto con gentilezza... credo... come si toglie il vestito a una donna, Folksir?»
Nonostante quella situazione non fosse il benché minimo divertente, Folksir non riuscì a non sorridere allo sproloquio insensato di Noah. Raccattò la pastiglia che aveva creato comprimendo tra loro i tre tipi diversi di piante e tornò a fronteggiarlo. Si era sdraiato sul letto, lo sguardo al soffitto sopra di lui.
«Potrei anche spiegartelo, ma domani non lo ricorderesti.»
Noah acconsentì. «Probabile» sospirò. «Non trovi sia un'ingiustizia? Non ricorderò questo discorso, eppure sono sicuro che ricorderò perfettamente che lei mi disprezza. Sono sicuro che lo ricorderò per tutta la vita. Perché? Perché non posso scordarlo allo stesso modo?»
Il suo stato d'animo si era affossato nuovamente: i suoi pensieri dovevano essere ripiombati nel vuoto.
Folksir si riavvicinò a lui. Le sue iridi erano di nuovo liquide di lacrime. «Perché dovrebbe disprezzarti?» indagò.
«Perché le ho mentito» gli rispose chiudendo gli occhi, sofferente. «Non le ho detto chi ero, e l'ha scoperto stasera a cena.»
Folksir serrò le labbra. Avrebbe voluto rassicurarlo, avrebbe voluto dirgli che era certo che se avesse trovato modo di spiegarle il motivo per cui l'aveva fatto – che per lui era lampante come la luce del giorno – Iris l'avrebbe perdonato.
Ma rimase in silenzio.
«Mi odia» sussurrò Noah.
No, Noah. Vorrei che ti odiasse. Vorrei che ti disprezzasse. Sarebbe tutto più semplice. Ma no. Purtroppo, no. Non ti odia.
Deglutì disagio e colpe, e poi gli porse la pallina d'erbe. «Tieni, mastica questo» gli disse, cambiando discorso.
Noah riaprì le palpebre pesanti. «Cos'è?»
«Un medicinale.» Era certo che la patina lucida nelle sue iridi non fosse dovuta solo all'alcol e alla tristezza. «Ti aiuterà.»
«A dimenticare?» ribatté con una smorfia di scherno. Folksir gli lanciò un'occhiata esasperata e Noah sbadigliò, sistemandosi poi di lato alla ricerca di una posizione comoda. Il sonno lo stava per richiamare. «Non voglio niente» continuò, scacciandogli la mano per poi nascondere le sue sotto il cuscino. «Voglio stare male, domani. Inventati che sono moribondo e tienimi qui.»
Folksir scosse la testa e gli poggiò una mano sulla fronte. Come si era immaginato, era bollente. «Non mi dovrò inventare proprio niente. Hai la febbre alta. Starai qui come minimo per una settimana.»
Noah, gli occhi chiusi e il respiro ormai pesante, piegò le labbra in un ghigno soddisfatto. «Ci sono riuscito ad ammalarmi, alla fine» mugugnò.
Folksir sospirò e gli offrì di nuovo il medicinale. «Mastica le erbe, Noah. Ti sentirai meglio.»
Ma lui scosse la testa sul cuscino. «No. Mi merito tutto quello che sto provando.»
«Noah.»
Ma il primogenito non gli rispose più.
*
Nora arrivò prima della colazione.
Quando bussarono alla sua porta, Folksir sapeva che era lei. Si alzò dalla sedia dello scrittoio già preparato per uscire dalle sue stanze, gettando frettolosamente un'occhiata alla camera in cui riposava Noah. Nonostante il suo sonno fosse molto agitato, non si era ancora svegliato da quando aveva chiuso gli occhi qualche ora prima.
Aprì la porta e uscì nel corridoio prima che Nora potesse entrare nello studio. «C'è il principe Noah» le disse, chiudendo velocemente l'uscio dietro di sé. «Non possiamo stare qui» aggiunse, ricercando le iridi di lei che gli avevano sempre ricordato il cielo.
Non solo per il colore, ma anche per la sensazione di libertà che gli suscitavano, come quella che deve provare un uccello ogni volta che si alza in volo nell'aria.
Quella mattina, però, gli occhi di Nora erano una tormenta. Folksir capì che non doveva averli chiusi quella notte.
«Come mai è qui?» gli chiese.
«È ammalato» le rispose, per poi fare un cenno con il capo al corridoio. «Venite, mia signora. Camminiamo insieme fino alla sala della colazione. Stavo andando a dare la notizia ai reali Hudson.»
Nora annuì appena, e insieme si incamminarono verso le scale che avrebbero portato al terzo piano in modo da raggiungere lo scalone principale per scendere al pianterreno.
Era intricato arrivare all'ala in cui si era stabilito. Folksir l'aveva scelta appositamente per quel motivo. Quando era arrivato alla reggia, aveva desiderato stare il più possibile lontano e isolato dalla sua vita e dai suoi rumori.
Folksir non le chiese di raccontarle come era andato l'incontro con la figlia perduta, né Nora provò a raccontarglielo, e camminarono fianco a fianco in silenzio per diverso tempo.
Poi, però, non riuscendo più a sostenerlo, disse: «Non si sono incontrati per la prima volta ieri sera».
Non poteva nasconderglielo. Non poteva nasconderle niente.
Il volto di Nora si sollevò da terra. «Come lo sai?»
«Quando Noah è arrivato stanotte da me, mi ha raccontato...» si interruppe. «Ho capito che si conoscono dal momento in cui è arrivata.» Nora si lasciò sfuggire un gemito di dolore. «La ama, mia signora.»
«Si conoscono da così poco tempo...» provò a ribattere.
Ma Folksir non le fece portare avanti quell'argomentazione nulla. «L'ha amata dal primo sguardo» le disse, ricordando le parole di Noah. «Puoi biasimarlo? Il principe è un ragazzo estremamente sensibile. Si è sempre sentito soffocare da...»
«Livia» sospirò Nora, quando a lui mancò il coraggio di nominare sua figlia.
Folksir annuì. «E dai suoi doveri» aggiunse. «E poi è arrivata Iris, una ragazza sconosciuta che non ha niente a che vedere con questo mondo. Una ragazza sconosciuta che non sapeva neanche chi aveva davanti. Si deve essere sentito libero per la prima volta nella sua vita.»
La capacità che ha di farmi respirare, gli aveva detto Noah, quella notte. Ed era stato ciò che gli aveva fatto più male sentire, perché Folksir sapeva tutto quello che c'era dietro la sua apnea, tutto ciò che privava aria ai suoi polmoni, e da quanto tempo lo facesse.
Forse è l'aria stessa a essere diversa. È più leggera.
Una leggerezza che non gli era mai stata concessa.
Nora rimase a lungo in silenzio a considerare quel pensiero e poi gli domandò. «E lei?»
Folksir si guardò in giro. Erano già arrivati al terzo piano, nelle vicinanze dello scalone principale. Quei corridoi erano molto più brulicanti di quelli che avevano lasciato, ma nessuno stava prestando loro attenzione. «Non lo so» le rispose, sincero. Davvero non lo sapeva, ma Folksir poteva bene immaginarselo. Ancora una volta, davanti a lei, preferì tacere. «Lui pensa che lo disprezzi.»
Nora si fermò, e Folksir fece lo stesso, girandosi poi per fronteggiare la donna che gli era rimasta alle spalle. Nei suoi occhi burrascosi si era formato un raggio di sole. «Perché?»
«Perché le ha nascosto chi è davvero» le sussurrò, riavvicinandosi a lei per tenere quella conversazione solo alle loro orecchie. «E ieri sera, a cena, Iris ha scoperto che è il primogenito degli Hudson e che la principessa di Rocheforte è la sua promessa sposa.»
La tormenta nelle iridi di Nora si acquietò come se non vi fosse mai stata. «Possiamo sfruttarlo a nostro favore, Folksir.»
Folksir scosse la testa. «Mia signora...»
«Deve essere arrabbiata, delusa, e lui è in preda alla febbre» insistette, la voce su di giri. «Non si vedranno per giorni, Noah non potrà spiegarsi per giorni, e questo vuol dire che la rabbia che prova per lui non farà altro che accrescere, penserà che a lui non gliene importi niente.»
Folksir abbassò le palpebre in un moto di stanchezza. «Che cosa volete fare?»
«Noah si fida di te» gli disse, dopo un solo attimo di considerazione. «Ti ascolta.»
Folksir riaprì gli occhi, capendo cosa gli stesse chiedendo di fare. Le iridi di Nora erano piene di fiducia, e il suo cuore prese a battere più velocemente. «Temo che su questo io abbia poco potere. Noah non ascolterà nessuno se non sé stesso.»
Ma Nora scosse la testa, decisa. «Non è vero. È un ragazzo solo, in questo momento, perso. Ha bisogno di una guida, Folksir. Devi provarci. Per favore.»
Folksir sospirò di arresa, e annuì. «E Iris?»
Nora raddrizzò la postura e alzò il mento, assumendo tutto il suo comportamento regale. «A Iris verrà data la possibilità di tornare nel luogo in cui è nata.»
Folksir aggrottò la fronte, ma Nora non gli diede tempo di chiederle le sue intenzioni. Lo superò, e si diresse verso lo scalone con passo sicuro.
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