parte 4
28 ottobre 1889 Londra.
Non avrei mai potuto spiegare a parole il dolore che provavo, mi imprigionava in una bolla di malinconia che mi impediva di respirare. Non riuscivo a capire come mai ci potesse essere tanta sofferenza in questo mondo, o meglio nel mio cuore.
E mentre la moca fischiava e il venticello del malinconico autunno si faceva spazio attraverso le fessure delle finestre; mi chiedevo se forse quello che stavo facendo per Charles non era poco.
Alzai lo sguardo lentamente, i miei occhi si focalizzarono sull’albero davanti, le sue foglie cadevano leggiadre a terra ricomprendo il terreno lasciando così spazio ai rami di muoversi soavi in un ballo lento e vivo. ero certo che alcune volte quel paesaggio autunnale avrebbe potuto essere in grado di scaldare l’animo di chi sapeva guardare il mondo con occhi diversi.
I miei occhi però erano in grado di vedere solo una facciata del mondo, quello per la quale li uomini avrebbero lottato a tutti i costi pur di ricevere un briciolo di spensieratezza.
E non era mai stato un lamento, Dio con me era sempre stato ingiusto, avrei solo voluto vedere la mia vita prendere sfumature differenti da quel grigio spento che non sarebbe servito a niente se non che a incrementare la mia tristezza.
Sorridevo al mondo per non piangere, non volevo darla vinta a nessuno in special modo a chi con morboso interesse desiderava solo che vedere il cuore essere sfracellato dalla stessa lama impugnata dal dolore.
“Ei…” entrai nella stanza di Charles con il timore d’essere cacciato, ma odoravo la sua debolezza come un lupo quindi non me ne preoccupai maggiormente. Lo guardai avvolte nelle coperte con un panno umido appoggiato in volto, i suoi occhi erano chiusi e sapevo con quanta difficolta si fosse addormentato, per questo appoggiai delicatamente il vassoio sopra il comodino in legno e poi raggiunsi la poltrona all’angolo della stanza dove mi sedetti sprofondando nella sua morbidezza.
Ma per quanto cercassi di compiere ogni passo e movimento nel modo più lento possibile, questo non bastò comunque a far sì che Charles continuasse a dormire. Si divincolò bruscamente tra le coperte e poi spalancò gli occhi.
“Charles, stai bene?” avrei potuto tirarmi uno schiaffo per quella domanda, la sua pelle era pallida, il contorno delle labbra stavano iniziando a prendere un colore violaceo e le sue guance erano rosse, per non parlare della fronte, calda come il fuoco.
“Joseph, ti prego scusami!”
“Non è successo niente” cercai di tranquillizzarlo ma lui si divincolò ancora di più alzando e abbassando le coperte.
“Sono un mostro, non riesco neanche a renderti felice”
“Che stai dicendo Charles, sei l’unico motivo per la quale continuo ancora a sorridere”
Scosse la testa e vidi delle lacrime bagnarli il volto “perché non mi odi?”
Mi guardava con disperazione, i suoi occhi erano colmi di dolore. Non riuscivo a guardarglieli, sapevo che avrei pianto pure io se lo avessi fatto e non volevo. Cercai di avvicinarmi a lui ma non me lo permise.
“Ti prego Charles lasciati aiutare”
E fu a quel punto che il suo tono da spezzato per la tristezza lo divenne per la rabbia. Si nascose tra le lenzuola impedendomi così di guardare il suo bel viso e con veemenza disse…
“No! Vattene, non voglio vederti”
“Ma…”
“VATTENE”
“Charles, non ti farò niente, lo prometto. Ti fidi di me?”
Quella domanda bastò a far si che spostasse il telo il quanto bastasse per far intravedere quei suoi magnifici occhi verdi solitamente pieni di speranza ma ora completamenti privi di essa.
“Si.” Rispose “mi fido” continuò poi
Mi avvicinai verso di lui e tolsi il panno bagnato che aveva sulla fronte, gli feci poi appoggiare la testa sulla testata del letto e gli porsi la ciotola contenente il brodo di pollo ancora caldo, lo finì in fretta senza troppi problemi.
Restai lì con lui finché non vidi i suoi occhi chiudersi, dopodiché quasi in punta dei piedi raggiunsi il soggiorno dove cercai in ogni modo di prendere sonno sul divano.
2 novembre 1889 Londra.
“Va tutto bene? Ti ho portato da mangiare”
I giorni passavano ma Charles sembrava stare ogni giorno peggio, il suo animo sembrava starsi per spegnere da un momento all’alto e con il suo pure il mio. Aveva continui sbalzi di temperatura e il suo corpo magro ormai stava divenendo sempre più esile e debole, sostenevo che sarebbe potuto volare via anche solo con un soffio di vento.
“Sei così gentile” mi sorrise mettendo in mostra le sue bellissime fossette.
Feci un altro passo all’interno della stanza, ormai ero dentro. Gli porsi la ciotola, bevve il brodo con esitazione ma tutto sommato lo finì senza troppe smorfie, penso cercasse di trattenersi in tutti i modi possibili, ero consapevole dell’impegno che ci aveva messo e ne ero così altero.
Perché la felicità doveva essere temporanea mentre la tristezza duratura? Forse l’uomo, semplicemente, era stato plasmato per vivere e sentire sulla propria pelle il dolore, per tutta la durata della sua vita, ma non la gioia.
“Joseph…ti amo”
“Non dirmelo.”
“Ma…”
“Non dirmelo, ha lo stesso suono di un addio e tu non te ne stai andando.”
Charles sospirò, ma prima che potesse dire qualcos’altro o anche solo iniziare una frase vidi le porte dell’inferno aprirsi. Si porto in avanti con la schiena e riprese a tossire, anche più forte di quanto lo facesse prima ma assieme al catarro quella volta si era aggiunto pure il sangue e prima che me ne potessi accorgere le coperte si erano già sporcate di poco, ma non così tanto.
“Va tutto bene, ora la smetto”
“Ma lo capisci che non va tutto bene? Credo di aver aspettato fin troppo, hai bisogno che il dottore ti visiti, perciò lo andrò a chiamare.”
“Ti preg-“ma non riuscì a continuare la frase che riprese a tossire. “non lo fare” cercò di dire tra un colpo di tosse e l’altro, mentre le sue guance si bagnavano di lacrime.
Lo amavo, proprio per questo non lo ascoltai e andai fuori a chiedere aiuto.
Corsi più veloce che potevo, ma si è consapevoli che più una persona andrà di fretta e più questa verrà interrotta, e come ogni comune mortale io ero tra quelle.
“Salve Joseph, come sta Clara?”
“Logan, adesso non ho tempo”
“Sei strano, hai bisogno d’aiuto?
“No, ho bisogno di un dottore”
Il ragazzo dai capelli biondi mi guardò confuso e poi con tono preoccupato chiese… “Cosa è accaduto a Clara?”
“Niente, deve ancora ritornare dal suo “viaggio”, un mio amico sta male” era un colpo al cuore parlare di Charles in quel modo ma non ce ne sarebbero stati altri.
“Vieni con me, ne conosco uno” disse serio e io senza troppe esitazioni lo seguii.
Il tempo volava, il tempo non era mai stato mio amico e faceva compagnia alla solitudine ma quel giorno a braccetto con lui era presente pure l’ansia. I miei piedi ormai erano assai lontani da seguire gli ordini imposti dalla mia mente, e io non me ne stavo neanche ad importare, perché in quel momento solo un pensiero mi scalfivo, il sussurrò di un nome, Charles.
Camminammo lungo un viale, o meglio corremmo ma solo dopo che con larga supplica da parte mia Logan concepì che di certo non si trattasse di una frivolezza. Il vento ci scompigliava i capelli e le suole delle nostre scarpe battevano il terreno all’unisono, ero però troppo preoccupato per Charles per rendermene conto in quell’istante.
“Siamo arrivati”
Davanti a noi una casa, se pur immensa al quanto trascurata, non trasmetteva in alcun modo serenità e solo uno spiraglio di luce faceva pensare che dentro, probabilmente risiedesse qualcuno. Non feci niente, aspettai che fosse Logan ad andare avanti.
Batté le nocche sul legno massiccio della porta tre volte, poi qualcuno ci venne ad aprire.
Fu un ragazzo di pochi anni più grande di me ad aprirci la porta, il suo viso era stanziato su un’espressione naturalmente gentile, la quale gli occhi color nocciola andavano a incidere una briciola di umiltà e gentilezza in più. non avevo altro tempo da perdere anzi, non potevo perdere altro tempo, per questo mi presentai in fretta e lo avvisai di cosa stava succedendo, spiegai anche, cercando di mantenere la calma che il dottore del paese era dovuto andare all’estero e quindi ero stato costretto a disturbarlo, certo però di star per dilungarmi mi diedi un freno maledicendomi mentalmente.
Benjamin, perché era quello il suo nome contrariamente a ciò che pensavo non si irritò affatto, tutt’altro; mi sorrise, e fece segno a me e a Logan di fargli strada.
Non avrei mai potuto concepire che di lì a poco mi avrebbe atteso una notizia assai dolorosa.
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