Extra

Come promesso, ecco a voi il capitolo extra, scritto dal punto di vista di Alexander.

Ditemi che ne pensate, è il primo POV che pubblico di un personaggio diverso dalla protagonista ^^

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Era sempre colpa di mio padre.

Era arrivato in camera mia senza neanche rispettare la mia privacy, e mi aveva fatto: «Xander, prepara una o due valigie. Ci trasferiamo per un po'».

E poiché sono di cattivissimo umore di prima mattina, risposi con un: «Come ti pare», sperando di tornare a dormire, cosa che non accadde visto che papà mi rubò il cuscino, facendomi sbattere la testa contro la testiera.

«Intendevo ora», precisò lui, mollando il mio adorato guanciale su una poltroncina, troppo lontano perché potessi afferrarlo senza alzarmi.

Lanciai uno sguardo alla radiosveglia sul comodino. «Sono le undici, non potevi passare un po' più tardi?», sbuffai, chiudendo gli occhi per non dargliela vinta.

«Avresti preferito che venissi per l'ora del tè?». Conoscevo quel tono, così simile al mio. Mi stava bellamente schernendo, ed io non potevo far altro se non imitarlo, cercando di spuntarla.

«Senza zucchero, grazie», risposi con cortesia, tirandomi su le coperte fino alla testa ed estraniandomi dal mondo che si svegliava sempre troppo presto.

«Giuro che se non ti alzi immediatamente passo l'eredità a Gideon», ringhiò.

«Salutalo da parte mia, quando verrà a firmare le carte». Non avevo intenzione di perdere, per di più alle undici del mattino.

«Forza, tirati su e vai a dire a tua madre che partiamo», continuò autoritario.

«Vacci a parlare tu, secondo quello che ho visto ieri dopo cena con la lingua ci sai fare», risposi velenoso. Dio, lo odiavo quando dava spettacolo con la sua amante, per di più quando era presente mamma. Non capiva che la faceva soffrire? Non sapevo cosa fosse accaduto fra di loro, e per quanto lei cercasse sempre di apparire fredda, sapevo che era sensibile. Era evidente, mi aveva cresciuto nell'affetto più puro e sapevo quanto fosse delicata, attenta ad ogni mio nuovo passo verso la crescita. Peccato che poi ero diventato quasi come mio padre, nonostante cercassi di darmi un contegno per amor suo.

Alla fine era più facile trattare le donne come sottoposte, ed a molte di loro piaceva, come Gwendolin.

«Cazzo, Gwendolin!», sbuffai, facendo ridere mio padre che era rimasto in silenzio dopo la mia battuta acida. Come glielo avrei detto che partivo?

«Parlando di lingue...», riprese lui.

Mi tirai su, ormai esasperato. Anche se se ne fosse andato, non sarei più riuscito ad addormentarmi. Mi stiracchiai sbadigliando e dissi: «Avrò pure una tresca con lei, ma io non sono sposato».

«Formalità», divagò lui, muovendo una mano come a scacciare quell'argomento.

«Quindi hai sposato mamma solo perché era incinta di me, per formalità?». I suoi occhi si fecero taglienti, e mi morsi quella dannata lingua. Possibile che non riuscissi a pensare prima di parlare?

Insomma, mi toccò vestirmi ed andare ad avvisare mamma. La valigia la fece un servo, come era giusto che fosse, e la mise nella limousine che doveva portarci in una città degli Umani. Ma io dico, già era noiosissimo andare in un centro di comando estero, figurarci in un insediamento di idioti che si mettevano pure a declamare quanto fossero progrediti, quando poi si bruciavano il cervello davanti ad uno schermo.

Quando il giorno dopo la limousine mi lasciò davanti ad un edificio decadente e grigio, sbuffai: «Scuola, sul serio? Che ti ho fatto di male?», ma lui non aveva voluto sentire scuse.

«Sei già iscritto, vai in segreteria e fatti dare l'orario delle lezioni», rispose per poi alzare il finestrino e lasciarmi lì. Prima che il vetro chiudesse la visuale nella limousine, mamma mi fece un timido sorriso di incoraggiamento, e probabilmente fu quello che mi impedì di mandare tutto al diavolo e marinare. Voleva che mi conformassi? Un bel po' di adolescenti saltavano scuola, stavo solo seguendo il suo ordine.

Sbuffai e decisi a fare un tentativo. Se non fosse andato bene, me ne sarei andato.

Il cortile era vuoto, eccetto per una figura su una panchina. Non aveva nulla di particolare, ma il dettaglio che poteva venire a mio favore era ben evidente. Capelli neri mossi, carnagione diafana, aveva la testa china su un libro di scuola.

«Tu, femmina», la chiamai svogliato.

Lei si voltò e mi squadrò con i suoi occhi neri. Possibile che fosse una Demone? Strinse le labbra e sbottò un «Che cazzo vuoi?».

Era una giornataccia e se ci si metteva pure lei, avremmo chiuso in bellezza. Stavo per farle capire che non poteva rivolgersi a me così, dato che dall'odore che ero riuscito a catturare sul suo collo era chiaro che fosse una Demone, quando il preside intervenne e mise fine al divertimento.

Non so cosa mi prese, quando la vidi alla biblioteca o a casa di sua madre. Semplicemente, mi pareva più... cosa? Sicura di sé?

Era una Demone e mi aveva tenuto testa. Forse non conosceva la nostra gerarchia, ma continuava a tenere il mento alto, come a sfidare il mondo perché sapeva che avrebbe vinto. E in quella ragazza rividi me stesso, quel me stesso che sarebbe emerso se mio padre non mi avesse sempre rotto le scatole. Una volta eravamo complici, ma ora eravamo troppo simili per andare d'accordo. E sapere che per molti aspetti ero come lui non mi rassicurava affatto, anzi. Avrei fatto anche io soffrire la mia donna? Speravo ardentemente di no. E c'era un solo modo per evitarlo: niente relazioni serie.

Certo, teoricamente stavo con Gwendolin, ma avevo messo ben in chiaro che non volevo nulla di impegnativo. Mio padre avrebbe potuto organizzarmi un matrimonio politico, e non me ne sarebbe importato. Non avrei fatto la sua fine, assolutamente.

Ma proteggere quella ragazza, prima dalla pioggia e poi dalle ire della madre, non mi era parso un atto di pietà, ma di cameratismo, per quanto avesse sempre gli artigli esposti e pronti a tagliare. Anche io, in quella situazione, avrei fatto lo stesso.

E poi era successo l'inizio di tutti i casini. Mi aveva morso, in preda all'ira, mentre io mi sentivo offeso dato che non avevo mai preparato una camomilla in vita mia e lei l'aveva rifiutata. Chi mai rifiutava qualcosa al Principe? Neanche mia madre.

Per ripicca, l'avevo morsa anche io, ed il suo sangue era la cosa più dolce che avessi mai assaggiato. Stavo cercando un modo per dirlo ai miei, per chiedere consiglio, quando una di quelle notti la casa della ragazza andò a fuoco. E mio padre si era maledettamente intestardito con lei, non so per quale grande avvenimento accaduto nel passato. Ma io dico, perché i figli devono pagare per le colpe dei genitori? Perché metterli in mezzo? Ero piuttosto sensibile al problema, dato che percepivo distintamente la freddezza tra i miei genitori, e sapevo bene come doveva sentirsi quella ragazza.

Si trasferì da noi a Palazzo, e mio padre le diede pure una stanza nella nostra ala, tanto che quanto lo seppe Gwendolin si infastidì.

I giorni passavano, ed io continuavo a pensare sempre più a quella ragazza fuori luogo, finché alla fine mi accorsi che mi ero innamorato di lei. Non so spiegare come accadde, semplicemente ora tutto pareva secondario. Se qualcuno mi avesse chiesto cosa fosse l'amore, io avrei risposto "Victoria".

E poi, quel nome. Avrei potuto ripeterlo per ore, senza stancarmi. "Vittoria" in latino, e lei sembrava davvero non voler perdere mai, e io non mi sentivo intimorito, ma anzi volevo starle al fianco e vincere con lei. Non so cosa mi fermò dall'ammazzare di botte quell'Augustus, quando poi ero stato io ad insistere per farli mettere insieme ed insabbiare tutto.

Gwendolin più volte mi aveva fatto capire che si sentisse minacciata, ed io sapevo che non sarebbe andata a finire bene quella situazione, perciò ogni volta che quella ragazza superficiale si presentava, utilizzavo la distrazione per non pensare alla ragazza con cui, invece, avrei passato volentieri tutto il mio tempo.

Ma quando poi si tolse la maschera, a quella pagliacciata organizzata da mio padre per compiacere quella putt... zia Mildred, facendomi capire che l'avevo totalmente confusa con Gwendolin, capii il mio errore.

Avevo già chiesto a lei di essere la mia Imperatrice perché una relazione con Victoria sarebbe stato un problema, e volevo tenerla lontana da tutto quel rancore ed odio che si serbava a Palazzo. Ma non appena avevo visto il suo sguardo ferito, mi ero dato dell'idiota.

Si chiuse nei miei confronti, estraniandomi e non permettendomi di vederla, senza comprendere che così mi faceva molto più male di quanto mi trattava da schifo. Era così distante, ormai, che quando trovarono Gwendolin morta, non rispose alle mie insinuazioni. Se solo avesse aperto bocca, se anche mi avesse urlato contro, mi sarei schierato dalla sua parte e l'avrei difesa anche se fosse stata colpevole, nonostante in cuor mio sapessi che non era capace di simili azioni. Ma tacque, e questo non fece che girare il coltello nella piaga: l'avevo persa.

E se forse vi era stata una piccola speranza di riconciliazione, il mio cuore smise definitivamente di battere quando mia madre, relegata in una misera cella per ordine di quel dannato di mio padre, mi comunicò che era stata spodestata per lasciare spazio a Victoria.

Quell'unica affermazione smontò tutte le mie certezze. Mi ero innamorato di un'ombra, di una persona che in realtà non era chi pensavo fosse. La Victoria testarda ed orgogliosa non c'era, rappresentava la maschera di una Victoria subdola e per nulla diversa da zia Mildred.

Eccolo lì, il grande e decantato amore: un'illusione, esattamente come la Victoria che occupava il mio cuore.

Ma stavolta non mi sarei fatto prendere in giro. Stavolta, non desideravo essere al suo fianco per vincere insieme: io avrei vinto, e lei perso.

E dopo tutto quello, una sola era sempre la certezza insormontabile.

Era sempre colpa di mio padre.


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