Revival anni '90 e andare via
AUTRICE: knuttie
Una stupida canzone anni Novanta risuonava in tutto il locale. Quel 'Boom diggy diggy diggy boom diggy bang' sembrava entrarti in testa e non trovare la via d'uscita.
Avrei voluto cercarla io una via d'uscita da quelle quattro mura: le sale dalla forma rettangolare e arredate con un gusto minimal erano affollate dai corpi sudati di ballerini improvvisati e che avrebbero fatto meglio a riposare le loro membra invece di esibirsi in balli sfrenati. Il motivo per il quale io, un semplice ventenne, fossi presente a una serata revival anni Novanta non lo avevo ben chiaro: Marcus aveva trascinato il sottoscritto ed Eva con la promessa di partecipare a una festa stratosferica.
Probabilmente voleva solo aumentare il suo giro d'affari anche tra i quarantenni, ma difficilmente riuscivo ad immaginare quei padri di famiglia e quei pezzi grossi di aziende della Londra per bene comprare marijuana da un ventenne scapestrato. Ma ero il suo migliore amico, e come tale, lo avrei accompagnato fino in capo al mondo.
Eppure, da come sembrava muoversi indaffarato da una sala all'altra del locale, potevo immaginare che i suoi affari stessero andando bene e dovetti ammettere di essermi sbagliato: magari quegli uomini non volevano rivivere la loro gioventù solo con delle stupide canzoni. Mi chiedevo come avrebbero spiegato alle loro mogli e fidanzate gli occhi rossi, le frasi senza senso e l'intorpidimento, una volta tornati a casa. Non volevo essere nei loro panni.
Per quanto riguarda Eva, voleva solo divertirsi e avrebbe accettato di andare anche al compleanno di mio fratello di cinque anni: per quella ragazza 'festa' era la parola chiave della felicità. Lei dava la colpa del suo voler continuamente festeggiare alle sue origini messicane, ma ero convinto che se fosse stata cinese, indiana o francese si sarebbe comportata nello stesso modo.
Avevo posato il mio sguardo su Eva Rodríguez il primo giorno di università, quando mi rifugiai a causa della pioggia insistente sotto il colonnato dell'edificio A.
Odiavo la pioggia, e, pur vivendo in Inghilterra, non avevo mai imparato ad accettarla: la pioggia mi rendeva malinconico, accentuava i miei reumatismi e mi faceva sognare terre lontane e perennemente soleggiate, che non avrei mai potuto raggiungere.
Quel giorno, però, imparai ad amarla perché mi offrì lo spettacolo più bello che avessi visto in vita mia: Eva, con un paio di cuffie alle orecchie, ballava in un ritmo tutto suo a piedi nudi contro l'asfalto mentre la pioggia copiosa cadeva sul suo corpo goccia dopo goccia. Muoveva i fianchi, scuoteva la testa e sollevava il vestito rosso a balze quanto bastava per essere desiderabile a chi la stava guardando per poi riposizionarlo al suo posto.
Dopo essersi guadagnata occhiate malevoli dalla maggior parte della popolazione femminile presente e il favore di quella maschile, si diresse nella mia direzione e una volta posizionatasi davanti alla mia espressione da ebete, mi chiese se avessi un fazzoletto per asciugarsi il viso. Ringraziai mentalmente mia madre per avermi trasmesso l'importanza di avere almeno due pacchetti di fazzoletti nella borsa.
C'era qualcosa in lei, quel suo modo di fare spensierato, menefreghista e a tratti egoista, dopo averla conosciuta per bene, che mi attirava inesorabilmente. Sapevo che mi sarei fatto male ripetutamente; sapevo che sarei stato un Icaro moderno: se mi fossi avvicinato troppo al mio sole, il calore avrebbe fuso la cera con la quale le ali erano attaccate al mio corpo e sarei caduto. Ma questo non mi fermava dal desiderarla.
Mi ridestai dai miei pensieri quando qualcuno venne a sbattere contro di me rovesciandomi sulle scarpe l'intero contenuto del suo drink.
Questa serata non poteva andare peggio, pensai.
Rimpiangevo di non trovarmi nella mia stanza seduto sul letto con un buon libro in mano, al posto di rimanere impalato sulla pista con la musica che pulsava nelle orecchie.
Probabilmente non eravamo neanche nati quando metà di quelle canzoni risuonavano in locali come questi anni e anni prima, oppure eravamo troppo piccoli per ricordarle.
Dubitavo, data la mia educazione rigida e formale, che i miei genitori mi avessero lasciato ascoltare tali note durante la mia infanzia. Gli anni passavano e, mentre venivo tirato su a suon di Debussy, Chopin e Mozart, io nascondevo sotto le assi del pavimento della mia stanza artisti come gli Oasis e i Blur in attesa che un giorno li avrei potuti ascoltarle alla luce del sole. Quel giorno, finalmente, era arrivato ed era coinciso con la mia partenza per l'università, momento in cui avevo rivendicato la mia libertà di ascoltare musica proveniente da gente non morta da diversi secoli.
Per questo non ero a mio agio in quel tipo di locale. Di quella festa, inoltre, non mi piaceva nulla, soprattutto quei quarantenni eccitati che trattenevano il loro sguardo famelico sul corpo della mia amica.
Ad Eva non importava di quegli sguardi, dei loro pensieri impuri: muoveva i fianchi al ritmo di quella canzone come se fosse indispensabile per vivere.
Scuoteva la testa, portava indietro i capelli neri e lunghi come a voler scoprire le spalle e quel petto racchiuso in una maglia fin troppo sottile e striminzita.
Portava le mani dai suoi fianchi pronunciati fino al suo collo e al suo viso pieno, tondo, ancora da bambina, in netta contrapposizione con il suo corpo da donna.
Sul viso le labbra carnose mimavano le parole che risuonavano dalle casse del locale mentre gli occhi color cioccolato, grandi e lucidi a causa dell'alcol scomparivano dietro le ciocche dei capelli smosse dai suoi movimenti sconsiderati.
Un velo di sudore le copriva la pelle olivastra che veniva colpita dalle luci intermittenti del locale insieme agli altri corpi che affollavano la pista da ballo.
Io, Jack Thorn, ero un bastardo fortunato a poterla guardare. Beh, io e tutti quei quarantenni maniaci presenti nel locale. Ero convinto, però, di essere più fortunato di loro perché lei ricambiava i miei sguardi, mi attirava a lei come una sirena e in pochi istanti mi ritrovai a sfiorarle i fianchi, la schiena, mentre lei si muoveva contro di me in un ritmo frenetico.
"Balla con me, Jack." Mi sussurrò all'orecchio mentre le sue dita vagavano tra i miei capelli biondi e i suoi occhi si specchiavano nei miei algidi come il ghiaccio. E così come si avvicinò a una distanza irrisoria alle mie labbra, così si allontanò sorridendomi con la solita malizia che la contraddistingueva. E come capitava ogni volta, diventava sempre più lontana, sempre più impossibile.
Come un comune mortale avrebbe potuto sfiorare una Dea senza essere maledetto?
Forse i miei studi classici e il mio percorso universitario intriso di Letteratura e Mitologia Greca mi aveva fottuto il cervello, perché nella mia testa l'avevo sempre paragonata ad Artemide, fiera dea della caccia e protettrice dei boschi.
Così come la dea cacciava le fiere ma allo stesso tempo le amava e le proteggeva, così io venivo avvicinato e poi brutalmente respinto in pochi attimi.
Così come la dea amava i boschi e correre tra essi tanto da non assoggettarsi ad alcun legame matrimoniale, così, da donna libera, Eva aveva vissuto i suoi venti anni.
Eppure, si narrava che Artemide si fosse innamorata di un pastore, Endimione, che pascolava le sue greggi nei boschi cari alla dea: ella scendeva ogni notte nella sua caverna per guardalo dormire incantata dalla sua bellezza.
Sapevo di non essere in un mito greco, eravamo a Londra in una fresca sera d'estate, di essere solo Jack e non Endimione e, per quanto avrei voluto paragonarla a una dea, lei era solo Eva e non Artemide.
Anzi, in quel momento, sapevo che non avrei avuto neanche la sua attenzione. Quest'ultima era rivolta alla figura maschile che aveva appena oltrepassato la porta del locale. Nonostante le sue mani erano ferme sul mio petto, i suoi fianchi intrappolati dalla mia presa, la sua mente era altrove e il suo sguardo cercava gli occhi di quell'individuo.
Chi era? Chi era il fortunato destinatario del suo sguardo?
A queste domande non avrei mai trovato risposta. Eva sarebbe stato sempre un mistero per me, un mistero che non potevo svelare a meno che lei lo avesse voluto.
Trovai buffo che proprio la dea Artemide fosse venerata anche sotto le forme di Selene, la dea della Luna, e, proprio come la luna, Eva mi avrebbe mostrato sempre solamente una parte di se stessa.
Ritrassi all'improvviso le mani dai suoi fianchi come se fossi entrato in contatto con delle fiamme roventi e mi scostai da lei non permettendole più di toccarmi.
Evidentemente avevo attirato la sua attenzione, perché si voltò nella mia direzione e mi guardò con le sopracciglia aggrottate.
"Non ballerò più con te, Eva." Le dissi scuotendo la testa e la lasciai lì al centro della pista. Lei, ancora con un'espressione confusa sul viso, mi urlava di non andare via, di ritornare da lei e divertirmi.
Il problema è che io non avrei mai trovato giovamento a guardare lei che bramava un uomo, un uomo che non sarei mai potuto essere io.
Dovevo smettere di riporre le mie speranze e le mie aspettative in un rapporto che non avrebbe avuto futuro al di fuori dell'amicizia.
Dovevo trovare un modo per allontanarmi da quel locale squallido, da quel ritmo cadenzato che mi rimbombava nella testa, dalle luci che pulsavano ininterrottamente. Soprattutto dovevo trovare un modo per allontanarmi da lei.
Uscii dal locale urtando volontariamente l'uomo sul quale gli occhi famelici di Eva si erano posati e non gli chiesi neanche scusa. Non lo guardai neanche in faccia, non seppi mai che sembianze avesse di preciso e sinceramente non volevo saperlo. Avrei preferito immaginare i suoi tratti piuttosto che avere una figura ben precisa in mente: avrebbe reso la mia serata ancora più amara.
I suoni intorno a me sembravano ovattati, le immagini scorrevano confuse tra delle ragazze imbellettate che attraversavano la strada e un cane che rovistava tra i rifiuti. E nella mia testa risuonava ancora quella canzone anni Novanta. Da quel momento in poi sarebbe stata la colonna sonora della mia disfatta e della mia disillusione.
"Boom diggy diggy diggy boom diggy bang" mi trovai a canticchiare mentre ero fuori dal locale a fumare l'ultima sigaretta del pacchetto.
Poi decisi di andarmeneda quel posto, da quella strada e dalla vita di Eva.W7N
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top