16 - Blackeye e Augustine
Mi svegliò un battere spazientito alla porta. Aprii gli occhi di scatto, confusa, e i miei occhi cercarono Alexander. La sua testa faceva capolino dal bagno, i capelli zuppi che gli grondavano sulla fronte per la fretta di uscire dalla doccia e trovare un nascondiglio. Si portò l'indice alle labbra e tornò in bagno.
L'ospite mattutino non demordeva. «Insomma!», sentii la voce di Cordelia sbuffare e mi affrettai ad aprirle, con il timore di aggravare la mia posizione più del dovuto. Dopotutto non nascondevo di certo il figlio scomparso nel bagno, sotto la doccia. Oh dio, se lo scopre adesso chissà cosa potrà pensare... di me, del figlio nudo ad una porta di distanza, di tutto.
Aprii la porta titubante. Cordelia aveva il viso rilassato, che non lasciava trasparire il fastidio e l'indisponenza che invece i suoi occhi fremevano dal comunicarmi. «Non dirmi che stavi dormendo», quella voce innaturalmente calma mi fece venire i brividi lungo la schiena.
«Ehm... sì».
Sbatté le palpebre in segno di delicato sdegno. «Ieri è passato un mio servitore per prepararti, ma non c'eri. Ti sei messa a gironzolare per il palazzo?». Eccolo lì, finalmente, l'elefante nella stanza: non avevo rispettato le sue disposizioni, avevo fatto come volevo in barba a quanto lei aveva organizzato per me. E ciò mi aveva portato ad uscire dalle sue grazie.
«Avevo solo bisogno di un po' d'aria», cercai di cambiare argomento, non fidandomi di me stessa nel mentire.
Lei annuì lievemente, come rilassandosi un poco, e con voce meno inquisitoria mi disse di farmi una doccia e vestirmi. «L'incontro di oggi resta, sarebbe increscioso far attendere un gentiluomo per la necessità di una boccata d'aria».
«Mi chiedevo...», gli occhi di Cordelia si posarono su di me in modo opprimente. Non so davvero come poter descrivere ciò che mi provocò quello sguardo, come delle scarpe che diventano sempre più pesanti mentre nuoti verso la superficie dell'acqua per riprendere fiato. Fiato che non sembrava mi fosse concesso. «... non è forse un po' troppo presto? Sono appena arrivata».
Lei mi fece un sorriso mozzafiato che non raggiunse gli occhi. «Avrai modo di imparare meglio con un gentiluomo al tuo fianco, il resto verrà dopo». Che ne era della Cordelia che sembrava volesse aiutarmi in quella situazione? Sembrava l'ennesima persona che volesse mettermi il collare. Avevo tirato troppo la corda? O forse... forse sapeva?! Sapeva del figlio? O del sangue? O di entrambi... Dovevo correre da Wladimir?
Mi venne un capogiro che fortunatamente non mi fece perdere l'equilibrio e cadere a terra. Cordelia non si era accorta del mio panico, perché mi invitò a darmi da fare. «Voglio trovarti pronta per quando tornerò».
Stavo per tirare un sospiro di sollievo – uno di quelli profondi, sentiti, che rilassano anche le gambe tremolanti – quando, poco prima di risponderle e chiudere la porta, qualcosa di pesante cadde in bagno.
Cordelia alzò le sopracciglia in maniera interrogativa. «Chi c'è lì?».
«Ehm... uhm...», fu l'unica cosa che riuscii a dire. Nella testa vorticavano diverse risposte, dalle più argute a quelle palesemente false, ma la lingua non rispose. Tutto il mio corpo era raggelato da quello che stava accadendo mentre io ero impotente.
Senza perdere nemmeno un po' del regale portamento, Cordelia fece un passo avanti e la mia stanza venne invasa per la seconda volta da qualcuno che mi avrebbe messo nei guai.
«È un servitore!», dissi di getto. Lei si voltò a guardarmi con una calma innaturale, che mi fece venire voglia di sprofondare nel più bollente calderone dell'inferno pur di non trovarmi nel suo raggio di furia. Era lei che si comportava in modo così composto mentre si allungava ad girare il pomello della porta oppure ero io che cominciavo ad entrare nel panico e vedere tutto rallentato?
La porta cigolò e si aprì quasi del tutto, rivelando anche a me, che mi trovavo più vicina all'uscita – come se le mie gambe avessero potuto collaborare –: Alexander aveva indosso i pantaloni del giorno prima e stava frizionando un asciugamano contro i capelli. Alla vista della madre si bloccò e il suo sguardo cercò me, come se avessi potuto trasmettergli via pensiero qualche idea geniale.
«Alexander, caro», disse la voce della madre, con un sorriso per nulla materno. «Cosa c'è che non va nella tua stanza?».
Calò il silenzio. Il ragazzo abbassò lo sguardo, consapevole che la sfuriata sarebbe arrivata in un secondo momento, e con voce supplice disse: «Nulla, mamma». Se il mio cuore non fosse stato così forte, tanto da sentirlo in gola, mi sarei quasi stupita di non sentirlo chiamarla "madre".
Cordelia si limitò ad annuire e voltarsi verso di me, ma i miei occhi caddero sul pavimento: non avevo la forza né l'autorità di poter sostenere il suo sguardo, non dopo essere stata scoperta con le mani nel sacco. Non aggiunse nulla, era già palese che mi avrebbe costretta al matrimonio ormai, dato che il nostro accordo era saltato. Così come anche l'opzione fuga con il figlio era sfumata al suono del cigolio di un paio di cardini.
La tensione nell'aria era così densa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Sentii il rumore di tessuto, segno che Alexander si stava mettendo la maglietta per poter seguire la madre verso il patibolo. Feci un passo indietro per permettere loro di uscire senza dovermi aggirare, e percepii che lo sguardo pungente di Cordelia su di me la accompagnò fino al corridoio.
«L'incontro di oggi resta valido. Manderò qualcuno a controllare che non succedano altri disguidi». Ciò che più mi faceva paura non era che da quel momento in poi per lei ero da maritare senza riserve, ma la tranquillità con cui ne discorreva. La tranquillità di chi sa di avere in pugno la preda, per cui si prende tutto il tempo che vuole per divertirsi prima dell'inevitabile fine.
Alzai lo sguardo più di riflesso, perché avevo timore che non risponderle avrebbe peggiorato la situazione. Come immaginavo, il suo viso era il ritratto della serenità, disteso: Cordelia era una perfetta giocatrice di poker.
Alexander mi passò vicino e sfiorò impercettibilmente la mia mano, in un goffo gesto rassicurante, che accompagnò da un lieve mezzo sorriso, come a dire "Proverò a sistemare le cose".
Non sfuggì a Cordelia, che fece un sorriso freddo e radioso diretto a me; anche mentre il figlio finalmente usciva dalla stanza e si dirigeva verso quella della madre, dove il vero caos sarebbe esploso, gli occhi della donna erano fissi su di me, come se mi volesse studiare per bene prima di scegliere il mio destino. Con una lentezza che faceva male alle mie viscere seguì il figlio, lasciandomi lì, immobile, con gli occhi vacui. Capivo in quel momento come si sentissero le vittime di una gorgone, ero rinchiusa in un corpo che non rispondeva ai miei comandi, che a sua volta era rinchiuso in un freddo castello.
Dovevo correre da Wladimir. Era l'unica opzione rimasta, la nemesi di Cordelia che mi avrebbe potuto aiutare. Persino avere la stanza nella sua stessa ala del castello mi faceva sentire in soggezione. Con le dita che formicolavano chiusi la porta, ma quel gesto non mi fece sentire al sicuro. Tastai la tasca alla ricerca della mappa che mi aveva dato Wladimir, così da poterlo raggiungere ovunque si nascondesse in quei corridoi... ma volevo davvero fuggire e rischiare di nuovo di mancare l'appuntamento di Cordelia?
La sola idea di trasgredire di nuovo davanti ai suoi occhi mi provocava nausea. Ero nella sua ala, come potevo pensare di allontanarmi senza che lei lo sapesse, dopo che avevo così tristemente attirato la sua attenzione?
Alla fine anche quella situazione mi aveva dato qualcosa da imparare: pur di non tradire Alexander, avevo tradito me stessa. Pur di coprirlo ed evitare di avere una possibile rogna al suo ritorno in società, mi ero ritrovata sepolta dalle sabbie mobili. Eppure eravamo sulla stessa barca, no? Sperai con tutte le mie forze che riuscisse a far ragionare la madre.
La porta si aprì di scatto ed il pensiero che Alexander fosse tornato mi rallegrò un po', prima di gettarmi ancora di più nel baratro quando capii che non era lui. Una donna piccola e ben vestita entrò e si fermò a squadrarmi.
«Oh cielo, non pensavo fossimo a questi livelli».
«Pr-prego?».
«Mi manda Sua Altezza», lo disse come un vanto, come un lasciapassare che le consentiva di tirare fuori il petto per l'orgoglio.
«Potevate bussare, perlomeno». Era inutile mettere in questione il fatto che fosse lì, che Cordelia l'avesse mandata per mettermi ancora di più in soggezione così da essere sicura di potermi controllare.
«Hai perso il diritto di privacy circa venti minuti fa, tesoro», il tono era quello di una bambina dispettosa: voleva sottolineare come lei fosse nelle grazie dell'Imperatrice. «Ora su, vai a farti una doccia veloce che sicuramente Lord Augustus ti sta già aspettando».
Lord Augustus. Il solo nome mi faceva venire il voltastomaco.
Senza presentarsi la donna mi intimò di prepararmi velocemente. Seguii alla lettera tutte le sue istruzioni e ringraziai silenziosamente qualche divinità quando mi concesse di entrare in bagno da sola. Fu lei alla fine ad insistere per asciugarmi i capelli, facendomi sedere davanti al mobile da toeletta e pettinandomi con poco garbo i capelli. Ogni nodo che il pettine di legno incontrava mi faceva tremare, stretta nel solo asciugamano a coprirmi il corpo. Dopo aver cercato un phon nei cassetti del mobile cominciò a passarlo con prepotenza tra le mie ciocche, al massimo della velocità e del calore.
Nel mentre io non facevo nulla, se non stringere i denti impedendo alla mia sosia allo specchio di piangere. Sì, le concedevo gli occhi gonfi e lucidi, ma a costo di disintegrare i molari a furia di digrignare neppure una lacrima sarebbe dovuta scendere.
Ero caduta in basso, sì, ma non avrei mostrato a quella donna né a chiunque altro quanto mi facesse male. Me la immaginavo già zampettante ricorrere la gonna della sua signora per raccontarle quanto fossi stata umiliata.
Senza avvisarmi cominciò a creare una strana acconciatura, con le forcine che mi ferivano la cute. Ogni piccola sferzata mi faceva sobbalzare e ipotizzare che lo facesse apposta, per vedermi rispondere agli stimoli delle sue mani. Ma mai una sola lacrima ebbe l'ardire di contravvenire al mio ordine.
«Bene», disse tutta soddisfatta, lasciando il phon e la spazzola sul mobile, incurante di rimettere in ordine. «Adesso vediamo cosa puoi metterti di decente», lanciò uno sguardo di disprezzo ai miei jeans prima di aprire l'armadio. Al suo interno – notai con orrore – non c'era neppure un pantalone. Solo gonne, camicette o vestiti interi che non lasciavano scoperte le ginocchia, di colori freddi. Grigio, nero, viola... sembrava il guardaroba di una suora. Il colore più audace era un pervinca, ma quando la donna lo tirò fuori per studiarlo mi resi conto di come il taglio dell'abito fosse castigante. Con mio lieve sollievo lo rimise a posto, preferendo esaminare una camicia nera con le maniche a sbuffo ed una gonna semplice color grigio.
Il suo sorriso si fece ancora più divertito quando vide la mia espressione. «Suvvia, non è un abbinamento così brutto. Questa è una stanza utilizzata per gli ospiti dell'ultimo minuto, che si suppone abbiano il loro bagaglio; sii riconoscente, ché se ti avessi fatta girare con questi stracci saresti passata per una mendicante». A sottolineare il concetto tirò su i miei jeans e li sventolò, ridendo dello scarso materiale di cui erano fatti. Dalla tasca scivolò fuori la mappa di Wladimir e sperai che lei non se ne fosse accorta, cosa che ovviamente era impossibile accadesse dato che godevo dello sfavore della sorte, in particolare in quella giornata.
La donna si piegò ed esaminò il foglio, per poi scuotere la testa e strapparlo.
«NO!».
Si girò verso di me con un ghigno. «Non c'è bisogno di una mappa se non puoi lasciare la tua stanza da sola». Infilò i lembi della carta in una tasca nascosta tra li sbalzi della gonna e si diresse verso la porta. «Truccati un po', se ne sei capace. Tra poco passerà un valletto per scortarti all'appuntamento». Uscì senza salutare.
Mi concentrai sul respiro, anche se mi stavo tempestando l'interno della guancia a suon di morsi per trattenere il pianto o le urla – o entrambi. Aprii di slancio la porta: se la donna se n'era andata non ero più sotto il controllo diretto di Cordelia, ma con mio gran disappunto trovai una di quelle guardie in armatura esattamente davanti alla mia porta, contro il muro. Fece addirittura un segno di saluto con la testa, muovendo in avanti quell'elmo medievale e agitando il pennacchio che mi era sopra, come a schernire i miei intenti.
Richiusi la porta, sconsolata. Dovevo trovare il modo di contattare Wladimir, ma senza farmi scoprire da Cordelia. Forse, se Alexander fosse tornato, avrei potuto chiedere a lui. Persino la sorella di Cordelia e amante dell'Imperatore mi sarebbe andata bene, nonostante la odiassi più di ogni altro essere in quel castello.
Mi osservai allo specchio. Avevo gli occhi ancora gonfi e non volevo farmi vedere in quelle condizioni, per cui dovevo seguire ancora una volta le istruzioni di quella donna. Cercai tra i cassetti qualcosa che potesse aiutarmi, ma trovai solo del fard ed un ombretto nero. Maledicendo qualsiasi dea bendata che aveva deciso di non assistermi andrai in bagno a recuperare qualche strappo di carta igienica per dare una forma al colore che stavo mettendo sulla palpebra destra.
Del fard non se ne parlava: non avevo intenzione di apparire radiosa. Anche l'ombretto, per come era stato immaginato, non serviva allo scopo. Trovai tra i cassetti un vecchio pettine in plastica e con fatica ne spaccai un dentino, così da usarlo a mo' di pennellino dopo averlo ricoperto di un velo di carta igienica. E con lentezza disarmante, illudendomi che non ci fosse nulla ad attendermi, tentai di disegnare una striscia nera all'attaccatura delle ciglia, per poi dirigersi verso la tempia.
Se tanto dovevo essere lo zimbello di tutti, essere additata come colei che aveva tradito l'Imperatrice mentendole, mentre il Principe girava nudo nel suo bagno, tanto valeva fare un po' a modo mio. E finalmente ciò che vedevo allo specchio si avvicinava alla normalità, a quello che ero abituata a vedere ogni mattina prima di uscire di casa.
Samantha spesso mi prendeva in giro per come fossi incurante di rendere gli occhi esattamente simmetrici. Diceva che sembravo un panda dopo una rissa per uno stelo di bambù.
Scossi la testa per lasciar scivolare via il ricordo di Sam e della mia vita precedente. Non l'avevo neppure salutata... chissà se aveva creduto alla storia del trasloco-lampo. Chissà se mi recriminava di non averle mandato neppure un messaggio...
«Dopo», concessi alla mia gemella di fronte a me. «Dopo piangeremo anche per questo». Ero stata così travolta dagli eventi da non ricordarmi chi fossi davvero. Non ero una piagnucolona, non ero una Demone, non ero la pedina di Cordelia. Se tanto ero già nella melma, era più saggio imparare a nuotarci invece che attendere di affogare del tutto.
Perché quella che vedevo allo specchio non era Victoria Blackeye. Era Victoria Augustine, figlia di due persone normali. E che la Corte se lo ricordasse, quando mi incrociava per strada. Che poteva farmi Cordelia, più di chiudermi in una gabbia dorata e pensare di rendermi mansueta accanto ad un uomo? Poteva usare la violenza? Poteva tentare di distruggermi emotivamente per farmela pagare?
Ebbene, da parte mia non avrebbe trovato che una degna avversaria.
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