15 - Maschere

«Vecchio mio!»

Folksir sollevò lo sguardo dal bollettino di Huron che ogni mattina si premurava di leggere. Era importante rimanere aggiornato su quanto accadeva tra i cittadini della capitale del regno degli Hudson, cercare i segni di soddisfazione così come quelli di insoddisfazione.

Il pacifico regno guidato da Mikael, però, non aveva mai mostrato gravi segni di pericolo e possibili rivolte.

Quando era possibile, cercava di farsi recapitare anche i bollettini delle altre capitali dei regni: almeno una volta alla settimana, solitamente il lunedì, alla sua porta venivano lasciati i notiziari di Masteria, Lesier, Marvelar e Rocheforte, una ricca fonte di informazioni, anche se datati.

Essendo sabato, quella mattina Folksir stringeva tra le mani solo quello del suo paese.

Paese acquisito, certo, ma da così tanto tempo che la sua vita passata sembrava un sogno di cui al mattino resta solo una debole traccia.

La lettera che quella notte aveva inviato avrebbe però presto portato tra quelle mura la vecchia vita da cui, in parte, era scappato. Presto il sogno sarebbe tornato vivida realtà.

«Noah?» domandò, quando notò il primogenito degli Hudson sulla porta del grande solarium, chiuso e riscaldato, dove Simon aveva fatto preparare la colazione.

Il principe si avvicinò al tavolo, già imbandito. «Come, stamattina, ho già avuto il piacere di far presente una volta» disse Noah, raccattando una mela dalla fruttiera. «In tutto il mio splendore.» Folksir si sporse in avanti, prendendo la mela dalle mani di Noah. «Ehi!» protestò. «Cos'hai contro la mia salutare abitudine di mangiare mele?»

Folksir non si preoccupò di rispondergli. «Cosa ci fai qui?»

Noah si lasciò cadere su una sedia e indicò con un cenno del capo Simon, dall'altra parte del terrazzo, che non sembrava neanche essersi accorto dell'arrivo di suo fratello. «Non te l'ha detto?» chiese, per poi aggrottare la fronte quando notò il suo atteggiamento. Era da quando era arrivato, che Simon continuava a fare avanti e indietro lungo il perimetro, lo sguardo perso nel vuoto. «Che gli prende?»

«È nervoso.»

Noah inarcò un sopracciglio e tornò a guardarlo. «E non hai nessuna pillola di saggezza da riservargli?»

Folksir scosse la testa. «Un po' d'ansia non ha mai ucciso nessuno» replicò. «Mi dici cosa ci fai qui?» gli domandò una seconda volta.

Noah gettò un altro sguardo veloce a suo fratello, poi si strinse nelle spalle e si appoggiò allo schienale della sedia. «Come ti ho detto ieri sera, sono qui per presentare le mie migliori scuse alla mia futura cognata.»

Folksir ignorò il sarcasmo insito nella sua voce. «E tuo padre ne è al corrente?»

Noah arricciò le labbra. «Non ho bisogno del permesso di mio padre per presentarmi alla promessa sposa di mio fratello.»

Folksir tamburellò un dito sul tavolo, impaziente. «Noah» lo richiamò, un avvertimento ben preciso nel tono.

Noah roteò gli occhi. «Ne è al corrente e ha approvato la mia presenza a questa colazione» lo informò. «Sono passato a fare le mie più sentite scuse anche ai miei genitori. Siamo di nuovo una famigliola felice.»

Folksir sospirò. «Noah...» ripeté, questa volta con stanchezza.

Noah si raddrizzò sulla sedia. «Sto scherzando, vecchio mio» lo rassicurò, perdendo ogni astio, sfida e sarcasmo. «Ho parlato con Simon, prima. Sono contento che sia... contento. Sono qui con solo buoni propositi e davvero curioso di conoscere la ragazza che...» fece un altro cenno del capo in direzione di suo fratello «...gli provoca tutto quel nervosismo.»

Folksir annuì. «Bene.»

Noah sorrise smagliante. «Posso riavere indietro la mia mela, adesso?»

Folksir si piegò in avanti per rimetterla a posto. «No, nessuno mangia niente finché non arriva la signorina Paddington.»

Noah sbuffò, ma incrociò le braccia al petto e non provò più a rubare nient'altro dal tavolo imbandito.

Victoria non era in ritardo. Erano loro a essere in anticipo. Lui e Simon anche di parecchio.

Quest'ultimo era andato a bussare alla sua porta quasi un'ora prima, in evidente stato di agitazione. Folksir, che non aveva ancora finito la sua lettura mattutina, si era arreso all'idea di doversi recare alla sala esterna con largo anticipo.

Il principe, che con sua sorpresa si era alzato davvero presto in comparazione ai suoi standard, non voleva rischiare di arrivare in ritardo, così Folksir l'aveva accontentato, portandosi dietro il suo giornale.

Lo raccolse, ora, dalle gambe su cui l'aveva adagiato all'arrivo di Noah e lo ripiegò.

«Qualche notizia interessante?» gli chiese il primogenito.

«Si parla solo dell'arrivo della signorina Paddington, oggi.»

Noah annuì. «Quanto sei contento di essere qui, vecchio mio?» gli chiese poi, riservandogli un ghigno ironico.

Folksir si limitò a guardarlo, esasperato, senza concedergli risposta. Certo, non poteva dire di essere felice che i reali gli avessero chiesto di fare da balia a Simon e Victoria. Un compito che veniva spesso lasciato a qualche cavaliere o alle dame della ragazza. Soprattutto considerando tutte le cose di cui Folksir doveva occuparsi, preoccuparsi. Della dama di Victoria, per esempio. O della lettera che non gli aveva fatto chiudere occhio, quella notte. O di ciò, di chi, presto sarebbe arrivato lì.

Ma, ancora dopo tutto quel tempo, Folksir si sentiva onorato di tutta la fiducia che i reali riponevano in lui. Avevano scelto lui, rassicurandolo che sarebbe stato solo per quella prima volta, scusandosi persino per il compito assegnatogli, perché desideravano che Simon avesse accanto a sé qualcuno di cui si potesse veramente fidare, qualcuno che considerava come parte della loro famiglia, qualcuno che l'avrebbe potuto aiutare.

Folksir chiuse per un attimo gli occhi, cercando di non pensare a tutto quello. Perché pensare a tutto quello suscitava in lui i familiari sentimenti di colpa per tutti i segreti che nascondeva.

Non era mai stato del tutto sincero con i reali Hudson. Non avrebbe mai potuto esserlo.

Quando li riaprì, si concentrò su Noah, che ancora lo stava guardando divertito. Si era tirato a lucido: si era lavato, rasato e i suoi vestiti erano perfetti e nobili.

Il suo viso, però, era più stanco di quanto lo era stato la sera prima. «Hai dormito?» gli chiese.

Noah si strinse nelle spalle. «Come un neonato.»

«I neonati dormono poco» gli fece notare Folksir. «E quando lo fanno, dormono male.»

Noah scoppiò a ridere. «Esatto, vecchio mio.»

Folksir sospirò. Si mordicchiò poi il labbro inferiore, interiormente, senza darlo a vedere.

Il viso di Noah era stanco, le occhiaie lo tradivano, portava i segni di chissà quante notti insonni. Eppure c'era qualcosa, in lui, che esprimeva freschezza, giovinezza, libertà. Qualcosa che, fino a qualche giorno prima, non c'era stato.

Non senti qualcosa di diverso nell'aria, vecchio mio?

Folksir schiuse le labbra, sul punto di chiedergli cosa sentisse quella mattina, nell'aria. Se anche adesso la percepisse più leggera. Se gli sembrasse di poter respirare più liberamente.

Il rumore della porta che si apriva, però, lo fermò fortunatamente dal porre quelle domande a cui non voleva davvero ricevere risposta.

Noah si mise in piedi in un solo secondo, e Folksir lo seguì un attimo dopo, perso nelle sue paure.

Entrambi gettarono un'occhiata veloce a Simon, entrambi pronti a farlo rinvenire, se il ragazzo non fosse riuscito a uscire dal suo stato di trance da solo.

Ma Simon si stava già avvicinando alla porta, con passo sicuro, su cui ora Victoria Paddington si era fatta avanti, con un sorriso tenue e incerto.

Dopo aver controllato che Folksir fosse già nella sala, la ragazza della servitù che aveva accompagnato lì Victoria si congedò con un solo inchino nella loro direzione, e Simon si affrettò a raccogliere la mano della giovane, chinando il capo per lasciarle un delicato bacio sul dorso.

«Buongiorno, Victoria» la salutò, la voce calma e gentile.

La signorina Paddington inclinò a sua volta il capo in una riverenza. «Buongiorno, princ... Simon.»

Simon si raddrizzò e le rivolse un sorriso glorioso.

Curioso, Folksir gettò un'occhiata a Noah.

Stava sorridendo.

Un riservato e intimo sorriso, che Folksir gli vedeva raramente sulle labbra, solo in quei momenti in cui era al sicuro dagli occhi degli sconosciuti.

Noah era sereno, come se fossero bastati quei pochissimi secondi per cancellare tutte le sue rimostranze e a convincerlo che suo fratello, dopotutto, sarebbe stato bene.

Chissà cosa aveva visto, di così convincente, sul viso di Simon.

L'intimo sorriso sparì come a non aver mai fatto la sua comparsa sul volto, o meglio, si modellò in uno più cordiale e adatto per l'erede al trono. Fu così che Folksir capì che Victoria aveva notato la sua presenza.

Tornò a guardare in direzione dei due giovani. Lei stava guardando loro, in piedi vicino al tavolo, ma Simon era ancora intento a guardare lei.

Sul suo viso persisteva un sorriso lucente, ben diverso da quello che contornava ora le labbra del primogenito.

E Folksir capì che non era qualcosa che aveva visto, a convincere Noah, quanto piuttosto ciò che non aveva visto sul volto di suo fratello.

L'educato, finto e perfetto sorriso che i migliori precettori del regno avevano loro insegnato a costruire e a indossare in ogni occasione davanti a occhi diversi da quelli dei loro famigliari.

Quel sorriso che Noah, a differenza di Simon, avrebbe sempre mostrato anche davanti alla sua sposa.

Oh, Noah.

*

C'era qualcosa, in Victoria Paddington, che a Noah ricordava Iris Larson.

Non sapeva se si trattasse solo di qualcosa di superficiale, come l'accento della sua parlata, tipico del regno dei Monvisi, o di qualcosa di più profondo, insito nell'animo.

Dopotutto, Iris e Victoria erano cresciute insieme e, proprio come lui e Simon, dovevano essersi aiutate a plasmare i loro singoli io; dovevano aver influenzato l'una il modo di essere dell'altra; dovevano aver fatto le stesse esperienze, che avevano lasciato una simile impronta su entrambe.

Noah, quindi, gradì la compagnia di Victoria Paddington più di quanto aveva inizialmente creduto. Sapere di essere in presenza di una delle persone più importanti della vita di Iris, sapere che Iris, per quella ragazza, fosse una delle più importanti nella propria vita, lo rendeva smanioso e curioso. Come se solo grazie all'ascolto delle sue parole avrebbe potuto conoscere l'animo di Iris, come se parlare con lei significasse star parlando con Iris, come se il solo starle accanto gli avrebbe permesso di apprendere tutto l'essere di Iris, come per osmosi.

Ma non erano solo quei motivi a rendergliela più sopportabile del previsto.

Era anche vedere come suo fratello godesse della sua compagnia. Folksir glielo aveva detto, e anche i suoi genitori, quando era andato da loro a scusarsi, avevano ritenuto importante informarlo che Simon si era mostrato molto interessato a Victoria.

Ma Noah non ci aveva veramente creduto, nemmeno quando lo stesso Simon, imbarazzato, gli aveva detto all'alba che quella ragazza gli era sembrata interessante.

Noah non si fidava dello sguardo degli altri, non trovava attendibili le loro parole, nemmeno quelle dello stesso Simon. Come a lui, anche a suo fratello avevano insegnato a fingere, a dire le cose che gli altri si aspettavano che lui dicesse, a compiacere non solo i sudditi e i nobili e gli ospiti, ma anche la propria famiglia.

Lui e Simon erano cresciuti insieme nella finzione. Vi erano stati istruiti.

Aveva quindi avuto bisogno di vedere da sé, il viso di Simon. Aveva quindi avuto bisogno di sentirlo parlare in presenza di lei con le sue stesse orecchie.

Avrebbe indossato la maschera che avevano, anno dopo anno, perfezionato insieme? Avrebbe usato quel tono gentile studiato nei minimi dettagli e che, giorno dopo giorno, avevano provato l'uno per le orecchie dell'altro?

Solo lui poteva capirlo.

E a Noah era bastata solo una manciata di secondi per farlo.

Simon ne era davvero affascinato.

Gli era bastata una cena.

Noah non lo credeva impossibile.

Lo capiva.

A lui era bastato solo uno sguardo.

Iris Larson.

«E voi ci siete mai stato, principe Noah?»

Noah sentì lo sguardo della signorina Paddington su di lui. L'aveva già scrutato, ovviamente, quando al suo arrivo le si era avvicinato per accoglierla. Si erano scambiati frasi di cortesia e circostanza. Lei aveva studiato il suo viso, il suo sguardo, interessata come ad avere trovato davanti a sé un caso di studio.

L'erede al trono degli Hudson. Il ragazzo che sarebbe diventato il re del regno che sarebbe diventato la sua casa. Il fratello che sarebbe sempre rimasto parte della vita del suo futuro marito.

In lui aveva visto tutto quello, ma non Noah. Nessuno lo vedeva mai.

Da quando si erano seduti al tavolo, però, tutta la sua attenzione era confluita su Simon. Così Noah non era intervenuto molto nella conversazione che li stava intrattenendo.

Suo fratello, proprio come lui aveva fatto quella notte, le aveva chiesto molto del suo paese di origine. E lei, proprio come aveva fatto Iris quella notte, aveva raccontato molto.

Così Noah aveva ascoltato, in silenzio, chiedendosi intanto se lei era stata al suo fianco durante un avvenimento che Victoria aveva raccontato o se era stata anche lei partecipe della conversazione che aveva intrattenuto con qualcuno degli abitanti.

Si immaginava Victoria parlare con quelle persone: il pescatore Maximillian, la vedova Murettin, l'amico Sebastian. E accanto a lei, Noah si immaginava sempre Iris e le sue iridi.

«A Intelli?» domandò a sua volta Noah, sollevando lo sguardo dalla fetta di pane su cui stava spalmando marmellata. «No, non ho mai avuto questo piacere. Come Simon, sono stato solo alla corte di Masteria.»

Victoria annuì, e i suoi occhi verdi tornarono su Simon, seduto accanto a lei. «Lo so che sono di parte» disse, sorridendo imbarazzata. «Ma dovreste visitare Intelli. È un paese piccolo, non ha niente di emozionante da offrire, ma le persone che lo abitano... Vi piacerebbe.»

Noah spostò lo sguardo su suo fratello. Sulle sue labbra ancora persisteva il sorriso che gli aveva illuminato il volto quando lei era arrivata. Non aveva mai vacillato. «Sarebbe per me un onore visitare il paese che vi ha cresciuto» le rispose, senza finzione. «Sono sicuro che i miei genitori non avrebbero niente in contrario. Potremmo pensare di andarci dopo le nozze.»

Victoria ricambiò quelle parole con un sorriso luminoso quanto quello di Simon. «Sarebbe un onore ospitarvi.»

Anche se non la conosceva, Noah capì che non vi era alcuna finzione neanche nello sguardo e nella voce di lei. Neanche Victoria, aveva indosso una maschera, quella mattina. Desiderava davvero che Simon vedesse parte del suo cuore, se non tutto.

Noah riabbassò lo sguardo sulla sua fetta di pane. Sapeva che avrebbe dovuto gioire per la felicità di suo fratello. Ne era contento. Se ne sentiva rassicurato.

Ma vedere la franchezza sui loro volti, sentirla nella loro voce, non faceva altro che ricordargli tutto ciò che lui non avrebbe mai provato.

Simon avrebbe trovato la felicità a cui lui non poteva neanche aspirare, la libertà che non era mai stata contemplata nella sua vita.

«A proposito di visitare paesi» esordì Folksir, con voce distesa, professionale. Noah rialzò gli occhi, curioso. Da quando aveva accolto la signorina Paddington era stato una presenza ancora più invisibile della sua, che comunque era intervenuto ogni tanto nelle conversazioni di Victoria e Simon. Folksir, invece, non aveva detto una sola parola. «I reali mi hanno chiesto di informarvi, signorina Paddington, che lunedì inizierete le lezioni con uno dei nostri precettori di corte, il maestro Mirai.»

Noah non riuscì a trattenersi nel lanciare uno sguardo divertito a Simon, che fece la stessa cosa. Povera Victoria, dovevano star pensando entrambi. Il maestro Mirai, di cui tutti ignoravano la vera età ma che per Noah doveva aggirarsi intorno ai cent'anni, era la persona più noiosa e monotona e grigia della loro reggia.

Noah non sarebbe mai sopravvissuto alle sue lezioni, senza la presenza di Simon.

«Ti serviranno» continuò Folksir, ignorando le loro occhiate, che doveva avere sicuramente notato dato che Folksir notava tutto «per comprendere meglio il regno degli Hudson, i nostri usi e costumi, le abitudini del nostro popolo, le nostre leggi» le spiegò, mantenendo quella voce liscia, incapace di parlare di emozioni. «Per questo motivo, riteniamo che sia meglio che approfittiate di questo pomeriggio per una prima visita di Huron. Cosicché, quando dopodomani inizierete le vostre lezioni, abbiate almeno un'idea di come sia fatta la nostra capitale.»

Noah gettò uno sguardo a Victoria. L'eccitazione era visibile su ogni parte del suo viso. Si chiese se nel regno dei Monvisi non si insegnasse alla nobiltà a fabbricare maschere, a celare. Forse, si insegnava a essere veri.

Noah non aveva, dopotutto, mai visto delle persone più pure. Persino nella reggia di Masteria.

«Vi ringrazio, sarebbe bellissimo visitare Huron» rispose, la stessa eccitazione del volto nella voce. «Posso portare con me la mia dama?» domandò in fretta.

Il suo primo pensiero era andato a lei. Come tutti i pensieri di Noah dal momento in cui l'aveva incontrata.

Noah distolse lo sguardo da Victoria, li riportò su Folksir, scoprendo che gli occhi di lui erano finiti sul suo volto. Appena li incrociò, Folksir riportò i propri su Victoria, come a non averli mai distolti.

«Certo. Vi faremo trovare la carrozza pronta alle quattordici. Verrete accompagnate dal signor Grundy e da ser Joshua. È la guardia che re Mikael ha messo al vostro servizio» chiarì, mantenendo sempre quel tono distaccato.

Victoria annuì. «Oggi è sabato. Sarebbe possibile fermarsi in paese tanto a lungo da assistere alla messa delle diciassette?»

«Non credo ci siano problemi. Lo faremo sapere a ser Joshua» acconsentì Folksir.

Victoria, contenta, tornò a guardare Simon. «Vi piacerebbe unirvi?» domandò, speranzosa. Guardò anche verso di lui, anche se a Noah diede l'impressione che l'avesse incluso più per etichetta, che volere personale. «Vorrei davvero farvi conoscere Iris.»

Noah sentì il proprio sangue gelare. Ma fu un solo breve istante, perché la certezza che, anche volendo, non avrebbero potuto unirsi a loro arrivò a rassicurarlo e a scaldargli le vene.

Le regole lo avrebbero salvato dall'incontrare Iris Larson in veste di Noah Hudson, principe ed erede.

Sì, ma per quanto?

Noah sentì la pressione dello sguardo di Folksir, che inspiegabilmente era tornato a posarsi sul suo volto, come in cerca di qualche segno.

Non lo incontrò, impaurito che potesse capire solo guardando nelle sue iridi.

Ma capire cosa?, si domandò.

Cosa c'era da capire?

Si concentrò quindi su Simon, la cui espressione ora mostrava rammarico. «Purtroppo non possiamo» le rispose, rattristato. «Non abbiamo il permesso di andare a Huron quando vogliamo. La nostra visita in città deve essere organizzata giorni, settimane prima. Non abbiamo la libertà di muoverci per quelle strade come voi, mi sembra di avere capito, avevate la libertà di muovervi per quelle di Intelli.»

Questo sembrò sorprendere Victoria. Di nuovo, Noah pensò quanto fosse libera la terra da cui proveniva.

Certo, la signorina Paddington non era l'erede al trono o la principessa di nessun regno. E Noah sapeva che anche per il re Giorgio Monvisi e il principino Richard c'erano ferree regole da seguire prima di mostrarsi in pubblico, ai propri sudditi.

Ma lì a Huron, persino i nobili del rango di Victoria non erano liberi di muoversi come meglio credevano.

«E non frequentate le funzioni religiose?» domandò, ora curiosa.

Simon annuì. «Preghiamo le divinità qui alla reggia, come tutti ogni sabato alle diciassette. Abbiamo uno spazio sacro e un nostro funzionario religioso.»

«Oh» mormorò Victoria. «Allora tornerò in tempo per attendervi.»

«No.» Simon scosse la testa, deciso. «Sono felice che abbiate il desiderio di assistere alla funzione in paese. Voi e la signorina Larson dovreste sfruttare al massimo la vostra visita.»

Victoria lo scrutò per qualche secondo, indecisa. Alla fine però sorrise. «Vi ringrazio, Simon.»

«Ma ci tengo a conoscere la signorina Larson» aggiunse suo fratello, provocando in lui un'altra scossa di paura. «Portatela con voi al tè pomeridiano di domani. La mia famiglia sarà felice di conoscere una così cara persona.»

Simon lo guardò, cercando conferma. E Noah avrebbe voluto dire che lui aveva già provato felicità nel conoscere la signorina Larson, e che portarla al tè settimanale della loro famiglia avrebbe distrutto quella felicità.

Ma non poteva farlo. Annuì, plasmando sulle proprie labbra il miglior finto sorriso sicuro che poteva plasmare. «Assolutamente.»

Victoria fece passare lo sguardo tra di loro, e poi annuì, felice. «Sarà fatto.»

Noah sentì il bisogno di guardare Folksir. Di vedere cosa lui stesse riuscendo a vedere sul suo volto. Di capire se fosse salvo.

Da cosa, però, non lo sapeva neanche lui.

Cosa c'è da capire?, si domandò una seconda volta.

Ma Folksir non lo stava più guardando. Non stava più guardando niente di particolare. I suoi occhi erano bassi, a fissare le mani sul proprio grembo, strette tra di loro.

A Noah sembrò di guardare una persona in pentimento.

«Siete sazia, Victoria?»

La domanda di Simon gli arrivò ovattata, lontana, non più ancorato alla realtà. Tutti i suoi pensieri confluiti sul domani. Non aveva mai saltato un tè domenicale. Come avrebbe potuto non partecipare, il giorno dopo, senza portare ancora più preoccupazione nei suoi famigliari? Non aveva forse compiuto un gesto riparatorio, quella stessa mattina, partecipando alla colazione di Victoria e Simon? Come avrebbe potuto giustificare il suo passo indietro, se non si fosse presentato al loro abitudinario incontro?

Perché dovresti fuggire? Cosa importa, se lei lo viene a sapere?

«Folksir?» domandò Simon, ricercando la sua attenzione.

Noah, ancora lo sguardo puntato su Folksir, lo vide risollevare il capo. Sul suo volto non c'era niente, solo professionalità.

«Vorrei approfittare del sole per mostrare alla signorina Paddington i giardini» lo informò suo fratello.

Folksir annuì. «Un'ottima idea, principe.»

Noah si alzò dalla sedia. O meglio, il suo corpo lo fece. Addestrato a rispondere agli stimoli e ai comandi come il migliore dei cani.

Si congedò da suo fratello e dalla signorina Paddington, augurò loro una felice continuazione.

Le promise che si sarebbero visti domani.

I due si avviarono verso la porta, mentre Folksir rimase per un istante indietro. Di nuovo, Noah sentì la pressione del suo sguardo.

Questa volta, quando i loro occhi si incrociarono, Folksir li mantenne nei suoi. Di nuovo, come a cercarvi qualcosa.

Non seppe se Folksir la trovò, ma Noah seppe cosa trovò in quelli di lui.

Arresa.

Folksir gli diede le spalle e si allontanò.

È inevitabile.

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