3 - Piani
Non mi guardò neppure in faccia, mentre entrava e chiudeva la porta. «Questa situazione non piace a me quanto a te», esordì. Si guardò un po' intorno: non pareva per nulla incuriosito, segno che sicuramente era già stato in questa stanza prima. Si avvicinò alla cassettiera ed aprì il quinto cassetto, sostenendo la mia teoria che l'ambiente non gli fosse nuovo. Fece qualche passo verso di me, con in mano due boccette di vetro ed un pugnale intarsiato di rubini. Le pietre scintillavano pigramente sull'impugnatura nera.
Senza troppi preamboli aprì una boccetta e si recise il polso, ignorandomi completamente. Le goccioline cominciarono a cadere nelle pareti di vetro, le quali si coloravano lentamente di sfumature scarlatte. Osservai quel lento flusso come ipnotizzata, resistendo all'impulso di saltare addosso ad Alexander e leccargli la ferita.
Ero così presa da quella visione, come un assetato che vede in lontananza un'oasi, che non mi accorsi che il ragazzo mi aveva porto il pugnale finché non si schiarì la gola. Sbattei le palpebre, imbambolata, e gli lanciai un'occhiata interrogativa, prima di capire che avrei dovuto fare lo stesso con l'altra boccetta.
Lui non mi guardò neanche un secondo, ma quando la mia pelle si tagliò per permettere al sangue di uscire e riempire quel contenitore trasparente, i suoi occhi saettarono alla ferita. La fissava senza neanche sbattere gli occhi, stessa reazione che avevo avuto io poco prima. Il suo sguardo, così intenso su di me dopo due mesi di freddo distaccamento, mi fecero tentennare, tanto che mossi il polso e le gocce bagnarono il tavolinetto dove si stava svolgendo quell'inquietante baratto.
Alexander mi anticipò e catturò quelle macchioline scure, livide contro il legno di mogano, con le sue dita, che portò subito alle labbra. Dopo aver assaggiato il mio sangue, i suoi occhi si spostarono su di me. Aveva una luce famelica nello sguardo, e solo sapere che avrebbe potuto dissanguarmi seduta stante e non me ne sarebbe importato nulla mi fece battere il cuore all'impazzata.
Mi costrinsi a fare un passo indietro, cercando una distrazione da lui. Incontrarlo solo per caso nel corridoio era un supplizio, visto che buona parte dei miei neuroni si erano tatuati sopra il suo nome. Ogni volta che ci incrociavamo, lui mi ignorava bellamente, tanto da portarmi a desiderare di non imbattermi più in lui. Cercando di non creare altri casini, mi recisi nuovamente il polso – visto che la mia natura di Demone vantava una ripresa velocissima – e prestai molta più attenzione di quanta ne servisse per riempire la boccetta fino all'orlo.
Lui non disse nulla, si limitò ad andare in bagno e sciacquare il pugnale, per poi afferrare la boccetta che avevo appena reso piena e tapparla. Non si degnò neanche di salutare ed uscì.
Ci rimasi un po' male, eravamo arrivati a quel punto dove non si usano neanche le frasi di circostanza, i fondamenti della cortesia? Da quando avevo sposato suo padre, era diventato al pari di una statua nei miei confronti, ed il primo contatto voluto era quello di poco prima.
Senza perdere tempo, afferrai la boccetta e la buttai giù. Mi era mancato sul serio il suo sangue, il suo sapore amaro ma gradevole. Denso, calmò i bruciori della gola e mi rilassò completamente. Quando riuscii anche a catturare l'ultima goccia, le pareti di vetro erano colorate di un rosa piuttosto intenso. Andai a sciacquarle controvoglia. Avere quel ricordo in stanza non mi pareva il caso, soprattutto perché la boccetta emanava il suo profumo. Tenere qualcosa di lui accanto, dopo quella distanza forzata, non era ciò che desideravo.
Riposi anche la boccetta nel quinto cassetto e cercai qualcosa con cui distrarmi. Prima che potessi anche solo analizzare le mie opzioni, un servo bussò alla mia porta, e pochi istanti dopo la aprì.
«Buongiorno, Borges», lo salutai. Chiamarli direttamente li faceva sentire più a loro agio, ed in poco tempo ero riuscita a imparare i nomi di tutta la servitù.
«L'Imperatore vi vuole nella sala comune», annunciò lui, per poi defilarsi, di fretta.
Sbuffai. Ci eravamo visti poco prima, non poteva dirmi ciò che voleva nella stanza delle strategie? Ah, no, i suoi pensieri erano gravitati ad altro, dopo i nostri discorsi. Chissà se aveva risolto con Mildred. Non avevo intenzione di chiederglielo, impicciandomi dei suoi affari sentimentali. Io ero un'alleata strategica, non amorosa.
La sala comune era facilmente raggiungibile dall'ala dei Bloodwood, più di quanto non fosse dalle altre. Scesi le eleganti scale ed entrai, per poi avvicinarmi al trono. Wladimir era seduto sul suo, e pareva pensieroso. Mi fece segno di arrestarmi, segno che voleva parlarmi e che non era il caso che occupassi il mio posto accanto a lui. Alzai un sopracciglio e lui scosse la testa: ormai eravamo in sintonia. Mi stava dicendo che dovevo pazientare ancora un po'. Poco dopo i grandi battenti lignei della porta si mossero nuovamente, ed Alexander fece il suo ingresso. Pareva piuttosto infastidito di vedermi lì, ma non potei non notare come la sua carnagione pallida fosse più colorita, segno che aveva bevuto il mio sangue. Si arrestò accanto a me, tenendo comunque delle ampie distanze.
«Ho deciso di comunicarvelo solo ora perché la decisione è stata piuttosto frettolosa. Come Imperatrice e Principe», e qui Alexander fece una smorfia, «siete coloro che detengono il potere dopo di me. Visto che ho intenzione di prendermi una bella vacanza, dopo quasi due decenni di comando, sarete voi a dirigere l'Impero fino al mio ritorno».
Gli lanciai un'occhiata contrariata. Non avevamo forse detto che tutte le decisioni sarebbero state prese insieme? Ed ora mi abbandonava per andarsela a spassare chissà dove, mollando alla sua neo Imperatrice il peso del suo Regno?
«Padre, che significa?», chiese Alexander, dando voce ai miei pensieri. Lo osservai, era piuttosto teso e teneva i pugni stretti.
«Niente discussioni», disse l'uomo, alzandosi e scendendo dall'area più elevata dove si trovavano i tre troni. Passò nello spazio tra i nostri corpi ed uscì come se ci avesse appena annunciato che voleva un cono gelato.
Cominciammo a rincorrerlo, tempestandolo di ragioni per cui non poteva lasciarci da soli a gestire un mondo di Demoni.
«E' impossibile, Victoria non è capace di decidere che vestito mettersi, figuriamoci guidare un esercito!».
«Alexander è troppo immaturo, non ha mai parlato di strategie con te!».
«Victoria è troppo manipolabile!».
«Alexander è troppo preso dalle sue oche che gli girano intorno!».
«Victoria metterebbe se stessa davanti a tutto!».
«Alexander farebbe i suoi bei comodi finché non ci porterà alla rovina!».
«È UNA FEMMINA, DANNAZIONE!», sbraitò alla fine il Principe, facendomi zittire ed arrestando la camminata tranquilla di Wladimir. Ne avevamo dette di tutti i colori l'uno all'indirizzo dell'altro, ma quest'ultima affermazione mi ferì. Mi ero dimenticata quanto potesse essere misogina questa società, visto che Wladimir non si era mai comportato come un superiore dal nostro matrimonio.
L'Imperatore mi lanciò un'occhiata curiosa, per vedere perché non avessi risposto per i toni al figlio. Mi morsi l'interno della guancia e spostai lo sguardo verso il pavimento. Non volevo mostrargli ciò che i miei occhi avrebbero rivelato, e poi era una questione di principio: lui non mi aveva messo al corrente dei suoi piani!
Ci indicò con un gesto della mano. «Vedete? Siete già d'accordo su una cosa. È un buon inizio».
Dio, quanto era testardo! Senza aggiungere altro, mi voltai e mi avviai verso la mia stanza. Chiusi la porta a chiave e mi congratulai con me stessa: avevo permesso alle lacrime di uscire solo quando il mio volto non era visibile a nessuno dei due.
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