12 - Perdonami, se puoi

Qualcosa di morbido ed umido sulla spalla. Mi girai, infastidita, dando le spalle alla finestra.

Qualcosa di morbido ed umido sulla schiena. Uffa, ma che diavolo era?

Aprii gli occhi, trovandomi Alexander sdraiato accanto. I capelli sparsi sul cuscino, ed i suoi occhi divertiti su di me. «Buongiorno».

«Non molli proprio, eh?», chiesi, cercando di nascondermi con le coperte, e sorvolando sul fatto che avesse fatto irruzione nella mia stanza e che se ne stesse tranquillamente sul letto come se fosse una cosa normale.

«Te l'ho detto: non ripeto lo stesso errore due volte. Ma prima», disse, alzando un dito in muta richiesta di aspettare, e si girò a prendere qualcosa sul comodino. «Buon compleanno».

Guardai quel tortino bianco, che sicuramente non avrebbe retto, bombardato da diciassette candeline rosse. Rivolsi uno sguardo ad Alexander, che mi fissava divertito per la mia espressione.

Non pensavo se ne fosse ricordato. Mi ero immaginata un pasto un po' più sostanzioso da sola, magari al ristorante, oppure semplicemente far finta che non fosse un giorno da festeggiare.

«Ehi», disse lui, lasciando il tortino sul comodino ed asciugando le mie lacrime. «Non mi aspettavo questa reazione».

Tirai su il naso, scuotendo la testa e cercando di fargli un sorriso. «È solo che non pensavo di festeggiarlo».

«Beh, è un peccato, perché la Mia Maestà ha deciso di organizzare una festa per questa occasione. Perciò vestiti, prendi la tua roba, mordi il tortino e sali in macchina», disse tranquillo, tirandosi su ed offrendomi una mano.

Eccolo, quello sguardo che avevo cercato di evitare prima di partire. Quello che mi avrebbe dissuaso dall'andarmene, che ora mi convinceva subdolamente a tornare. Se sapeva l'effetto che faceva su di me, stava ben attento a non mostrarlo.

Sbuffai, assecondandolo, mentre lui si lasciava andare ad un sorriso mozzafiato, mostrando delle fossette sulle guance. Non le avevo mai viste, e sicuramente perché era rarissimo vederlo sorridere così. Illegale, ecco.

Andai in bagno e mi feci una doccia. La festa non mi esaltava di certo, ma avevo appena scoperto che era difficilissimo dire di no ad Alexander, e che dire di sì era maledettamente bello. Avrei dovuto mettere in chiaro le cose fra noi, ma ne avevo tutto il tempo. Volevo godermi questa giornata, in cui sarei stata libera, senza nessun fidanzamento forzato. Ero già stata sposata, ero libera di vivere la mia eternità come meglio mi pareva, senza più preoccuparmi di essere impegnata per la maggiore età.

Scelsi un vestito un po' troppo elegante, forse, ma stavo tornando a Palazzo, per di più con l'Imperatore in persona. Non potevo limitarmi a dei jeans.

Quando vide cosa indossavo, Alexander scosse la testa. «Quale parte di "non provocarmi" non ti è chiara?», chiese, facendomi arrossire.

In modo molto galante mi offrì il braccio, ed io mi sentii come una dama di altri tempi. Feci per fermarmi alla reception per pagare, ma Alexander scosse la testa, lasciandomi intendere che ci aveva già pensato lui.

«Perché non ti fai ripagare?», chiesi esasperata per le centesima volta, riferendomi sia al motel che alla cena al ristorante, mentre la limousine svoltava e si dirigeva al parcheggio del Palazzo.

«Promettimi di sorridere per tutto il tempo, e sarò pienamente rimborsato», rispose. Ma era conscio del fatto che frasi del genere mi destabilizzassero così tanto? A quanto pare sì, data l'occhiata divertita che mi lanciò.

«Tutti i nobili che conosco sicuramente mi rideranno dietro per la mia abdicazione forzata», mormorai, guardando in basso. Nei quasi tre mesi di matrimonio con Wladimir ero entrata in contatto con molte persone della Corte, perché volente o dolente ero costretta ad intrattenerle durante le cene o i banchetti. Quella era la parte più noiosa dell'essere la compagna di Wladimir, ed ovviamente spettava a me; Mildred invece si limitava a fare la lasciva ed ostentare con le altre dame la propria posizione sociale.

«Non sarà così», promise, dandomi un bacio sulla tempia, soffermandosi più del normale sulla mia pelle e facendomi impazzire il cuore.

Ci dirigemmo verso la sala comune. Questa era già piena di persone, che chiacchieravano in gruppetti, chi vicino al banco del buffet, chi a quello delle bevande. Parlavano amabilmente, ma sapevo bene che era in occasioni simili che i peggiori complotti venivano organizzati.

Al mio ingresso, tutti si voltarono ad applaudire. L'imbarazzo iniziale venne sostituito da orgoglio, perciò non abbassai la testa, anzi, tenni la schiena dritta come mi aveva suggerito Cordelia tempo fa. Forse ero un'Imperatrice in rovina, ma non lo avrei dato a vedere.

Molti si avvicinarono per gli auguri, chi con sincerità chi solo per cortesia. Alexander si era eclissato chissà dove, ma ormai non importava. Ero nel mio elemento, e per fortuna riuscii a ricordarmi i nomi di tutti i nobili che mi sfilavano di fronte, complimentandosi - per cosa, poi? Sarebbe stato uno dei tanti giorni da festeggiare, data la mia eternità - che come adolescente ancora faticavo a concepire.

La musica, leggera e classica di sottofondo, era davvero gradevole da ascoltare. Un quartetto di archi era in un angolo, e non smetteva di suonare. Chissà se avevano le braccia stanche...

Nel via vai di gente, erano inclusi anche Wladimir e Cordelia. Erano insieme, e la cosa mi stupì, ma erano a debita distanza l'uno dall'altro. Mi augurarono a turno buon compleanno, anche se parevano piuttosto distratti. Wladimir mi guardava come se nascondesse qualcosa e si divertisse un mondo, Cordelia alternava occhiate di rimprovero a lui ad occhiate confuse a me.

L'ultimo a venirmi incontro fu Alexander, materializzatosi chissà dove dopo almeno due ore di festa. Mi facevano male i piedi perché ero rimasta in piedi per tutto il tempo, e vederlo mi fece rilassare un po'. Si avvicinò, ma pareva a disagio. Lo guardai, preoccupata, ma lui fece un passo avanti e mi baciò il dorso della mano, portandomi per qualche istante in un'altra epoca, sia per il gesto che per il grande salone in cui ci trovavamo, in stile Romantico.

«Non so quali parole trovare per scusarmi di quasi un anno a questa parte. Io sono stato un tremendo stronzo e non mi aspetto che tu...», cominciò, ma lo bloccai. Per quanto sapessi quelle cose, sentirle dire proprio da lui, orgoglioso com'era, mi sembrava sbagliato. In un'altra occasione lo avrei volentieri registrato per riascoltarlo in ogni momento della giornata, ma dopo gli ultimi giorni passati insieme, mi sembrava di conoscere un Alexander migliore, che non si lasciava fermare dal passato ma che anzi cercava di rimediare con il futuro.

«Non importa», gli dissi, rivolgendogli un sorriso. Qualche nobile ci osservava, forse per vedere come si sarebbe comportato il nuovo Imperatore verso la vecchia Imperatrice che aveva spodestato sua madre.

«Perdonami se puoi, ma non troverò pace finché non lo farò», spiegò, in un tono strano. Affranto? Speranzoso?

La musica si interruppe di colpo, ma io fissavo Alexander inchinarsi di fronte a me. La confusione venne rimpiazzata da terrore, quando capii cosa stava per fare. I nobili si ammutolirono e si girarono a fissarci. Non volava una mosca nell'immenso salone.

Mi guardò da basso verso l'alto, e per la prima volta nei suoi occhi vidi fragilità. Aprì una scatoletta nera, rivelando all'interno un anello stupendo, piccolo ma elegante.

«Vuoi sposarmi?», forse era solo una mia sensazione, ma la sua voce tremava.

Le lacrime cominciarono ad inumidirmi gli occhi. Era un sogno, un maledettissimo sogno. Ed io non lo avrei trasformato in incubo proprio ora.

Perciò presi un respiro profondo e lo guardai negli occhi, dimentica delle persone intorno: c'eravamo solo noi, in quel momento. «Perdonami se puoi», sussurrai, affinché solo lui mi sentisse. I suoi occhi si riempirono di tristezza, ed io mi affrettai a continuare per non generare malintesi. «Ma ho tutta l'intenzione di accettare questa proposta».

Non ricordo quando si alzò, semplicemente mi ritrovai con la faccia contro il suo petto, stretta in un abbraccio soffocante. «Un semplice 'sì' era chiedere troppo?», chiese al mio orecchio.

«Forse», risposi, non dandogliela vinta. I Demoni intorno a noi applaudirono, ma qualche faccia contrariata la vidi bene, nella folla. Una fra tutte, Cordelia.

Senza perdere altro tempo, Alexander mi infilò l'anello, ed il mio cuore mancò un battito. Stavo sognando, era l'unica alternativa. Ci congedammo, o meglio, lui lo fece. «Continuate pure a festeggiare, miei cari, ma io e la mia fidanzata», e qui arrossii, «siamo molto stanchi a causa del nostro appena concluso viaggio». Rimasi un po' perplessa, ma ipotizzai che fosse una scusa per i nostri giorni di lontananza. Mi prese per mano e mi trascinò via da tutta quella calca, fuori, su per le scale, fino alla sua stanza.

Neanche il tempo di chiudere la porta, che le sue labbra furono sulle mie.

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