19 - Eccezione ♛
Riconobbi subito le sue labbra sul mio collo. Mugugnai, aprendo lentamente gli occhi.
«Forse non sarai incinta», sbuffò lui, «ma il tatuaggio c'è».
«Ti dico di no», dissi io, mentre le sue labbra continuavano ad essere una distrazione, esattamente sotto la clavicola sinistra, dove diceva si trovasse il fantomatico tatuaggio.
«Comincio ad odiare le felpe», disse contro il mio collo, risalendo lentamente fino all'angolo delle mie labbra.
«Ti è piaciuta la Scandinavia?», chiesi, cercando di non pensare a quei baci a fior di pelle che mi stavano facendo impazzire.
«Oh, sì. Carina. Ma c'è una cosa che non mi è andata giù di questo viaggio», rispose con voce strascicata, mentre mi tirava su di lui. I miei capelli crearono una cortina intorno alla sua testa, affondata nell'incavo del mio collo. «Un messaggio per niente cortese da parte tua».
Ridacchiai, ma ne uscì un suon strano quando la sua lingua si sostituì alle labbra. «Non intendevo offenderti».
Sovvertì i ruoli, e mi ritrovai sotto il suo corpo, mentre il suo volto ancora non si staccava dalla mia pelle. Ero un fascio di nervi, e sussultai quando sentii le sue labbra contro il mio orecchio. «Beh», alitò, «il verginello si è offeso».
«Mi dispiace», sussurrai, cercando di organizzare i pensieri mentre lui faceva scivolare le mani sotto la felpa. «Non intendevo».
«Oh, invece sì», mi accusò flebilmente, cominciando a baciarmi.
Il cuore mi stava esplodendo, e probabilmente perse un battito quando incastrò una gamba fra le mie, continuando a baciarmi come se nulla fosse. Beh, a me pareva tutto tranne che vergine, soprattutto da come non si facesse prendere dai mini infarti che avevo io, che continuavo a sussultare, irrigidirmi e poi sciogliermi.
Tirò i lembi della felpa fino alle spalle, per poi sfilarmela. «Tutto sommato questo tatuaggio non è poi la fine del mondo», borbottò, incollando le labbra dove si doveva trovare. Evitai di dirgli che non mi ricordavo proprio di averlo fatto, e poi me ne dimenticai totalmente. Infilai le mani sotto la sua maglietta, e dopo neanche due secondi era scomparsa. Le nostre labbra si ritrovarono e non si mollarono più, se non quando Alexander sussurrò: «Sei sicura?».
Per tutta risposta gli slacciai il bottone dei jeans, e notai che aveva il respiro accelerato come il mio.
Le nostre bocche si ritrovarono e si separavano solo quando uno dei due sospirava, dato che sempre più porzioni di pelle venivano scoperte ed entravano in contatto con l'altro, generando piccole ma efficaci scintille. Credo ci volle un'infinità per sfilare i miei pantaloncini, ma forse era solo la mia impazienza.
Inarcai la schiena, e lui ci infilò sotto una mano per raggiungere il gancetto del reggiseno e slacciarlo, facendo poi sparire quel pezzo di biancheria chissà dove sul pavimento.
Una sua mano raggiunse il seno, ed io rabbrividii. Tremante cercai di arrivare ai suoi boxer, ed anche lì ci volle davvero un'infinità per toglierli, vuoi per la paura, vuoi per le sue mani che mi distraevano e mi facevano sussultare ogni volta che mi ripromettevo di non scattare come una molla.
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«Non ci credo proprio al fatto della verginità», borbottai, sfiorando la sua spalla con le labbra.
«Riesci sempre a fare complimenti mettendoci qualcosa di fastidioso», sbuffò lui, intercettando le mie labbra con le sue. «Tipo questo tatuaggio».
«Fammelo vedere, io proprio non ricordo di essermelo fatto», dissi, liberandomi dalle coperte e facendo per tirarmi su, ma le sue braccia mi impedirono di sgusciare via.
«Non ti fidi?», chiese mentre il suo naso mi sfiorava la colonna vertebrale.
«No», ridacchiai, scivolando via dalla sua stretta e fiondandomi in bagno.
Mi osservai di fronte allo specchio, completamente nuda. Avevo una parte del collo arrossato, lì dove Alexander mi aveva morso un paio di volte, i capelli arruffati e le labbra gonfie. Esattamente sotto la clavicola sinistra, come a seguire il percorso dell'osso, una parola scritta in corsivo leggero era facilmente visibile data la mia carnagione chiara.
Alexander.
Arrossii violentemente, e più mi guardavo allo specchio più diventavo un peperone. Davvero non ricordavo di essermelo fatto, molto probabilmente io, Francis e Taddeus eravamo usciti quando George era tornato al negozio. Quello sciroppo modificato era una bomba, e davvero mi trovai di nuovo a sentirmi il personaggio di un film. Non lo avrei toccato neanche più con lo sguardo, quel liquido maledetto.
Tornai in camera ancora un po' sottosopra, e notai Alexander sdraiato di schiena. Aveva le braccia dietro la testa, e questo metteva in tensione i bicipiti, ed il lenzuolo gli copriva la pancia, nascondendo la cicatrice rosata che gli attraversava il ventre. Sovrappensiero mi osservai gli avambracci senza farmi notare, trovando anche lì due striscioline irregolari che partivano dai gomiti e finivano nei polsi.
Non ero mai stata credente, ma ringraziai chiunque fosse lassù per non avermi fatto morire, per avermi fatto conoscere lui, per avermi permesso di passare momenti indimenticabili come quelli appena trascorsi.
«Allora?», chiese il Principe, inarcando un sopracciglio. «Ho detto una bugia?».
«Sì, che eri vergine», risi, mentre tornavo accanto a lui, posando la testa sul suo petto.
Un pizzico al fianco mi fece sussultare, mentre lui mi lanciava un'occhiata divertita per la mia reazione. «Suppongo ci sia solo un modo per eliminare questa storia».
«Non ci hai già pensato?», chiesi, mentre lui si avvicinava e tornava a posare le labbra sul mio tatuaggio, come se fossero calamite di cariche opposte.
«Io direi che per essere sicuri...».
Qualcuno bussò alla porta. Alexander sbuffò, cercando di ignorare le nocche insistenti, ma la voce di Ludovice si sentì dal corridoio. «Xander, tesoro, ma hai intenzione di dormire tutto il giorno?».
A quanto pare l'ex Imperatrice era tornata, e dalla sua voce non sembrava essere ancora addolorata per Edmund. «Sì, dormire», sghignazzò il Principe. «Dici che se le urlo che stiamo provvedendo ad un nipotino ci lascia stare?».
Boccheggiai, presa alla sprovvista dalle sue parole. Lui rise vedendomi rossa, e rispose alla nonna: «Altri cinque minuti!».
«Hai intenzione di sbrigartela in cinque minuti?», chiesi divertita, cercando di apparire offesa.
Mi lanciò un'occhiataccia, ma poi trasalì. «La porta è chiusa a chiave?».
«Merda!», esclamai, e senza pensarci sfrecciai verso la porticina dietro la tenda – quella che conduceva alla mia stanza. Neanche a farlo apposta, Ludovice entrò e si lamentò con Alexander di essere sempre così pigro, per poi sottolineare il disordine della sua stanza. Sentivo la sua voce lontana, oltre la porta e la tenda.
«Dovresti mettere un po' a posto», lo rimproverò, e per fortuna i miei vestiti sparsi per il pavimento erano da uomo, o la mia presenza sarebbe stata evidente. «Tirati su, forza», continuava a dire.
Presi un respiro profondo e cominciai a vestirmi dopo una doccia calda. Optai per una maglietta non troppo aderente, ma poi ci ripensai; il danno era già stato fatto, e non potevo nascondere quel tatuaggio per sempre.
Dopo qualche minuto Ludovice venne a bussare anche alla mia porta. «Victoria, sei sveglia?».
Le aprii subito, dato che ormai ero pronta. Mi guardò sorridente, esclamando: «Oh, non sei pigra come mio nipote. Conto che ci penserai tu a buttarlo giù dal letto quando comincia ad essere tardi».
Ridacchiai, temendo che quello che avessimo fatto mi si leggesse in faccia, e la feci entrare. «È bello rivederti», confessai, e lei mi mostrò l'espressione più dolce che le sue fossette potessero offrire.
«Ci sono due matrimoni da organizzare!», replicò giuliva. «Ed un nipotino in arrivo!». Batté le mani come una bambina contenta, e la sua felicità mi contagiò. E dire che di felicità ne avevo avuta un bel po' quella mattina.
«Ti serve una mano?», mi offrii. Mi sentivo di volerla aiutare, nonostante la sua esuberanza era una sola donna alle prese con il matrimonio dell'Imperatore e poi quello del Principe.
«Oh, no, tesoro», rise, scuotendo la testa ed agitando i corti capelli neri. «Li organizzerò insieme per comodità, e tu sbirceresti sicuramente. Ormai le nozze che ti avevo organizzato le hai viste, c'è bisogno di qualcosa di nuovo».
Qualcuno bussò alla porta, e Ludovice aprì esuberante. Alexander sbadigliò teatralmente, rivolgendomi uno sguardo complice. «Buongiorno».
«Buongiorno», risposi con un sorriso tirato. Ormai anche solo vederlo dava il fischio d'inizio alla maratona, alla quale il mio cuore cercava sempre di arrivare primo.
«Vogliate scusarmi», disse la donna, «ma tra cinque giorni Wladimir e Cordelia si sposano e devo ancora chiamare per i fiori». Diede un bacio sulla guancia al nipote e si defilò.
Alexander fece per dire qualcosa, ma poi scosse la testa notando la mia maglietta. «Guarda che non mi aiuti così».
Ridacchiai, ma prima che potessi rispondere un servo corse trafelato e diede un cellulare al Principe.
Rispose un po' confuso, probabilmente non si aspettava una chiamata. Parlava a monosillabi, e più la conversazione avanzava, più sembrava infastidito. «Sì, è una buona idea, ma non possiamo cominciare dalla prossima generazione? Non mi va, sono appena tornato e mi devo sposare. Sì, sì, lo capisco che dopo sarebbe peggio, ma caspita, un po' di tempo con la mia fidanzata vorrei passarlo», sbuffò, lanciandomi qualche occhiata tra il divertito ed il malizioso. «Non possiamo fare con qualche nobile? Sì, ti ho detto, lo so che voi non avete Casate, ma tre al prezzo di uno... certo tre, i Bloodwood sono sparsi tra le Corti per migliore garanzia di fedeltà, non te lo ha detto mio padre? Qui ci siamo solo noi e qualche cugino o zio sporadico», roteò gli occhi. «Allora se proprio devo viene anche lei», e non servì neanche continuare a fissarmi per capire che si stava riferendo a me. «E ti sembra colpa mia se tuo figlio non ha ancora una ragazza? Ne parlerò con mio padre quando sarà dell'umore, e lui non lo è mai». Chiuse la chiamata prima di aspettare una risposta.
Lo guardai interrogativa, e lui sbuffò sonoramente. «Hai presente quando ti ho detto che non sarei più partito senza di te? Devo fare un'eccezione».
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