15 - Spasso e agonia
«Che fine avevi fatto?», sbuffò Alexander appena dietro la porta, facendomi sussultare.
«Era tuo padre, non potevo mandarlo via». Mi avvicinai alla finestra per tirare le tende, ma con mio grande disappunto scoprii che il sole era già calato.
«Cosa voleva?». Ahia. Domanda che ne sottintendeva altre, tra cui "Ehi, Victoria, da che parte stai?".
Sì, da che parte stavo? Dalla sua, che mi aveva ingannato sulla storia del sangue? Da quella di Cordelia, che non vedeva l'ora di ingabbiarmi come lei, dietro la scusa di aiutarmi? O da quella di Wladimir, che mi concedeva qualche immunità pur con qualcosa in cambio che non si arrischiava a pronunciare in corridoio?
«Mi ha fatto fare un giro del palazzo e mi ha dato una cartina». Dalla mia. Stavo dalla mia parte, perché se non ci fossi stata io non ci sarebbe stato nessuno, e avevo disperato bisogno di tenermi aperte tutte le strade che mi si palesavano.
Perse interesse per l'argomento e si guardò attorno. «Pensi dia troppo nell'occhio chiedere un secondo cuscino?».
«Eh?».
Mi guardò torvo. «Non penserai mica che voglia far sapere che sono tornato, risolviamo questa storia del sangue e me ne torno a chilometri di distanza da qui».
«Quindi si può risolvere?».
«Ho qualche idea in mente», molleggiò la testa prima di tornare alla carica chiedendo del cuscino.
«Non dormirai qui», lo avvisai, alzando il dito come monito.
«Qualsiasi Demone vorrebbe passare la notte con il Principe», disse ridacchiando. Mi lanciò uno sguardo e si fece serio. «Anche se a volte penso che tu non sia propriamente una Demone».
«Ah no?».
«No, ti vedo più come una spina nel fianco».
«Beh, occhio a non sanguinare quando vieni trafitto», mostrai i denti mentre lo dicevo, cercando di infondere un po' dell'astio che mi stava corrodendo.
Ma lui non reagì come mi aspettavo. «Ehi ehi ehi, cos'era quello?».
«Cosa?», risposi sulla difensiva. Non mi piaceva quando diventava imprevedibile, e avevo tristemente scoperto di avere ragione dopo la camera dell'hotel.
«Era forse un ringhio quello?», indicò le mie labbra poco prima di scoppiare a ridere. «Oh numi, questo isolamento a tratti è uno spasso».
«E a tratti un'agonia».
Continuò a ridere senza darmi retta. Si sedette sul letto e cominciò a saltellarci sopra per testare il materasso.
«Di nuovo, non dormirai qui».
«Non posso uscire di qui, te l'ho detto!», il suo tono mutò ancora, stavolta in stizzito. «Se vuoi dormire senza cuscino, fa' pure».
«È il mio cuscino, innanzitutto. E seconda cosa, non mi stai davvero convincendo a coprirti». Che mi interessava se veniva preso? Potevo forse cercare di rigirare la sua versione, di inventarmi qualcosa affinché non passassi io per la bugiarda che aveva negato di sapere dove fosse. Ma sì, potevo dire che lui stava cercando di portare giù nel fango dato che avevo fatto la spia. «Io il richiamo del sangue non lo sento».
«Ma potresti in futuro».
«Oh, ma sai che me ne importa! Tu mi hai ingannata per questa cosa, quando sapevi benissimo a cosa si andava incontro!».
«Che diamine potevo saperne? Pensavo fosse una fissa dei vecchi, così ancorati alle tradizioni! Come potevo immaginare che ci fosse un legame così forte? Pensavo funzionasse come le normali trasfusioni e che il resto fosse romanticismo!».
«ROMANTICISMO! E tu succhiare il sangue dal collo di qualcuno lo chiami romanticismo? Io lo chiamo insanità mentale!».
Aveva le narici dilatate, come i tori prima di attaccare, e i pugni serrati. Lo vedevo dai suoi occhi: stava cercando di non alzare troppo la voce per non attirare attenzione. «Cosa vuoi in cambio della tua lealtà, allora?», sibilò, emulando lo sguardo di ghiaccio della madre.
«Portami con te fuori. Stai organizzando tutto come se io dovessi rimanere qui per sempre, mentre tu girovaghi per il mondo».
Mi fissò per svariati secondi, facendomi sentire in balia del suo sguardo e del ritmo con cui le sue spalle salivano e scendevano. Avrei anche dato l'anima pur di andarmene.
«Ad una sola condizione».
«Va bene».
Alzò un sopracciglio. «Non vuoi neppure sentirla prima?».
«No, basta uscire di qui». Il resto era secondario: come sarei rimasta nell'ombra, come avrei superato quel trauma. Non importava.
«Contenta tu», sbuffò, sfilandosi le scarpe e mettendosi sul letto comodamente, come se io non dovessi dormire in quella stanza.
Con un respiro profondo lasciai perdere ogni vena polemica. Il sole andandosene aveva portato con sé le mie ultime forze, non vedevo l'ora di chiudere gli occhi e riposare la mente, ma come un lavandino che perde e nel silenzio fa risuonare il costante gocciolare i pensieri mi impedivano di lasciar andare il mio corpo. Ma dove? Entrai in bagno e valutai l'idea di mettermi a dormire lì. Sì, da fuori sarei sembrata patetica e mansueta in quel momento, eppure avevo solo bisogno di un po' di spazio tutto per me ed anche condividere il letto con Alexander non mi avrebbe aiutata.
Tornare giù in cucina da Andrew e gli altri mi sembrava un'idea allettante, ma non volevo essere di troppo né attirare l'attenzione su di me mentre sgattaiolavo al piano di sotto. Inoltre tenermi quella opzione poco prima di un crollo nervoso poteva essere saggio.
Mi sedetti sulle piastrelle fredde del bagno e poggiai la schiena contro il muro, senza preoccuparmi di rimanere al buio. Da piccola lo avevo sempre odiato, ma quei giorni mi stavano facendo ricredere su dove si nascondessero i mostri: non era nell'ombra, ma esattamente fuori da quella porta del bagno. Ed io ero la loro preda preferita. Persino coloro che non mi avevano mai incrociato conoscevano chi fossi, quale fosse la mia storia e quella della mia famiglia. Persino loro mi conoscevano meglio di me stessa.
Espirai con la bocca. Era il caso forse di appuntarmi chi fossi, prima di perdere il nume della ragione. Ero Victoria Augustine o Blackeye? E soprattutto da dove proveniva quello strano nome, Occhio Nero? E chi erano i miei genitori? Persone semplici, normali, o calamite attratte dal potere demoniaco?
Demoni. Una parola che suonava brutta anche nella mia testa, ma che davanti ai miei occhi appariva ancora peggio. Sangue, matrimoni, intrighi, concubine addirittura... che ne era nel ventunesimo secolo? Sembrava avessi fatto un viaggio nel tempo, nei secoli bui della storia, e la sensazione che da qualche parte ci fosse una ghigliottina in attesa della mia testa mi faceva tuffare il cuore nello stomaco.
«Tutto bene?», la voce di Alexander mi fece prendere un colpo. Non lo vedevo in quel buio e ringraziai che neppure lui potesse vedermi, perché quel sobbalzo fu la goccia che fece traboccare tutto di nuovo e le lacrime cominciarono a bagnarmi le guance.
La sua mano corse all'interruttore e in un secondo scarso la luce mi accecò. Portai la mano veloce al viso più per nascondermi che per dare sollievo agli occhi. Del tutto inutile, perché mi aveva già visto, e lo rese palese il suo tono quasi rassicurante: «Dai, vieni, ti lascio il cuscino».
«Non ho sonno, grazie». "E vattene".
Si limitò a spegnere la luce. Calò di nuovo il silenzio e lo accolsi come la medicina di tutti quei malanni che si stavano aggrappando con forza ai miei pensieri... finché non sobbalzai di nuovo, sentendo la sua mano che mi sfiorava la nuca per poi depositarsi sulla spalla e tirarmi verso di sé, dove dovrai l'incavo del suo collo come appoggio.
Non capivo perché si comportasse in quel modo altisonante, eppure l'idea che lo facesse solo perché aveva bisogno del mio sangue era sempre più convincente. Sì, a volte si lasciava andare con il suo modo fastidioso e spocchioso, altre si rendeva conto che gli ero utile e raddrizzava un po' il tiro.
In ogni caso avevo davvero bisogno di un abbraccio, per cui abbandonai completamente il corpo contro di lui incurante di poter sembrare fuori luogo – anzi, a dire il vero sembrava l'unica cosa giusta in quelle mura di pazzi.
Mi concentrai sul suo respiro regolare, che via via si faceva sempre più profondo mentre si addormentava. Una parte di me lo invidiava: conosceva il mondo da cui fuggiva, mentre io mi trovavo in una sorta di roulette russa dove non sapevo neppure quanti proiettili ci fossero in gioco. D'altro canto però solo pensare cosa significasse nascere e crescere in quell'ambiente mi faceva venire la pelle d'oca.
Alexander si mosse un po', come se il corpo fosse stato percorso da uno spasmo e batté la testa contro qualcosa, probabilmente il lavandino. Sibilò un misto di imprecazioni colorite e poi sospirò. Sentivo che tastava il pavimento molto vicino a me, troppo, e per un attimo ebbi paura che volesse sfruttare il buio e la possibilità che stessi dormendo per approfittarsene, data la sua necessità di sangue. Il cuore cominciò a battere forte e temevo si potesse sentire in quel silenzio spezzato solo dal suo respiro, la mente si svuotò impedendomi di immaginare modi per potermi liberare dalla sua morsa e fuggire via. Dovevo solo raggiungere la porta, no? Lui oltre non sarebbe potuto andare.
Inaspettatamente non sentii il pavimento sotto di me, con una spinta verso l'alto mi trovai con il corpo che cozzava contro il suo petto e le sue spalle ad ogni passo. Mi scappò un singulto di sollievo: non voleva sfruttare l'occasione, mi stava solo portando a letto.
«Ti ho svegliato?», sussurrò senza ottenere risposta. Gli ero grata per quel momento di tenerezza, ma non bastava a spazzare via tutto il resto.
Con una delicatezza che non immaginavo avesse mi poggiò sul letto, ma non lo sentii sdraiarsi accanto a me. A dire il vero il fatto che dormisse comodo mi interessava ben poco, per cui cercai di infondere del sano egoismo alle spalle rigide per poter dormire.
Smisi di sentirlo muoversi, mi bastava già quello per percepire la possibilità di dormire senza interruzioni. Chiusi finalmente gli occhi, che fecero quasi male per quanto li avevo costretti sbarrati nonostante il buio, ma ci volle più del previsto per poter dormire. Forse perché sapevo che il giorno dopo non avrei scoperto di aver vissuto solo un vivido incubo, o perché anche solo nascondere Alexander da Cordelia mi faceva serrare le viscere; per non parlare della proposta di Wladimir, che pareva tanto allettante quanto pericolosa. Volevo davvero accettare? E quale "cosuccia in cambio" mi voleva chiedere?
Con un sospiro profondo imposi quei pensieri alla Victoria del giorno dopo, perché quella che si trovava in un letto sfatto e freddo non aveva più le forze.
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