14 - Trono
Non sapevo cosa fosse preso alla donna. Forse gratitudine per non aver fatto nulla con Wladimir? Ma poi, dopo diciassette anni di tradimenti con Mildred, ne rimaneva ancora scottata?
«Questa vostra coalizione non mi piace per nulla», si lamentò Alexander, mentre io gli allungavo il phon.
«Le lagne non asciugano i capelli», rimbeccai, ridacchiando.
Mi lanciò un'occhiataccia, per poi attaccare la spina e cominciare ad asciugarsi. Io intanto mi sciacquavo il volto e mi legavo i capelli in una treccia improvvisata. Dopo qualche minuto, si chinò verso di me, porgendomi la testa.
«Allora mamma, vanno bene così?», chiese, marcando troppo il tono da bambino.
Gli passai le mani fra i capelli, molto più di quanto servisse. «Dietro le orecchie».
«Basta, sono stanco», disse lui, staccando la spina e riponendo il phon nel mobiletto accanto allo specchio.
Non insistetti più di tanto, sicuramente non vedeva l'ora di tornare a vegliare il padre. Annuii, lasciando che mi sfilasse davanti e che uscisse. Mentre era per il corridoio lo chiamai. «Qual è la mia stanza?», chiesi, sperando in un pisolino. La mia presenza vicino a Wladimir non sarebbe servita, anzi, avrebbe lasciato intendere troppo ad occhi estranei.
Alexander aggrottò la fronte. «Quella», rispose, indicando la propria camera.
Non provai neppure a protestare. Sbadigliai, chiusi la porta e mi buttai sul letto.
Qualcuno bussò. Ma si può avere un momento di pace in questo Palazzo?
Di fronte a me stava una ragazza formosa. Ci misi un po' a riconoscerla: Adelaide, la ragazza che mi aveva fermato davanti alla mia stanza nell'ala Silentowl, minacciando di rendere la mia vita un inferno se non avessi sciolto il fidanzato con Augustus.
«Alexander non c'è», dissi, cercando di non apparire troppo fredda. Non mi piaceva.
Lei scosse la testa, sorridendo cordiale. «Cercavo voi».
Alzai un sopracciglio, in attesa. Per le minacce usava il tu, e quando le serviva qualcosa il voi?
Lei si tormentava le mani e guardava in basso. Cominciò a parlare velocemente, tanto che dovetti sforzarmi per capirla. Sembrava essere a disagio, ed una parte di me non riuscì a biasimarla: anche io mi sarei sentita uno schifo, dopo quello che aveva fatto. «Non mi sono mai scusata per il comportamento che ho avuto con voi appena arrivata a Palazzo. So di aver sbagliato, e vorrei rimediare in qualche modo».
Che le avrei detto? Che al momento volevo farmi uno di quei sonnellini epici? Sospirai silenziosamente e le sorrisi, era riuscita ad ammettere il proprio errore, e non ero capace di portare rancore, per di più per qualcosa che non mi aveva mai davvero toccato: una relazione con Augustus per l'eternità. «Davvero, non fa nulla. Le tue scuse sono sufficienti».
«Vorrei ripagarti in qualche modo del torto subito. Un gelato, magari?», chiese, speranzosa.
Non c'è nulla da fare. Quando vuoi dormire fuori orario, il mondo cospira contro di te.
Annuii, sconfitta, e il suo volto si illuminò. Non volevo smontarle l'euforia, dato che aveva avuto il coraggio di venire fin davanti la camera di Alexander per mettere apposto le cose. «Conosco una gelateria appena fuori le mura che è davvero ottima», annunciò.
«Fuori le mura?», chiesi, titubante. Non ero mai uscita, e per quanto tutti mi conoscessero - chi come futura Imperatrice, chi come vecchia - mi sembrava insensibile andarmi a prendere un gelato mentre dall'altra parte del corridoio Cordelia ed Alexander erano in pensiero per Wladimir.
Lei non si accorse della mia esitazione. Sorrise, incoraggiante. «Il pistacchio è sublime».
Restare lì o fare una passeggiata non avrebbe cambiato la situazione, ed io mi accorsi che avevo sul serio bisogno di staccare un po' da quell'ambiente sempre così serio e tragico. Chiusi la porta alle mie spalle, seguendola per il corridoio. La porta di Wladimir era chiusa, e non mi pareva il caso disturbare per avvisare Alexander che stavo uscendo. Dopotutto, ero indipendente e si trattava di un gelato, non un trip per Las Vegas.
Attraversammo qualche ala per poi ritrovarci sotto il sole che tramontava. Con passo tranquillo ci dirigemmo fuori le mura, mentre lei mi raccontava di come si stesse per sposare con Augustus. Le augurai buona fortuna, ed una lunga e felice vita insieme. Cercai di dimenticare le sue minacce, dopotutto tutti sbagliamo, ma non tutti abbiamo la fortuna di trovare qualcuno che ci perdoni.
«Anche a te», rispose contenta, abbandonando il "voi" con non-chalance. «So che stai per sposare Alexander, il primo Imperatore a salire al trono senza una moglie».
Per poco, pensai fra me e me, trattenendomi dal sorridere.
«Saranno le nozze del millennio», disse giuliva. «Il primo Imperatore celibe maritato con la prima Imperatrice a rivestire tale carica per due generazioni».
Beh, in effetti non ci avevo mai pensato... Mi chiesi quanto mancasse a quella famosa gelateria, visto che continuavamo a girare per la città senza orientamento. Alla fine ci ritrovammo in un vicolo senza uscita, e feci un passo indietro, tirando Adelaide per il braccio.
«Abbiamo sbagliato strada», dissi con ovvietà, cercando di spingerla a tornare indietro. Un brutto presentimento cominciò a farsi strada nella mia mente.
«Oh no, è questa», mi rassicurò, tornando a sorridere.
Aprii la bocca per rispondere, quando un dolore lancinante esplose nella mia nuca.
******
Mi risvegliai su un letto scomodissimo. Provai a tirarmi su ma la testa vorticava troppo. Una forte nausea cominciò a stringermi le viscere, impedendomi di pensare in modo lucido.
«Come state, Vostra Altezza?», chiese una voce fuori dalla mia visuale. Mi voltai troppo velocemente, e se fossi stata in piedi sarei sicuramente caduta a terra. Il ragazzo di fronte a me era nella media, con capelli scuri tagliati cortissimi ed occhi piccoli e vigili.
«Tu sei un Silentowl», borbottai, sperando di non vomitare. Lo conoscevo di vista, ma non riuscii ad arrivare al suo nome.
Sorrise, ma non era di certo una smorfia felice. «Sono della prossima Casata che dovrà salire al trono. E voi siete d'impiccio», spiegò senza mezzi termini.
Ci volle un po' a fare due più due, con quel mal di testa. «Cosa vi fa pensare che Alexander sposi una di voi?».
«Con la sua fidanzata fuori dai piedi, ed un popolo che reclama un erede, ci metterà poco a cambiare idea».
Il discorso non faceva una piega, maledizione. Per quanto Alexander tenesse a me, non poteva sacrificare tutto, per di più se sparivo nel nulla. La vocina nella mia testa cominciò a darmi dell'idiota per essermi fidata.«E cosa ci faccio ancora viva?».
Una seconda voce emerse dall'oscurità, rivelando la presenza di un altro ospite. «È colpa mia, in realtà», spiegò Adelaide, fissandomi quasi famelica. «Ti ho promesso una vita d'inferno, e l'ho fatto. Peccato che tu sia corsa da Wladimir Bloodwood come una donzella in pericolo».
La nausea tornò insistente. «Tu... tu hai ucciso Gwendolin...», mi sentivo una stupida con quel tono così infantile. Sembravo essere caduta dalle nuvole - ed effettivamente era così; e cadendo avevo dato pure una bella botta in testa.
Lei affilò il sorriso. «Non sarà l'ultima Blackeye che ucciderò. A lei è andata di lusso, con il veleno. Ma stavolta ho idee più fantasiose».
«Torture medievali?», chiesi, cercando un dialogo per distrarmi dal mal di testa e dalla voglia di strangolarla, anche se non volevo scoprirlo. Quelle mie stesse parole non fecero che terrificarmi più di quanto già non fossi: conoscevo a grandi linee quelle pratiche antiche, ed erano dolorosissime.
«Non sono una rozza volgarotta e non siamo in Saw. Il dolore non è soltanto fisico», rise, facendo allusioni che non colsi, a causa del mal di testa e del panico.
Quando la consapevolezza si fece strada in me, e la cosa più utile che riuscìa fare fu sporgermi dalla sponda del letto e vomitare. Fantastico.
«Cominciamo bene», ridacchiò il Silentowl accanto ad Adelaide. «Se adesso reagisce così, figurati quando uccideremo le persone a lei care».
Risi, senza gioia. C'era qualcosa che non avevano considerato, alla fine.«C'è solo una persona che mi sta a cuore, e non potete ucciderla se volete il trono».
«E cosa ti fa pensare che non ce ne sbarazzeremo una volta preso il potere?», chiese uno dei due, ma non capii chi, perché le mie viscere erano troppo impegnate ad attorcigliarsi come cuffiette in una tasca.
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