13 - Vivavoce e grossi guai

Come promesso, Cordelia passò a vedere come mi trovassi nella nuova sistemazione, mentre io non facevo che ringraziarla più per sembrare leale e per nascondere la bugia che le avevo detto, che vera e propria gratitudine. Lei ogni tanto mi lanciava qualche sorriso, ma sembrava turbata per Alexander.

Anche quando mi spiegava come si intersecassero i corridoi, come raggiungere l'ingresso e la sala grande – che sembrava una sorta di ritrovo per tutti coloro che vi abitavano nelle grandi celebrazioni – appariva come una macchinetta che tira fuori informazioni a casaccio pur di distrarsi.

«Cordelia, perdonatemi», ero un po' dubbiosa per il modo con cui mi sarei dovuta rivolgere a lei. «Ma non capisco il mio ruolo qui... io voglio solo tornare a casa...» ...e dimenticare tutto.

Lei sospirò e mi invitò ad entrare in quella che sembrava una gigantesca serra. Le pareti erano interamente di vetro e il soffitto era percorso da lunghe assi di legno che aiutavano le piante rampicanti a crescere. Ogni angolo possibile era coperto di vegetazione e più volte ero inciampata in sottovasi di ceramica, forse ne sbeccai uno ma Cordelia non se ne accorse. «Lo capisco, bambina mia». Si diresse al centro di quella gigantesca vetrina, dove un tavolo in ferro battuto bianco sembrava essere stato dimenticato. Due sedie della stessa fattura erano l'una di fronte all'altra dinnanzi una vetrina particolarmente vuota, che permetteva di osservare il prato intorno al castello. Ne prese una, la avvicinò al tavolo e si sedette. La imitai nella speranza mi dicesse che non ero costretta a rimanere lì, che la porta era aperta e che potevo andarmene anche subito. «Purtroppo i tuoi genitori hanno ignorato le regole per troppo a lungo, ora bisogna ristabilire l'equilibrio».

«Ma io non faccio parte di... di voi», mi morsi l'interno della guancia per non vacillare.

«Facciamo così: tu mi aiuti a trovare Alexander, e io ti prometto che proverò a lasciarti andare via».

«Sul serio? Anche se Wladimir è il mio tutore legale?», raddrizzai la schiena e mi avvicinai a lei, facendo toccare le costole contro il tavolino che si spostò un po' in avanti.

Cordelia fece una smorfia a sentire quel nome e disse che lei non era certo meno importante di lui.

«Chiedo scusa... ho dimenticato che siete l'Imperatrice».

«Non ti preoccupare, è un mondo così nuovo per te». Si alzò dalla sedia e si avvicinò ad una pianta che, se non fosse stato per il colore verde rigoglioso, avrei pensato morta: le foglie, così come i piccoli rami, erano penzolanti, fino a toccare per terra e rischiare di essere calpestate. Infilò la mano sotto, alla base, e ne estrasse un cellulare. Si guardò velocemente intorno come se stesse facendo qualcosa di losco e poi me lo porse.

«Pensavo non ci fosse campo qui...».

«Te lo ha detto Wladimir, non è vero?».

Annuii, notando che anche pronunciare il nome del marito le dava fastidio.

«Non credere a nulla quando parla lui, lui è l'Insidia fatta persona». Se da una parte appariva come una moglie che non si fida, dall'altra lei sembrava molto più amichevole di lui, cosa che mi spingeva a darle retta.

«Perciò... cosa devo fare?». Se prima mi ero buttata a capofitto in quell'accordo per entusiasmo di fuggire lontano, in quel momento cominciavano a venirmi i dubbi. Alexander sarebbe tornato e Cordelia avrebbe scoperto la bugia... Forse sarei stata già lontana per quel tempo, ma se così non fosse stato? Volevo mettermela contro dopo quello che mamma le aveva combinato, qualunque cosa fosse?

«Chiamalo e digli che sei appena arrivata qui, che sei disorientata e hai bisogno di un amico, hai bisogno di lui». Lo disse con una scioltezza tale che mi fece supporre avesse già in mente il piano da un po'. «Quando ti dirà che non può tornare, chiedigli dove sta».

Eccola lì, la resa dei conti. Il tutto perché il mio maledettissimo carattere non aveva voluto soggiacere a quello che stava accadendo. Se fossi rimasta ferma e zitta nella stanza di Guillerme, non mi sarei mai messa in quel casino. Invece no, io dovevo aprire una dannatissima finestra. E proprio quella donna doveva passare sotto la dannatissima finestra. «Ma non sembrerà sospetto?», Victoria, parliamone – ammonii me stessa –: se questi sono i tuoi tentativi di sottrarti all'incombenza, stiamo freschi. Quel pensiero peggiorò tutta quella situazione: le mani cominciarono a sudare e il cuore a battere troppo forte.

Cordelia aggrottò le sopracciglia e si mise le mani sui fianchi, segno che non fare come diceva lei la spazientiva immediatamente. La voce distruttiva della mia testa disegnò un bel quadretto in cui si sarebbe accorta che mentivo proprio dalla telefonata in vivavoce che mi avrebbe fatto fare, perché sicuro sarebbe stata in vivavoce. «Se ti fingerai nel panico, le domande a raffica che farai saranno credibili».

Oh sì, fingersi nel panico sarebbe stato semplice grazie alle mie doti di attrice, che mi avrebbero permesso in quella situazione così distesa di dissimulare la finta voglia di fuga. Con la mia mente che riusciva solo a darmi dell'idiota ad una velocità considerevole, mi trovai capace solo ad annuire per non sembrare una statua di sale.

Una voce alle mie spalle ridacchiò. «Oh, Cordelia cara, non staremo un po' esagerando?».

L'Imperatrice strinse i denti mentre una figura faceva attraversava un piccolo corridoio formato dalle piante e si avvicinava a noi. «Non sei un po' troppo apprensiva per una ribellione adolescenziale?». Non ottenne risposta: Cordelia si limitò ad assottigliare gli occhi.

La nuova arrivata indossava chiaramente una parrucca molto gonfia, quasi in stile rococò che mal si sposava con il lungo vestito nero che mostrava ogni sua forma. Volgare fu la prima parola che riuscii ad elaborare per descriverla, anche come camminava e molleggiava rimandavano a quel concetto. I suoi occhi pesantemente truccati si posarono su di me. «Eccoti qui, piccolo frutto fuori stagione».

Non sapevo come comportarmi. Ignorarla, come stava facendo Cordelia o risponderle? Preferii la prima, avevo già motivo di rendermi l'Imperatrice nemica, meglio evitare di peggiorare ai suoi occhi.

«Eppure ero convinta che gli umani avessero acquisito da un po' la facoltà di parola», continuò a ridacchiare. «Ti esprimi a gesti, tesoro?», accompagnò le parole con un movimento della testa altalenante, come se potesse aiutarmi a capire le parole.

Quella donna non mi piaceva, affatto. Poteva essere per come Cordelia la guardava, impassibile come un'ottima giocatrice di poker, o per come si era rivolta a me. Annuii e le mostrai il dito medio. Se tanto dovevo rimanere confinata lì, tanto valeva mettere in chiaro certe cose. «Se vuoi, ti aiuto a spulciarti».

Cordelia scoppiò a ridere e la donna fece il broncio. «Mildred, non vedi che le persone civili stanno parlando? Non sei un po' troppo lontana dal letto di Wladimir?».

«Mai quanto te, sorella. Mai quanto te», rise di cuore, prima di tornarsene da dove era venuta.

Cordelia sospirò e rilassò le spalle, prima di prendere il telefono, aprirlo e romperlo a metà. «L'arrivo di Mildred preannuncia la visita di Wladimir», rispose al mio sguardo interrogativo, che però era rivolto all'identità della donna: era sua sorella e condivideva il letto con suo marito?!. «Un po' come quando nella notte senti un gufo bubolare: cattivo presagio». Il suo tono non era tetro o dispiaciuto, sembrava evidenziare solo la realtà dei fatti. «Meglio nascondere le prove e andarsene prima che arrivi. E poi dobbiamo parlare di un'altra questione».

Uscimmo da quella che sembrava una porticina in vetro nascosta da un alberello rampicante. Doveva essere inutilizzata da un po', perché sentii qualche ramoscello rompersi quando fu aperta. Il corridoio in cui sbucammo era identico al precedente, ma con le finestre coperte da mosaici dai colori più accesi, che consentivano alla luce di penetrare maggiormente.

«Ehm... quale?», la incalzai, visto che continuava a camminare con la schiena dritta e la testa alta da un po' – e ammetto che solo a vederla con quella postura sentivo dolore.

«La tua entrata in società», rispose in maniera leggera, senza aggiungere nulla. Dopo un paio di angoli che svoltavamo chiesi spiegazioni.

«Ogni ragazza di diciassette anni tiene una festa in cui si presenta all'alta società e si dichiara disponibile per il matrimonio. Dopo di ciò le famiglie interessate possono proporre i loro rampolli per raggiungere un accordo pre-nuziale che verrà adempiuto poco dopo il diciottesimo anno della promessa sposa».

Smisi di camminare, raggelandomi. «EH?».

Lei si voltò lentamente ad osservarmi, e in quel momento colsi la distanza siderale tra me e lei, così rigida nella postura, così immersa in tradizioni che per me appartenevano al passato.

«Io non voglio sposarmi... mi avevate detto che mi avreste aiutata a fuggire!».

Fece una smorfia che mi ricordò quando poco prima avevo mostrato titubanza nel telefonare ad Alexander, non le piaceva essere contraddetta. «Tutto a suo tempo, Victoria. Se non rispettassimo le usanze, sarebbe palese che c'è qualcosa di sospetto e molti ficcherebbero il naso nelle nostre faccende».

«Quindi... quindi è solo una copertura?».

«Ma certo», sorrise, invitandomi a continuare il cammino. Poi disse qualcosa che mi fece capire come mi trovassi in un labirinto senza uscita. «Non appena Alexander tornerà, organizzeremo la tua partenza».

Non risposi, certa che qualsiasi parola mi avrebbe tradita. Anche Cordelia si era rivelata un vicolo cieco, alla fin fine. «Anche per la promessa di Alexander è stata fatta questa festa?», fu l'unica cosa che riuscii a dire, quando il silenzio divenne pesante.

«Sì, ma è stata una scelta quasi obbligata per noi quell'accordo. Sai, qui l'alta società si divide in Casate, come delle grandi famiglie che hanno un lontano antenato comune. La legge stabilisce che ogni nuova Imperatrice debba essere scelta a turno tra le varie Casate, e per Alexander il fato millenario ha voluto una Blackeye».

Annuii per cortesia, ormai me l'ero scampata dalla storia del ritorno di Alexander e presto – in un modo o nell'altro – mi sarei lasciata alle spalle quella bolla medievale.

Continuammo a camminare finché non imboccammo un corridoio familiare. Dopo aver percorso tre porte, ci fermammo di fronte alla "mia". «Manderò un sarto per prenderti le misure, hai bisogno di qualche abito per far figura».

«Grazie», tentai di nascondere il tono sconsolato invano, perché lei se ne accorse e si avvicinò per darmi un dolce buffo sulla guancia.

«Roma non è stata costruita in un giorno, bisogna solo pazientare», e quello fu il suo saluto, che continuava a rimbombarmi nelle orecchie mentre lei si allontanava. Era un modo come un altro per dire che dovevo attaccarmi, che ormai mi ero scavata la fossa da sola aiutando il figlio.

Aprii la porta e per poco non urlai dalla sorpresa. Sul letto era seduto un grosso problema, che sbuffò quando vide la mia espressione. «Zitta! Hai idea di quanto ci abbia messo ad arrivare fin qui senza essere beccato?», chiuse la porta al posto mio e tirò un sospiro di sollievo.

«Che ci fai qui?!». Forse se l'avessi ucciso seduta stante nessuno lo avrebbe mai saputo.

«Te l'ho detto: speravo davvero che quell'esperimento non riuscisse». Alexander si passò una mano tra i capelli.

«Cosa intendi dire?», aggrottai le sopracciglia mentre lo osservavo: aveva gli stessi vestiti che gli avevo visto l'ultima volta, solo più sgualciti e con una macchia di dubbia provenienza all'altezza di un ginocchio.

«Che siamo nei guai», lo disse con una scioltezza che mi quasi mi fece sperare nell'opzione "candid camera".

«Frena, frena. Tu sei nei guai, forse, non io. Dovevi essere lontano da qui e invece eccoti che spunti. No. No, io non voglio avere nulla a che fare in questo».

Scoppiò a ridere, indicando la stanza intorno a noi. «Ci sei dentro fino al collo, invece».

«Sei tu che hai voluto fare quell'idiozia del sangue!».

Calò le mani sulle mie spalle e sussurrò contrariato: «Ma vuoi farti sentire da tutti?! E poi hai acconsentito!»

«Perché pensavo fossi pazzo e volevo andarmene via il prima possibile!», non abbassai la voce e mi scrollai le sue mani di dosso.

«Questa», disse lui infastidito, mentre a sorpresa mi afferrava una mano e una lunga scossa si protraeva fino all'ascella, «ti sembra pazzia?».

«C'è una spiegazione scientifica per questo».

«Ah... sì... ma... dimmi... un... po'...» ogni parola mi ticchettava prima sulla fronte, poi sulla guancia, poi sul collo, finché non lo spinsi via infastidita da leggeri colpi di elettricità che mi percorrevano dove mi aveva toccato. «Tutte queste scosse? Che coincidenza notevole».

«Che cosa stai cercando di dire?».

«Dobbiamo risolvere questa situazione. Non posso sposarmi con una donna quando ho un legame di sangue con un'altra!». Si passò le mani tra i capelli digrignando i denti. Se era un tentativo di ammorbidirmi, non c'era riuscito.

«Un legame di che?».

Si buttò a peso morto sul letto. «Ma mi ascolti quando parlo? Ho detto che i Demoni hanno un legame particolare con il sangue. Diciamo che assaggiando il sangue di un'altra persona, la leghi a te per sempre...».

«DISFACILO ORA!», gli tirai la maglietta con frenesia. Ci mancava solo averlo come anima gemella di sangue! Ma che gli era passato per la testa? Mi aveva ingannata, presa alla sprovvista per quella cosa! E ora mi diceva che eravamo legati in quella maniera satanica?!

«Vuoi urlarlo in pubblica piazza?».

«Ti prego», la rabbia lasciò il posto alla tristezza. Ogni volta, ogni dannatissima volta che si apriva una via di fuga si mostrava per quello che era: solo fumo, che mi confondeva e gettava ancora di più in quella melma. «Io voglio solo andarmene».

«E non pensi che anche io voglia farlo?», la sua domanda retorica aveva una punta di amarezza. «Pensi davvero che io voglia stare qui, con i miei che si azzannano e un matrimonio combinato?».

«Perlomeno sei il figlio dell'Imperatore».

«Vedo che hai fatto i compiti», tentò di ridacchiare ma ne uscì fuori una risata strozzata. «Non sai che vuol dire, stare sempre sotto i riflettori... Dovrò passare la vita con una donna che a malapena conosco e che detesto, solo perché ho avuto la sfiga di nascere tra i ceti facoltosi».

Sbuffai. «Ma per favore», mi sembrava la lagna di un bambinetto viziato, «vuoi prendere il mio posto?».

Prima che potesse rispondere, qualcuno bussò alla porta. «Nasconditi in bagno», proposi. «È un sarto mandato da tua madre».

«Mandalo via».

«Non penso di poter fare un affronto del genere a Cordelia», feci una smorfia all'idea di lei che si infastidiva, al pensiero di come aveva candidamente detto che avrebbe chiesto lumi per la stanza datami da Guillerme rabbrividii: non potevano essere solo paure infondate quelle dei miei genitori.

«Inventati che hai un problema, che stai male, che i sarti di martedì sono contro il tuo credo religioso. Qualcosa!», sibilò, mentre entrava in bagno e chiudeva la porta lentamente.

La persona dall'altra parte si fece più insistente, finché non decisi di aprire la porta stizzita per quelli che sembravano quasi tentativi di buttarla giù. Ma al posto del sarto c'era Wladimir, appoggiato allo stipite della porta.

«Victoria, che dire, mi sei mancata», mi salutò lui sarcastico.

«Vi presentate sempre così alle porte delle fanciulle?». La stessa confusione che mi invadeva quando conversavo con Cordelia si presentò, ma di una cosa ero certa: Wladimir non mi piaceva, e se era stato così insistente da volermi lì senza conoscermi doveva affrontare le conseguenze.

«Sono una persona molto impegnata, come avrai avuto modo di apprendere da mia moglie», lui nel nominarla rimase impassibile, «ma per la mia figlioccia questo e altro. Su, mi hai convocato, o potente signora, spicciati a dirmi cosa vuoi».

Il mio cervello entrò nel panico, con Alexander nascosto e Wladimir che stranamente acconsentiva ad una mia richiesta. «Voglio andarmene di qui». Semplice, pulito, lineare, che poteva includere tra le righe "E mettere chilometri tra me e tuo figlio".

«E io voglio essere l'Imperatore del Sacro Romano Impero. Mi hai fatto venire qui per delle lagne?».

Aprii e richiusi la bocca un paio di volte, senza sapere cosa dire con Alexander così vicino. Quando volevo parlare con lui non conoscevo ancora Cordelia – sì, colei che voleva farmi sposare – né pensavo Alexander sarebbe tornato.

Forse dovevo andare per gradi. «Non ho intenzione di rispettare questa vostra tradizione del matrimonio». Meglio di niente, perlomeno, e mi stavo togliendo un peso così grande che spingeva Alexander a voler fuggire.

«Ora sì che si ragiona. Speravo avessi un desiderio che potessi realizzare per te, perché mi serve una cosuccia in cambio». Fece un sorriso che non presagiva nulla di buono e mi porse il gomito, invitandomi ad incastrarlo con il mio e seguirlo dove voleva conversare.

Rifiutarmi di seguirlo, dopo che ero stata io a dire a Guillerme di volerci parlare, sarebbe stato sospetto. E poi Alexander non era rimasto coerente con quello che ci eravamo detti sul suo tentativo di esiliarsi, se pure era stato costretto a tornare per quel legame di sangue che considerava un problema, era colpa sua. Sospirai internamente e accettai a malincuore l'invito di Wladimir.

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