6 - Fantasie e passaparola

La porta si richiuse in maniera silenziosa, tanto che alla fine fui costretta a controllare se non fosse semplicemente accostata.

L'intento di andare a dormire e concludere quella giornata tossica era forte, ma ancora più pressante era la necessità di leggere quelle carte. Ero ferita, mi sentivo presa in giro, ma rimanevo curiosa di come quei fogli fossero stati creati per raccontarmi un teatrino. Volevo cercare una dannatissima falla in tutto quello, e sbattere in faccia a tutti che non ero il loro burattino, che potevano mettermi a parte della verità senza ricorrere alle fiabe.

La prima cosa che presi fu un albero genealogico. Cominciai a studiarlo alla ricerca del nome di mia madre o di mio padre, ma sembrava che tutti si chiamassero allo stesso modo, come a copiare l'appellativo degli avi. Una sfilza di nomi perlopiù vittoriani continuava a snodarsi sotto i miei occhi, ma la cosa che più mi lasciava interdetta era l'esiguo numero di generazioni. «Eppure la fantasia non manca», dissi in tono pungente, consapevole di essere sola. Andando a ritroso nel tempo, notai che la prima coppia scritta, da cui poi era stata generata quella famiglia, non aveva un nome: uno dei due era raffigurato con un simbolo, una sorta di cerchio con al centro un punto cicciotto; dall'altra uno stemma. Come se il loro nome fosse stato dimenticato, o i simboli fossero più importanti delle lettere.

Avrebbero potuto almeno inventarsi qualcosa di meno macchinoso, più lineare. Sarebbe stato più facile da credere.

Continuai a fissare lo stemma, domandandomi da dove potevano aver preso spunto. Si trattava di un disegno stilizzato di un uccello, i cui contorni erano neri e lasciavano la figura vuota, senza colore. Nient'altro intorno, né frasi né altri disegni ma era palese che fosse uno stemma dalle linee che circondavano l'animale, come uno stendardo di quelli che ero solita trovare nel libro di storia.

Finito di esaminare quella pagina, mi concentrai sul secondo albero genealogico. La mancanza di fantasia era percepibile anche lì, ma stavolta decidi di contare quante generazioni fossero all'incirca e rimasi quasi delusa quando notai che erano solo una decina. Queste erano le nostre origini, secondo loro? Alquanto scarse. Di nuovo i nomi continuavano a ripetersi, creando numerosi omonimi sulla carta ingiallita. Spostando gli occhi verso il margine notai come anche lì i capostipiti fossero anonimi e rappresentati da simboli. Uno dei due era identico a quello dell'albero genealogico precedente, lasciando quasi intuire che fosse lo stesso. Strinsi forte il foglio tra le mani, furiosa, ma questo era abbastanza spesso da resistere alle mie dita. Il secondo era anch'esso uno stemma, ma diverso, grazie al cielo. Sarebbe bastata una rapida ricerca su Google, se proprio bisognava disegnare qualcosa di inusuale, ma così era evidente che fosse una menzogna. Quello stemma raffigurava invece una volpe, o almeno così mi sembrava, sempre disegnata solo per i suoi tratti essenziali ed inserita in uno stendardo stilizzato.

Abbandonai quei fogli per concentrarmi sulla fantomatica lettera di Cordelia. Ammetto che fosse una grafia mai vista d'ora, una che sembrava anche molto attenta ai dettagli delle singole lettere, ma poteva benissimo essere la copia di un font di word, per quanto ne sapessi.

Mio caro Maximilian,

So che potrebbe sembrare inopportuno questo mio gesto, ma sono sicura che nonostante le vicissitudini, io possa trovare in te lo stesso uomo che con un sorriso si propose di farmi ridere ogni giorno se fosse bastato a farmi smettere di piangere, una vita fa.

So anche del tuo recente legame con Gertrude Silentowl e non posso nasconderti il peso sul cuore con cui convivo dal momento in cui l'ho saputo. Come hai potuto, Max? Come sei riuscito a guardarla negli occhi e non avere dubbi mentre pronunciavi quelle parole che ti avrebbero per sempre legato a lei?

Non nego di averti sempre immaginato al mio fianco, ma sarei meschina se volessi impedirti di trovare una compagna per la tua esistenza, ma lei? Perché proprio lei?

Mi spiace che questa lettera ti raggiunga in un momento così intimo, i primi mesi di nozze non torneranno mai più ma appena l'ho saputo non sono riuscita a fare a meno di pensare alla tua vita con lei.

Ignoro se lei ti abbia mai detto cosa è successo tra di noi, e spero che tu lo abbia scoperto solo dopo averla presa in sposa, perché altrimenti sarebbe un tradimento che non riuscirei a sopportare. Ti prego, Max, ho bisogno di sapere che almeno tu mi sei stato fedele.

In ogni caso, purtroppo conosco l'animo di quella donna che ora si fa chiamare tua moglie, e so che presto o tardi si rivelerà anche a te per ciò che è. Ti scrivo non per farti la predica (oh, se sapessi, se solo sapessi, allora quante prediche dovresti fare tu a me!), ma per offrirti una via di fuga. Quando vorrai, le porte del mio palazzo saranno sempre spalancate per te, checché ne dica l'Imperatore e la sua schiera di fanatici.

Nella speranza di poterti riabbracciare un giorno,

Ti auguro ogni bene,

Cordelia Darkriver

Ad un angolo del foglio, una piccola macchia rendeva la carta più scura. Ci passai il polpastrello sopra per capire se fosse inchiostro o meno, ma la superficie continuava ad essere liscia. Una lacrima? No, impossibile. Un'attenzione così minuziosa ai dettagli avrebbe portato a rendere più verosimile anche gli alberi genealogici.

Oppure quella lettera poteva essere vera, ed il resto falso.

Più confusa di prima afferrai l'ultimo documento, il mio presunto atto di nascita. In alto a destra si trovava un terzo stemma, una sorta di aquila con le ali spiegate in mezzo a delle fiamme stilizzate. Una fenice, forse. Appena sotto vi era scritto "Atto ufficiale dell'anno XXIII, sotto la reggenza della gloriosa Casata dei Bloodwood. Graziosa concessione dell'Imperatore". Ci mancava solo che mio padre si inventasse un'affiliazione ad un romanzo distopico.

Subito dopo, con una grafia elegante ma diversa da quelle dei fogli precedenti, vi era scritto:

In data odierna, la signora Gertrude Silentowl ha dato alla luce una splendida femminuccia, peso e battito nella norma. Nessun segno distintivo, nessun motivo di invalidità. Si lascia qui sotto lo spazio per permettere all'ufficio nascite di registrare i dettagli.

Appena qualche centimetro dopo un'altra mano aveva scritto "Si conferma quanto detto colà e si ufficializza la nascita sotto il nome di Victoria Blackeye". Sotto, una firma incomprensibile seguita dalla data.

Tutta quella storia stonava fin troppo. Ma c'era un pensiero che non volevo affiorasse, che non volevo neanche prendere in considerazione. Mi allungai per afferrare l'anello e notai come non fosse di buona fattura. La parte che circondava il dito era un cerchio irregolare, come se la fretta di forgiarlo fosse più pressante della voglia di perfezionarlo. Al di sopra, una gemma color nero era stata intagliata per richiamare lo stemma del corvo che avevo visto poco prima. Anche qui l'attenzione al dettaglio era carente, ma la superficie era liscia e non troppo opaca.

Finito di esaminare tutto, decisi che era ora di dormire e di lasciare che il mio cervello elaborasse la nota stonata in tutta quella farsa. Aprii lo zaino e tirai fuori il pigiama per portarlo in bagno. Scoprii con piacere che piccoli flaconcini di bagnoschiuma erano disposti sul bordo della vasca incastonata nel muro. Una lieve occhiata allo specchio mi fece rabbrividire: avevo i capelli che erano sfuggiti alla coda veloce che avevo fatto prima di salire in macchina, gli occhi ancora lucidi e il labbro sanguinante. Tastai la piccola ferita con uno strappo di carta igienica, non mi ero accorta di essermi morsicata.

Un piccolo orologio era appeso accanto allo specchio mi informò che mancava poco a mezzanotte, dissuadendomi dal riempire la vasca e rilassarmi in acqua. «Sarà per domani», promisi, quasi più alla vasca inanimata che a me stessa. Mi sciacquai il viso e mi limitai ad entrare nel pigiama dopo aver liberato i capelli dell'elastico, che appoggiai sul mobiletto lì davanti.

Quando fui pronta per dormire studiai la mia immagine riflessa. A essere onesti, non sembravo un Demone. Arricciai il labbro superiore per scoprire i denti e cominciai a esaminarli. I Demoni non avevano delle zanne o dei lunghi canini tipo i vampiri? Quando cominciai a sentirmi un'idiota ad assecondare quelle fantasie sbuffai e uscii dal bagno.

Con disappunto scoprii di essermi dimenticata delle pantofole. Camminare a piedi nudi sul pavimento e poi entrare nel letto era fuori discussione, perciò presi dallo zaino un paio di calzini puliti e infilai i piedi nelle scarpe senza inserire i talloni. Dondolai fino al letto per poi liberarmi delle calzature e sedermi. Il materasso era abbastanza morbido, forse anche troppo. Non importava in fin dei conti, non sarei riuscita a dormire neanche su un letto di piume d'oca. Perciò mi abbandonai all'idea di una notte insonne, logorata dal fastidio di venire raggirata dalla mia stessa famiglia, e mi infilai sotto il piumone.

Come avevo immaginato, non riuscii ad addormentarmi. Continuavo a rigirarmi nel letto senza sosta: non appena entravo nel dormiveglia e mi illudevo di poter dormire, quel pensiero che continuavo a scacciare faceva capolino e quasi pretendeva di essere preso in considerazione come tutti gli altri.

Dopo quella che parve un'eternità decisi di alzarmi e di cercare qualcosa per ingannare il tempo. Se papà mi avesse detto le condizioni della mia permanenza lì prima di partire avrei potuto portare qualcosa da fare. Cominciai ad aprire i cassetti dell'armadio di fronte a me, nella vana speranza di trovare qualcosa di interessante. Nada. Stesso risultato con il mobiletto del bagno. Rassegnata tornai a letto, sperando di avere abbastanza internet per scaricare qualche gioco o leggere un libro. Cominciare subito a lavorare al progetto di letteratura era fuori discussione, ero già infastidita di mio, non era necessario alimentare quella sensazione ricordando parola dopo parola che probabilmente la nostra relazione scolastica non avrebbe mai visto la luce.

Perché alla fine sembrava proprio come aveva supposto papà: i genitori di Alexander erano venuti qui proprio per noi, per quegli affari che il ragazzo mi aveva accennato a cena. Ma cosa potevano volere Wladimir e Cordelia dopo quasi diciotto anni? E perché non bastava che mio padre facesse presente a Cordelia che voleva portarmi con sé in quella fantomatica Capitale? Forse indirettamente lei ce l'aveva pure con me, in quanto figlia della sua nemica.

Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto prima di vederli scomparire con la stessa velocità con cui erano comparsi, dopo aver ottenuto ciò che volevano. Non mi sentivo neanche spaventata, nonostante sapessi fosse una reazione normale. Come potevo avere paura della loro incolumità quando non mi raccontavano come stavano davvero le cose? Nulla escludeva che si trattasse di esagerazioni. Una donna gelosa come Cordelia non sarebbe mai arrivata a fare gesti recriminanti se aveva accettato una cena con tutta la famiglia di mio padre.

O forse quella era la versione che aveva deciso di raccontare lui.

«Oh, ma insomma», sbuffai, consapevole di star dando troppa importanza a quelle che potevano essere solo paure infondate dei miei genitori. Dopotutto papà era stato contrario ad allontanarmi finché non era spuntata fuori quella lettera diretta a Cordelia.

E se fossero stati davvero amanti, mio padre e lei, e fosse per questo che mia madre non poteva vederla? Questo spiegava il repentino cambio di atteggiamento di papà dopo essere stato scoperto: mi voleva lontana quando la situazione sarebbe esplosa a tavola. Ma allontanarmi a mandarmi in un'altra città e raccontarmi una storia sui Demoni erano su due piani ben diversi.

Allora a che pro mentire?

E poi Wladimir. Wladimir era quello che sentivo nominare di meno, tra i due. A detta di mio padre sembrava molto sicuro di sé, con la fortuna dalla sua parte. E invece secondo il tono che aveva utilizzato Alexander per spiegarmi il motivo della loro presenza sembrava alquanto dispotico. "Ci ha trascinati con lui" mi aveva dato fin da subito l'idea di qualcuno che non accettava risposte negative, come quasi a comandare ma senza utilizzare le formule tiranniche di rito.

Lui che parte aveva in quella storia, oltre a sposare una donna promessa a mio padre? E poi, se Cordelia era tanto triste di sapere mio padre sposato, perché non lo aveva sposato lei? Perché non aveva deciso di legarsi a lui? Era stata forse costretta? Ma da chi, da Wladimir? Questo in effetti spiegava come sembrava non andassero d'accordo, dalla chiacchierata che avevo avuto a pranzo con papà.

E l'unica persona che poteva darmi qualche informazione in più mi aveva chiesto di non parlarne e non potevo reperirla in quel momento. Un'idea malsana mi balenò in mente. Ma sì, perché no? Alla fine tutti sembravano volermi muovere come un burattino senza darmi copia del copione.

Guardai l'ora che dichiarava il telefono e capii che forse era troppo presto per chiamare Samantha. Perciò le mandai un messaggio, nella speranza che lo leggesse prima di entrare a lezione.

"Ehi Sam ho bisogno di una cosa. Per favore chiamami appena lo leggi, è urgente".

Neanche due secondi dopo il mio telefono trillò.

«Che succede?», chiese la mia amica con voce assonnata.

«Scusa, non pensavo di svegliarti», mi sentivo in colpa ad includerla in tutto quello, ma davvero stavo uscendo pazza e potevo raccontarle la verità in un momento successivo.

«Non stavo dormendo, sono stata fino ad ora al telefono con James», alitò sul microfono, segno che stava sbadigliando.

«Fino alle quattro del mattino? Fate sul serio».

Non rispose e immaginai fosse arrossita.

«Sicura che posso disturbarti?».

«Spara».

«Hai mica il numero di Alexander?».

L'urletto che fece quasi mi spaccò il timpano. «Lo sapevo! Lo sapevo!», continuava a dire.

«Sul serio, Sam. Ho deciso di scrivergli un messaggio d'impulso, ma se devi fare così mi imbarazzo», finsi di piagnucolare, anche se una parte di me voleva prendermi a pizze per la bugia. La stavo usando, esattamente come i miei genitori avevano usato me. Mi ripromisi di scusarmi per almeno mille anni, ma dovevo andare a fondo della questione.

«No, non ce l'ho, ma posso chiedere a James». La cosa stava diventando più grande del previsto, non volevo coinvolgere troppe persone. Prima che potessi dirle di lasciare perdere mi comunicò di avergli scritto. Ero indecisa se chiudere la chiamata dicendole che quel giorno non sarei andata a lezione oppure mandare a quel paese il piano dei miei genitori. La conversazione virò su altro e quindi decisi di tacere al riguardo. Poco dopo James rispose che non lo aveva neanche lui e la chiamata finì velocemente, con Samantha che sbadigliava e io che pensavo a come ingannare il tempo.

Mi distesi sul letto nella speranza di riuscire a dormire per qualche ora. Avevo passato la notte in bianco e riposare sarebbe stato vitale tra qualche ora. Decisi di chiudere gli occhi e cercare di pensare ad altro, dopotutto quell'enorme caos non sarebbe scomparso mentre riposavo.

Non so quanto tempo impiegai ad addormentarmi, provai in ogni posizione possibile ma nessuna sembrava davvero comoda. Le pecore diventarono centodue prima di capire che non era la tecnica ideale. Probabilmente alla fine fu solo la noia a vincere e a sopraffarmi.

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