16 - Huron

«Iris!»

Iris sentì la voce di Victoria richiamarla nel dormiveglia, ma non riuscì subito a risponderle. Le palpebre erano troppo pesanti per riuscire a sollevarle senza una significativa forza di volontà.

«Iris!» disse una seconda volta, o forse una terza, Victoria. «Ma si può sapere a che ora sei andata a letto?» Iris mugugnò, per farle capire di non stare davvero dormendo, ma tenne gli occhi serrati. «Pensavo saresti stata più emozionata all'idea di venire in paese!»

Paese?, pensò sconcertata Iris, provando a inseguire i pensieri frammentati dalla stanchezza per capire dove si trovasse.

Ricordò Victoria entrare in camera sua e aprire le tende senza tante cerimonie. L'aveva svegliata, chiedendole se stesse bene, considerando che fossero le dodici passate.

Sì, Iris ricordava di avere dormito fino a tardi, ma comunque poco considerando che aveva toccato il letto solo alle sei del mattino e che ci avesse poi messo un'altra ora almeno per cadere nel sonno.

Una volta che si era accertata che non stesse male, Victoria le aveva dato tempo un'ora per prepararsi: una carrozza le attendeva per portarle a Huron.

Iris ricordava di essersi alzata dal letto e di essersi trascinata alla sala bagno e di essersi lavata e vestita e di avere poi seguito in silenzio Victoria fino al cortile interno della reggia.

E dopo?

Iris sobbalzò, bruscamente, e sollevò le palpebre di scatto: Victoria, seduta di fronte a lei, la stava scrutando curiosa.

Non ci mise molto per rendersi conto di essere su una carrozza che, spedita, doveva aver appena imboccato una strada molto più acciottolata di quelle che aveva percorso fino a quel momento. Le ruote si scontravano regolarmente con i sassi, sballottolando lei e Victoria contro i sedili.

Iris sbatté le palpebre. Si era davvero addormentata. Aveva chiuso gli occhi appena si era seduta, per riposarli solo un attimo – aveva pensato –, e la stanchezza l'aveva trascinata nel buio.

«Vic» biascicò, raddrizzandosi. «Mi dispiace. Mi sono addormentata.»

Victoria le sorrise. «E io ti ho lasciato dormire per i venti minuti del nostro viaggio, ma stiamo arrivando a destinazione. Quindi ho bisogno che ti svegli.»

Iris si schiarì la voce e si fece passare il dorso della mano sulla bocca. «Sono sveglia, giuro. Scusami.»

Victoria scosse la testa. «Mi vuoi spiegare cosa hai fatto stanotte per averti dovuto trascinare fuori dal letto a mezzogiorno?» le chiese, indagatoria. «Mildred, la ragazza che oggi ti è venuta a svegliare per portarti la colazione, mi ha cercata tutta preoccupata perché non le rispondevi.»

Iris si massaggiò le tempie con entrambe le mani, tirando su con il naso. La notte insonne sul tetto le aveva lasciato come regali un grandioso mal di testa e raffreddore.

Gettò un'occhiata di sottecchi a Victoria. Non avevano avuto modo di parlare, a palazzo, prima di salire sulla carrozza. Iris l'aveva seguita come un fantasma, non presente alle proprie azioni e ai propri pensieri.

Fu solo in quel momento, quindi, che Iris ebbe abbastanza lucidità per interrogarsi se confessarle ciò che davvero l'aveva tenuta fuori dal letto fino all'alba.

Ho giocato per tutta la notte a carte con un ragazzo.

Victoria non si sarebbe scandalizzata all'idea che avesse passato tutte quelle ore a giocare a carte con un ragazzo, pensò Iris, ne avevano passate tanti di notti così, a Intelli.

Victoria sarebbe però stata molto interessata al fatto che Iris avesse giocato per tutta la notte a carte con un ragazzo sconosciuto. L'avrebbe probabilmente sommersa di domande, curiosa di chi lui fosse e di cosa avessero parlato e se avessero intenzione di incontrarsi di nuovo.

Iris si mordicchiò un labbro, pensierosa. C'era davvero qualcosa da raccontare della notte precedente?

Era stato dopotutto solo l'incontro tra due giovani che avevano deciso di farsi compagnia durante una notte insonne, parlando del più e del meno come si potrebbe fare con chiunque. Non era stato niente di memorabile, nonostante fosse stata la prima cosa a cui Iris aveva pensato quando Victoria l'aveva costretta ad aprire gli occhi un'ora prima.

Quello lo ricordava.

Ma era davvero qualcosa a cui dare tanto peso da sentire la necessità di menzionarlo alla sua amica?

Sai, Victoria, sono stata tutta la notte a giocare a carte con un ragazzo della servitù che probabilmente non incrocerò mai più.

«Iris?» la richiamò, ancora, Victoria. «Stai dormendo con gli occhi aperti?»

Iris sbatté le palpebre e focalizzò lo sguardo su Victoria. «No, certo che no» ribatté, fintamente indignata. «Ti ho giurato di essere sveglia!»

Victoria la squadrò, poco convinta. «Quindi? Mi vuoi dire che hai combinato?»

Iris si meravigliò quando pensò che no, non voleva dirle cosa aveva combinato.

Perché?, pensò, mentre le sue labbra, quasi senza consenso, dissero: «Non riuscivo a dormire. Ho solo vagato per la reggia... ci ho messo parecchie ore a ritrovare la strada per la mia stanza».

Victoria inarcò le sopracciglia, e poi scoppiò a ridere. «A che ora l'hai ritrovata?»

Iris si strinse nelle spalle. «Stamattina.»

Ma senza difficoltà, grazie a Noah, pensò. Quando erano tornati al piano della servitù, dove lui si era fermato, il ragazzo le aveva spiegato per filo e per segno il modo più veloce per andare dove lei doveva invece tornare. Ci aveva messo pochissimo a ritrovare la camera.

Victoria acquietò le sue risa e Iris strabuzzò gli occhi, tutto d'un tratto conscia di qualcosa. «Stamattina!» esclamò. Victoria aggrottò la fronte. «È pomeriggio.»

«Ottima capacità di deduzione, Iris» la schernì divertita, e confusa, l'amica.

«La mattina che dovevi passare con il principe» disse in fretta Iris. «Oh, per la divinità celeste. Mi dispiace Victoria, non ho idea di dove sia la mia testa...»

«...A vagare ancora per la reggia, presumo» le parlò sopra Victoria, senza stizza o rabbia.

Iris sventolò una mano in aria. «Sono terribile» si scusò, protraendosi, attenta, verso di lei. «Come è andata?»

Gli angoli della bocca di Victoria si arricciarono in un sorriso. «Molto bene.» Iris la guardò, invitandola a continuare il racconto. «Abbiamo fatto colazione e poi, approfittando del sole, mi ha fatto fare un giro nei giardini del palazzo. Sono bellissimi, dovrai esplorarli, la prossima volta.»

Iris sventolò ancora una volta la mano tra di loro. «Sì, alla reggia tutto è bellissimo» acconsentì in fretta. «Ma lui com'è, quindi?»

Victoria distolse lo sguardo, imbarazzata. «Il principe Simon... te l'ho detto... è davvero gentile... Mi sono trovata molto bene, con lui, stamattina.»

Iris si riappoggiò allo schienale della panca imbottita. «Siete riusciti a parlare?»

Victoria annuì. «Abbiamo più che altro parlato della mia vita a Intelli, e della sua vita a Huron. Avevo invitato anche i principi a venire con noi, oggi pomeriggio...»

Iris inarcò un sopracciglio. «I principi?»

«Sì. Ho conosciuto suo fratello, a colazione.»

«Non l'hai conosciuto ieri sera?» le domandò, ricordandosi solo in quel momento che il primogenito non era stato presente alla cerimonia di arrivo. Iris non le aveva poi chiesto se si era fatto vedere a cena.

Victoria scosse la testa. «No, era fuori per delle questioni diplomatiche. Stamattina è venuto a presentarsi e a farmi le sue scuse.»

Iris si umettò le labbra. «E come ti è sembrato il primogenito?»

Victoria spostò lo sguardo al finestrino, scostò di un poco la tendina. Il cielo fuori era grigio, tempestoso. «Mi è sembrato a posto.»

Iris roteò gli occhi, esasperata. «Quando inizieranno le tue lezioni con il precettore di corte?» le chiese. «Non so per quale motivo, ma sembra che tu abbia dimenticato molti vocaboli, durante il nostro viaggio. Hai bisogno di un bel ripasso» la prese in giro, visto che la sera prima aveva definito anche il principe Simon come un tipo a posto.

Victoria fece una smorfia. «Non lo so. È stato con noi solo un'ora. Gentile, educato ma... mi è sembrato un po', come posso dire? Costruito?»

Iris, pensierosa, portò lo sguardo nella direzione di quello di Victoria. Costruito, si ripeté. Proprio come il principe Simon non le era sembrato.

Iris non poté fare a meno di chiedersi cosa l'erede al trono dovesse pensare di quel matrimonio combinato, quali fossero i sentimenti nei riguardi della sua amica, quale fosse il rapporto con suo fratello.

Cosa si dovesse provare a vestire i suoi panni.

«Hanno rifiutato?» le domandò Iris. «I principi» specificò, riallacciandosi a quanto le aveva detto. «Di accompagnarci.»

Victoria scosse la testa. «Non possono venire liberamente a Huron.»

Iris non poté che soffermarsi anche su quel fatto. Su cosa si dovesse provare a crescere in un mondo che contemplava la libertà di tutti, tranne di coloro che si impegnavano a proteggerla per i loro sudditi.

Riportò gli occhi sul volto di Victoria, ancora intenta a guardare il paesaggio. Anche lei, presto, avrebbe perso quella libertà. La libertà che Intelli e i Monvisi le avevano concesso.

Non ci sarebbero più state gite in carrozza. Non avrebbero più potuto passeggiare tra le vie di Huron come due semplici ragazze. Non avrebbero più potuto passare ogni singolo momento delle loro giornate insieme.

E lei, cosa avrebbe fatto, una volta che Victoria sarebbe stata inghiottita dagli stessi doveri che avevano inghiottito il suo promesso sposo fin dalla nascita?

Cosa sarebbe rimasto di lei? Della loro relazione?

Come avrebbe vissuto?

Iris si accorse che la carrozza stava iniziando a rallentare, così riportò gli occhi all'oblò.

«Siamo arrivate» annunciò Victoria, emozionata. «Sei pronta a esplorare o sei ancora troppo stanca da quella notturna?»

Iris le sorrise, mettendo da parte quei pensieri, quelle incertezze, cercando di trovare un ancora di salvataggio in mezzo alle onde che non avrebbero smesso di scombussolarla.

Un'ancora resistente per almeno il tempo di quel pomeriggio.

Non era difficile trovarla, però, con Victoria al suo fianco.

Era lei la sua ancora. Un'ancora che presto sarebbe stata costretta a levarsi dalla sabbia su cui si era, saldamente, posata.

«Sono pronta» confermò, proprio mentre ser Joshua apriva la portiera.

Iris, l'esploratrice.

Tutto quello che sapeva, e desiderava, essere in quel momento.

Sarebbe stato abbastanza, ancora per un po' di tempo.

Iris scese dalla carrozza.

*

Huron era un paese che sembrava uscito da una favola. Le stradine piastrellate, larghe e luminose; le piazze adornate da statue, fontane e torri orologiaie; abitazioni di mattoni chiari ricoperte di rampicanti; botteghe con vetrine ordinate; persone avvolte in indumenti di lana che si aggiravano tra le vie della capitale del regno.

Era un paese molto più grande di Intelli, eppure era un paese più posato. Meno caotico, meno vociante. Più misurato, più serio.

Il sole che quella mattina aveva scaldato l'aria era stato coperto da pesanti nubi promettenti pioggia, ma Iris e Victoria avevano camminato per le vie per ore senza preoccuparsene, seguite sempre passo passo da ser Joshua.

Avevano vagabondato senza una meta, affacciandosi a botteghe di genere diverso, accettando un dolcetto offerto loro, studiando l'arte visibile a tutti.

Victoria non poteva essere ancora riconosciuta dal popolo, e nessuno quindi pensò di avere davanti la futura principessa di quel regno. Non erano però mancate le occhiate curiose e timorose rivolte a Iris, che aveva però cercato in tutti i modi di non notare.

Nonostante la diversità con Intelli, a Iris era piaciuto molto quel paese. Ne era rimasta affascinata, aveva guardato tutto con interesse e una scintilla di curiosità.

Era stato un bel pomeriggio, e ora, con l'avvicinarsi della funzione delle diciassette, Iris e Victoria stavano seguendo ser Joshua per andare in chiesa.

Non l'avevano ancora incrociata, e a mano a mano che vi si avvicinavano Iris capì che doveva trovarsi ai margini della capitale. Le costruzioni umane si andavano sempre più a diradare, lasciando posto alla natura rigogliosa. Un altro aspetto di quel regno che aveva lasciato Iris a occhi spalancati, così diverso dalla natura che aveva osservato per tutta la sua vita.

«Guarda.»

Victoria indicò con un dito un vasto giardino alla loro sinistra, dove molti bambini stavano giocando a rincorrersi. Più in lontananza, Iris scorse una monumentale abitazione a più piani.

«È la casa della divinità celeste di Huron» si affrettò a spiegare ser Joshua, che per tutto il pomeriggio si era dimostrato una guida eccellente.

A Iris non era dispiaciuta la sua compagnia. Era un uomo adulto, composto e serio. Si era posto a loro con tutte le accortezze del caso, ma era stato allo stesso tempo un compagno alla mano e paziente.

«Oh» mormorò Iris. «Non ne ho mai vista una, prima di oggi.»

Victoria si fermò per guardare meglio la struttura imponente. «Io ho visitato quella di Masteria, una volta. Ma questa è tutta un'altra cosa.»

Iris si fermò accanto a lei, lo sguardo puntato sui bambini vocianti e allegri.

Le case della divinità celeste erano delle dimore e delle scuole, che ospitavano bambini senza tenere conto del loro ceto sociale o della loro condizione familiare. In quelle mura, vivevano orfani senza nome e piccoli nobili mandati lì dai loro genitori per ricevere la migliore delle istruzioni. Oltre a chi vi dimorava, ogni giorno si avventuravano alle loro porte bambini di ogni provenienza per essere istruiti.

Erano case presenti in ogni capitale del regno, ma sorgevano anche in altri luoghi, spesso in aperta campagna.

Iris sapeva che se nessuno si fosse offerto per prendersi cura di lei, quando era arrivata a Intelli, sarebbe stato proprio quello il luogo in cui sarebbe cresciuta. Probabilmente a quella di Tarasmo, la più vicina al paese a cui era approdata.

Era un altro se nella vita di Iris: non era mancate le volte in cui si era interrogata come la sua vita sarebbe stata se fosse stata mandata in quel luogo. Chi sarebbe diventata, cosa avrebbe fatto, come avrebbe pensato.

Ma non era stato il suo destino.

Iris guardò nella direzione di un uomo, che spiccava tra i bambini e giovani ragazzi per la sua altezza ma anche per il suo vestiario più pulito.

Strabuzzò gli occhi quando lo riconobbe come l'uomo che, il giorno prima, aveva visto vicino ai troni.

«Quell'uomo» mormorò a Victoria, cercando di indicarlo senza farsi vedere. Lui era però lontano, occupato a parlare con uno dei bambini. «L'ho visto alla tua accoglienza.»

Victoria seguì il suo sguardo. «Hai ragione. È il consigliere più fidato dei reali. È stato presente anche a cena e c'era lui, stamattina, a sorvegliare me e il principe.»

Una spiegazione sensata, a cui Iris sarebbe dovuta arrivare da sola, appena aveva posato su di lui lo sguardo. Chi altri avrebbe potuto stare al fianco dei reali, se non il loro consigliare?

Eppure, le sembrò... strano. C'era qualcosa, in lui, che dava l'impressione di essere tutt'altro che un consigliere. Forse il suo viso, dopotutto ancora giovane per ricoprire una posizione prestigiosa come quella; forse le sue iridi grigie, un colore non fuori dal comune quanto le proprie ma comunque rare; forse per ciò che aveva visto nei suoi occhi quando li avevano incrociati nella sala del trono, un'energia misteriosa e magnetica; forse perché le era sembrato così fuori posto, tra la famiglia Hudson.

Iris non riuscì a distogliere lo sguardo da lui, curiosa.

Le sembrò molto più a suo agio adesso, accovacciato a terra così da essere alla stessa altezza del bambino che non smetteva di muovere le labbra, come se gli stesse raccontando una storia coinvolgente. E coinvolto era il viso di lui. Un caldo sorriso splendeva sulle sue labbra.

«E cosa ci fa qui?» sussurrò, come se parlare a bassa voce le potesse dare modo di sentire quella conversazione troppo lontana dalle sue orecchie.

«È anche un medico» le rispose Victoria, e dal suo tono sbrigativo Iris capì che non era interessata allo stesso modo di lei del perché il consigliere degli Hudson si trovasse lì, in una casa del signore. «Forse viene qui ogni tanto a dare una mano.»

Consigliere e medico. Una strana accoppiata. Dei lavori che continuavano a sembrare sbagliati, guardando il suo viso.

«Salve, Noah.»

Bastò solo il suono di quel nome per fare riemergere la sua mente dallo strano e viscerale interesse per quell'uomo, e Iris distolse lo sguardo da lui per voltare il capo in direzione di ser Joshua, che si era fermato quando lo avevano fatto loro, solo qualche passo più in là.

Noah?, pensò, speranzosa.

Il fiato che si era ritrovata a trattenere riprese però il suo corso, quando Iris vide a chi, ser Joshua, aveva rivolto il suo saluto. Un bambino stava raccogliendo una palla che qualcuno dei suoi amici aveva calciato fino a lì.

«Ser Joshua!» esclamò il bambino con una vocetta stridula, emozionato, con ogni probabilità, di vedere un cavaliere della corte.

«Ti tieni sempre fuori dai guai, vero?» gli domandò quest'ultimo, un sorriso divertito.

Il piccolo Noah si affrettò ad annuire, mentre Iris si lasciava andare a un profondo sospiro.

Sentì le guance accaldarsi quando si rese conto di come avesse sperato che ser Joshua avesse rivolto il saluto proprio al ragazzo che aveva incontrato quella notte, come se per tutto il pomeriggio non avesse aspettato altro di incontrarlo, fortuitamente, una seconda volta. Si sentì in imbarazzo per aver voltato il capo appena qualcuno aveva pronunciato quel nome, credendo davvero che avrebbe visto lui. Si sorprese quando capì che, nella propria testa, Noah non era più un nome senza appartenenza: era diventato il suo.

Un trillo prolungato si espanse nell'aria, e Iris si ridestò, riportando lo sguardo alla casa della divinità celeste. I bambini stavano lasciando i loro giochi e, in piccoli gruppi, si stavano dirigendo verso una direzione comune.

«È la campanella che segnala ai bambini che è ora di dirigersi in chiesa» sentì ser Joshua spiegare. Riportò lo sguardo su di lui, che stava guardando Victoria, come se fosse stata la sua amica a chiederne il significato. E forse l'aveva fatto. Iris non aveva più prestato attenzione alla loro conversazione. «Dovremmo sbrigarci anche noi, signorine, se vogliamo arrivare in tempo per trovare dei posti buoni.»

La sua amica annuì. «Certo, andiamo.»

Victoria riprese a camminare senza accertarsi che lei fosse pronta a seguirla, e Iris si attardò un solo istante indietro.

Osservò il piccolo Noah, di cui non aveva nemmeno percepito l'allontanamento, raggiungere il gruppo di amici che lo aveva aspettato, e poi li vide insieme prendere la strada degli altri compagni.

Il campo si era velocemente svuotato: solo una persona era rimasta indietro, proprio come lei, ancora fermo nello stesso punto di dove l'aveva visto appena arrivata.

Il consigliere dei reali si era rimesso in piedi, e, come all'accoglienza, Iris lo sorprese a fissarla. Anche da quella lontananza, le iridi di lui riuscirono a metterla in soggezione.

Erano pesanti come metallo.

«Iris?» Iris ebbe difficoltà a distogliere lo sguardo, attirata da quello di lui. «Tutto bene? Vieni?» continuò Victoria, quando incrociò il suo sguardo.

Iris annuì, assente.

Riprese a camminare, lanciando prima un ultimo sguardo verso il giardino.

Ma lui era già scomparso.

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