8 - Roba forte ♛

Mi misi una mano sulla pancia, per far capire ad Alexander che stavo morendo di fame. Stavamo passeggiando per l'accampamento, mentre lui mi spiegava tutta la situazione, mano nella mano.

«Andiamo a vedere cosa ci preparano di buono», propose, sorridendomi, anche se sapevo bene che soffriva a non sentirmi parlare.

In un tendone bianco molto più grande degli altri, un lungo tavolo di legno occupava la maggior parte dello spazio. Lì si mangiava, ma ognuno vi si recava quando aveva fame: eravamo circa cinquemila persone, e sfamarle tutte in quel tavolo contemporaneamente era impensabile. Alcuni posti erano già occupati, e ci sedemmo uno di fronte all'altro mentre un uomo ci chiedeva se preferissimo pollo o cinghiale. «Complimenti, i boschi qui fuori sono proprio ben forniti!», aggiunse, ridendo. Probabilmente anche lui era un soldato, ma visto che l'idea principale era tenere sotto assedio il Palazzo finché non soffrisse la fame, per ora si occupava della cucina.

Alexander mi guardò, aspettando una risposta. Alzai due dita, e lui annuì, tornando a rivolgersi all'Angelo accanto a lui. «Due porzioni di cinghiale, per favore».

Mentre stavamo per finire la nostra cena, Sigfrid entrò nel tendone e ci fece segno di raggiungerlo. Da quando avevo ripreso conoscenza, Alexander mi aveva lasciato sola in pochissime situazioni, forse perché potevo comunicare solo a gesti, forse perché la lontananza aveva fatto male anche a lui. Anche gli Angeli intorno a noi si erano abituati alla mia presenza, dopotutto anche ascoltando i piani di attacco non avrei potuto spifferarli a nessuno. Mangiammo gli ultimi bocconi e lo seguimmo verso la tenda principale, dove un tavolino con una cartina disegnata a mano spiccava.

Oltre a Sigfrid c'era anche Wladimir, che continuava a sbuffare, probabilmente di fretta. Lo conoscevo abbastanza da capire che c'era qualcosa che nascondeva, e che gli piaceva tantissimo; lo dimostravano i suoi occhi frenetici, che non si posavano troppo tempo sullo stesso oggetto. Ci salutò con un cenno della testa, quasi iperattivo.

«Vi ho chiamato qui perché voi conoscete il castello meglio di noi», spiegò l'Angelo, sfiorando l'ala est ed ovest del disegno approssimativo del Palazzo con un dito. «Abbiamo stretto alleanza con i Blackeye, ovviamente chiedendo la massima segretezza. Sperano che la loro Imperatrice torni presto», disse lanciandomi un'occhiata. «Purtroppo però abbiamo perso il nostro vantaggio sull'ala dei Darkriver, e continuiamo a ricevere sconfitte su sconfitte. Se prima non volevamo agire per fare uscire il topolino affamato dalla trave, ora è necessario attaccare. Ma in condizioni simili perderemmo sicuro».

Osservai la cartina, che era una riproduzione fedele seppur semplice del castello. Ma qualcosa mancava, o meglio, io sapevo che mancava. Strinsi i denti, cercando di articolare una semplice parola, ma ne uscì solo un sibilo. Tutti si voltarono a guardarmi, ed Alexander mi porse una matita, invitandomi a scrivere sulla cartina. Ma invece di comporre la parola, cominciai a disegnare sulla forma squadrata del Palazzo.

Piano piano corridoi vennero fuori, o almeno quelli che conoscevo io: tutte le uscite partendo dalle due camere che avevo avuto prima e dopo il matrimonio con Wladimir, l'ingresso alla cucina e quello alla lavanderia.

«Labirinto?», suggerì Sigfrid, ma l'ex sovrano dei Demoni strabuzzò gli occhi e disse: «Meglio. Passaggi segreti. Pensavo fossero solo una diceria». Lo indicai annuendo, ed Alexander indicò un punto preciso del mio disegno. «Ma questa è una via per l'ala dei Silentowl?». Feci cenno di sì con la testa, ed i tre uomini mi fissarono come se avessi proposto loro tutto l'oro del mondo.

Cominciarono a discutere di strategie, ma persi il filo del discorso quando misero in mezzo molti nomi, probabilmente generali e soldati. Continuavano a lanciarmi sguardi di gratitudine, ed alla fine della riunione Sigfrid sospirò: «Se solo avessimo qualche infiltrato in più che conosce il castello, avremmo la vittoria in pugno».

All'improvviso un'idea mi illuminò la mente, ed afferrai la matita che era stata abbandonata sulla cartina. Si chinarono a leggere la parola che avevo appena scritto, e poi Wladimir aggrottò le sopracciglia. «I servi potrebbero aver paura di possibili ritorsioni, se perdiamo. Non si alleeranno con noi facilmente».

Scossi la testa, tornando a scarabocchiare "Fate il mio nome". Mi guardarono spaesati, ma io feci un occhiolino, ed Alexander disse: «Siamo già nel castello, dopotutto, non ci costa nulla provare».

Si accordarono nuovamente, e una volta che la riunione fu finita Wladimir corse letteralmente fuori. Sigfrid fece una smorfia contrariata, mentre Alexander sussurrava: «Questo suo comportamento non promette nulla di buono».

L'Angelo ci salutò, ringraziandomi più volte per le informazioni. Cominciammo a passeggiare, sempre mano nella mano, finché non mi chiese: «Come fai a sapere tutte quelle cose sui passaggi segreti? Te le ha dette quell'Andrew?».

Molleggiai la testa, sogghignando. In quei giorni gli era diventato più facile capire le mie espressioni, perché sbuffò esasperato: «Perché non vuoi che lo sappia?».

Portai l'indice della mano libera sulle labbra.

«Quelle labbra sono mie, giù le mani», ridacchiò, avvicinandosi a darmi un casto bacio. Quando si staccò, i suoi occhi caddero su qualcosa alle mie spalle, facendolo infuriare. Mi voltai, vedendo una donna di spalle che teneva le mani ai lati del collo di Wladimir. Lui invece la teneva stretta, i polsi intrecciati dietro la schiena di lei. Si stavano indubbiamente baciando.

«È senza ritegno», ringhiò Alexander, lasciandomi la mano ed andando a spingere il padre, che preso alla sprovvista lasciò la donna per non portarla dietro con sé. «Che cazzo fai?!», chiese il ragazzo, dando un'altra spinta all'uomo. Io mi avvicinai, cercando di afferrargli un braccio per tenerlo buono, ma lui continuava a rimproverare Wladimir: «Capisco che ora sei un uomo libero, ma un po' di rispetto verso mamma dovresti ancora averlo, diamine. Trovati una tenda per farti intrattenere dalla putt...», diceva a ruota libera, ma si bloccò quando i suoi occhi caddero sulla donna che fino a poco fa era tra le braccia del padre. «Oh, ciao mamma», borbottò, grattandosi la testa e alternando lo sguardo tra i due genitori. «Siete ubriachi?».

Wladimir gli lanciò un'occhiataccia, ma Cordelia rise. «No, Xander».

«Allora quello ubriaco sono io», sospirò lui, continuando a guardarli in modo strano. Wladimir fece per dire qualcosa di poco carino, ma io afferrai di nuovo il braccio di Alexander e lo tirai, facendogli capire che non dovevamo impicciarci. Cordelia mi lanciò uno sguardo di ringraziamento, mentre l'uomo scuoteva la testa e diceva: «Il lato di guastafeste è tutta opera tua».

Lo tirai mentre lui si mordeva l'interno della guancia, confuso. «Di' un po', quanti bicchieri di vino ho bevuto?».

Scossi la mano velocemente, e questo gli fece alzare gli occhi al cielo. «Per te sono sempre troppi, femmina».

Tremai, l'equivalente di una risata senza suono, ed alzai la mano indicando il numero tre.

Lui aggrottò la fronte. «È roba bella forte». Si guardò un po' in giro e sbadigliò. «Sto morendo di sonno, andiamo a dormire?».

Annuii, facendomi condurre alla nostra tenda. Due brandine malferme erano attaccate, permettendoci di dormire vicini. Era buio all'interno, e questo aiutava a superare l'imbarazzo del dovermi togliere la maglietta ed i jeans che mi avevano procurato gli Angeli per infilarmi un vestitino semplice che arrivava appena sotto la ginocchia, che utilizzavo come pigiama.

A tentoni cercai la mia brandina, ma un grido fuori da qualche parte mi fece rabbrividire. «Ci attaccano! Alle armi!».


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