Portami a casa
AUTRICE: itsaryt
Chicago continuava ad essere fredda, stranamente silenziosa e Cleo avrebbe voluto il rumore del traffico a fermare i suoi pensieri, a frenare l'impulso di tornare indietro e urlargli contro che non ne poteva più. Si sentiva in bilico, costantemente in equilibrio precario tra l'istinto e la ragione.
Si strinse nel suo cappotto color panna e chiuse gli occhi, in attesa che il vento freddo le penetrasse sotto pelle, anestetizzando il dolore che continuava a sentire all'altezza del petto. Aspettò impaziente, battendo nervosamente un piede sull'asfalto ricoperto di neve, incrociando le braccia al petto e maledicendosi per essere diventata così debole. Niente. Il dolore continuava a persistere facendole mancare il respiro, rendendole difficile anche riprendere a camminare, così si guardò intorno e raggiunse una panchina poco più avanti per riposare le gambe ed il cuore.
Non sapeva dove si trovasse, che zona di Chicago avesse raggiunto con il solo scopo di allontanarsi da lui, ma era troppo stanca per poter pensare e troppo arrabbiata per poter chiamare qualcuno che la recuperasse. Restò semplicemente lì, seduta su quella panchina, stretta nel cappotto e con lo sguardo rivolto verso l'alto, in un disperato tentativo di tenere le lacrime lì dov'erano perché lei non era così e non avrebbe pianto per un uomo, per lui.
Pausa. Era l'unica parola a cui riusciva a pensare, cercando di dare un senso a qualcosa che non riusciva a capire. Lo aveva cercato anche su internet quando lui le aveva detto di aver bisogno di una pausa e quello che aveva trovato non era così lontano dalla sua concezione del termine. Pausa o anche interruzione temporanea, intervallo; mettere in pausa, relativo ad apparecchi elettronici. Pausa. Lui aveva sentito il bisogno di mettere in pausa il loro rapporto, di schiacciare quel tasto come se lei fosse un film troppo noioso da poter guardare ma le persone non si mettono in pausa, i sentimenti non si mettono in pausa, il cuore non si mette in pausa.
Pausa di riflessione la chiamano gli esperti mentre per Cleo era solo un nuovo modo per dire "non ti amo più". Ma dopo tre settimane non credeva che tutto potesse essere schiacciato da un paio di gambe lunghissime ed una folta chioma di capelli biondo platino, non credeva che un sentimento, che era stato così forte da riuscire a demolire paure e muri d'indifferenza, potesse essere spazzato via da due labbra che non erano le sue. Erano passate tre settimane in cui aveva atteso, seduta sul divano di casa sua o la sedia del suo ufficio, che lui ritornasse per chiederle scusa e, invece, lo ritrovava in un locale con un polpo biondo appiccicato al braccio. Era così delusa da sé stessa, dal modo in cui era scappata senza affrontare la situazione ma non ne aveva avuto le forze. Cleo non era così, non era mai fuggita, non aveva mai corso così lontano da una situazione limite perché era abituata a combattere, a rimboccarsi le mani, indossare l'armatura e combattere tutte le guerre che le si presentavano avanti. Eppure, Harry ce l'aveva fatta a spezzarla, a trasformala in una debole nello stesso modo in cui era riuscito a far sciogliere un cuore di ghiaccio. Lui ed i suoi stupidi occhi verdi, tanto belli quanto pericolosi. Lui ed il suo stupido sorriso contornato da quelle stupide fossette, che gli hanno sempre dato quell'aria da bravo ragazzo quando, in verità, era un ammaliatore. Lui ed i suoi stupidi capelli lunghi che lo rendevano più uomo, ancora più letale. Lui e le sue mani, che avevano toccato posti che lei aveva dimenticato, accarezzando il suo cuore fino a farlo cedere, fino a farlo tremare. Lui e le sue stupide labbra che avevano baciato ogni centimetro di pelle, insaziabili e fameliche. Lui. Lui e sempre lui.
Lo odiava e si odiava; odiava lui per averle regalato l'anno più bello della sua vita, per poi metterla in pausa come se non gli importasse; odiava sé stessa per aver permesso a lui di romperla, per avergli dato il potere di schiacciare lei ed il suo cuore.
Avrebbe dovuto continuare a stare sola, si disse, continuando a pensare che l'amore fosse solo una stupida invenzione per le persone deboli, bisognose di credere in qualcosa di più grande, qualcosa di puramente astratto creato per gli scrittori, i poeti, i registi e gli stolti. Avrebbe dovuto restare alla larga da lui, continuava a ripetersi, tenendo il loro rapporto lontano dai luoghi in cui si erano avventurati, insieme. Avrebbe davvero voluto credere a tutto quello ma sapeva che era un'ipocrita, che se Harry non avesse mai abbattuto i suoi muri, se non l'avesse mai guardata per scavarle dentro, se non avesse mai cercato e trovato cose che, nemmeno lei, sapeva essere lì, allora sarebbe stato tutto più triste, tutto più nero.
Avrebbe voluto anche odiarlo di più, così che sarebbe stato tutto più facile, un gioco da ragazzi e invece... invece l'odio che provava si fermava sul ciglio della porta, sospeso tra ragione e sentimento, tra la voglia di lui e quella di ucciderlo.
Gli occhi di Cleo continuarono ad essere rivolti verso l'alto, cercando qualcosa tra le nuvole che coprivano il cielo, la forza di alzarsi da lì, forse, o la forza di andare avanti. La forza. La cercava con un disperato bisogno di ritrovarla, di sentirsi intera invece che irrimediabilmente spezzata. Chiuse gli occhi, arrendendosi all'idea di non essere abbastanza forte per poter contrastare l'ondata di dolore, così si lasciò andare, lasciò andare quelle lacrime amare che stavano bussando alle sue palpebre da più di un'ora in attesa di scontrarsi con l'aria fredda. Le lasciò libere di accarezzarle le guance in un modo che non ricordava, erano calde, bruciavano e rigavano la sua pelle in attesa che delle dita le mandassero via ma nessuna carezza arrivò, nessun tocco delicato che in quel momento, ammise, le mancava come l'aria. Si lasciò andare su quella panchina, singhiozzando sommessamente mentre sperava che nessuno la sentisse o la vedesse. Si vergognava così tanto ma resistere al bisogno di lasciar andare via quelle emozioni era stato impossibile, una guerra che non aveva avuto le forze di combattere.
Era chiusa in una bolla, così rannicchiata su sé stessa da non accorgersi del rumore delle ruote bruciate che frenavano sull'asfalto freddo. Non sentì la portiera di una macchina battere forte o i passi pesanti di qualcuno che si avvicinava. Sentì del calore sulle gambe, però, provenire dall'altezza delle ginocchia per poi irradiare tutto il suo corpo. Si sentì una pazza mentre pensava che le mancava così tanto Harry da riuscire a sentire il suo tocco ma il torpore che sentiva alle gambe era reale, la sua voce rocca che assumeva un tono preoccupato era reale.
«Cleo.» sussurrò piano, poggiando le mani sulle sue gambe ed inginocchiandosi dinanzi a lei, aspettando che il suono dei suoi singhiozzi si arrestasse perché non lo sopportava. La sentì irrigidirsi nel percepire la sua presenza e si maledisse per essere così idiota. «Cleo ho bisogno che tu mi guarda negli occhi.» la supplicò, fregandosene del suo tono di voce così patetico.
Ancora stordita, aprì gli occhi mentre le lacrime appannavano la sua vista e la figura di Harry le appariva distorta. «Va via, Harry.» cercò di divincolarsi, di interrompere il contatto che lui aveva stabilito ma lui le strinse il ginocchio, bloccandola sulla panchina ed inchiodandola con i suoi occhi giada.
«Non vado da nessuna parte.» tentò di essere duro, di farle capire che non l'avrebbe lasciata lì, di mascherare il magone che sentiva per aver visto i suoi occhi così affranti, così tristi. Stava piangendo ed erano poche le volte in cui Cleo si era lasciata andare al pianto, lui lo sapeva.
«Non ti voglio qui. Non ti voglio e basta.» quasi urlò, mentre puntava gli occhi sul viso di Harry. Se uno sguardo avesse potuto uccidere allora lui sarebbe già stato morto. «Sei un coglione, Harry. Sei un codardo ed io non ti voglio.» urlò ancora, ignorando che qualcuno avrebbe potuto sentirla.
«Sono uno stronzo ma non vado via.» ribadì, stringendo ancora le gambe di Cleo.
Lei, d'altro canto, cercò di ignorare il torpore che sentiva al petto e il formicolio alle mani che arrivava ogni volta che sentiva il bisogno di toccarlo. Strinse le mani in pugno, conficcando le unghie nei palmi delle mani. «Ritorna da quella papera dai capelli biondi. Torna da lei e andatevene al diavolo.»
Si alzò di scatto, scrollandosi di dosso le sue mani ed accogliendo di nuovo il vuoto in assenza del suo calore. Lo spintonò, diede dei pugni sul suo petto tonico e poi lo spinse, ancora. «Tre settimane. Tre fottute settimane ti ci sono volute per dimenticare un anno con me.» Un altro pugno arrivò sul petto di Harry. «Sei un fottuto bastardo e ti odio. Ti odio così tanto.» singhiozzò, mentre continuava a sferrare pugni al petto del ragazzo che, invece, restava immobile per lasciare che si sfogasse. «Ti ho dato tutto,» altro pugno. «ti ho dato cose che non sapevo nemmeno di avere e tu mi hai messo in pausa. Come se io potessi essere messa in pausa, come se i sentimenti fossero una fottuta canzone di merda».
Gli urlò contro, continuando a picchiarlo nel disperato tentativo di ferirlo come lui aveva ferito lei. «La verità è che sei un codardo, lo sei sempre stato ed io sono stata troppo cieca per vedere.»
Stava per sferrare l'ennesima accusa accompagnata dall'ennesimo pugno, quando lui le afferrò i polsi e bloccò i suoi movimenti. «Hai ragione.» disse scuotendola con forza. «E guardami negli occhi mentre ti parlo.» la rimbeccò, guadagnandosi uno sguardo truce. «Hai ragione, sono un codardo che è scappato quando le cose si facevano più intense, più forti.» disse, mentre continuava a stringere i polsi di Cleo per paura che scappasse. «Sono un codardo perché sono scappato quando ho capito che amarti così tanto, desiderarti ardentemente, sarebbe stata la mia condanna.»
Sentì Cleo allentare la presa, ma non avrebbe smesso di combattere e lui non poteva arrendersi. «Non ho messo in pausa te ma la mia paura di sbagliare, di non essere giusto per te. Volevo del tempo per capire come fare a darti ciò di cui hai bisogno, no per capire se ti amo oppure no.» prese fiato soddisfatto di averla zittita. «Non ho bisogno del tempo per quello perché lo so, so che ti amo e che questo» disse, portandosi la mano di Cleo al petto «è tuo e lo sarà sempre.»
Cleo sentì il cuore di Harry battere sotto la sua mano come se stesse rispondendo al suo tocco ed il suo si mosse nervoso, combattendo contro la ragione che le diceva che lui era andato via. «Mi hai lasciata.» sussurrò debolmente. «Mi hai spezzata nel punto in cui mi sentivo più forte e ha fatto male. Tanto, Harry.» ritirò la mano, portandola dietro la schiena per impedirsi di toccarlo ancora.
«Lo so e mi dispiace così tanto perché ferendo te ho ferito anche me stesso.» Harry fece un passo avanti ma lei non gli permise di avvicinarsi. Corrucciò la fronte. «Non respingermi.» la supplicò, nel disperato tentativo che lei capisse.
«Tu lo hai fatto.» ribatté fredda. «Hai respinto me e tutto quello che ti ho dato e la tua paura non ti giustifica.» scosse la testa, contrariata poi sorrise amaramente. «Pensi che io non abbia avuto paura? Sei davvero così stupido da credere che tutto questo,» indicò sé stessa e lui. «non sia terribilmente spaventoso?»
«Io...» tentò di rispondere ma Cleo non glielo permise.
«Sta' zitto.» gli urlò. «E' stato terribile scoprire di amarti, scoprire che qualcuno potesse avere il potere di ferirmi, di manipolare i miei sentimenti a proprio piacimento. E' stato spaventoso capire di non poter tornare indietro, di essere così coinvolta che il pensiero di te lontano da me mi metteva i brividi.» chiuse per un attimo gli occhi, riprendendo il controllo della sua voce che stava per incrinarsi. « E' stato questo a tenermi qui, impigliata a te come se fossi l'unica cosa a potermi tenere in vita e ti odio, ti odio così tanto per avermi resa così miserabile.»
«Mi odio anche io.» replicò, prima che lei potesse ancora interromperlo. «Mi odio perché tutto questo mi ha spaventato e non ho saputo gestirlo. Ti ho ferita e,» si passò nervosamente una mano tra i capelli, tirandoli dalle punte. «diavolo, vorrei non averlo fatto, non essere mai andato via perché la tua lontananza mi ha tolto il respiro. Io non riesco a respirare se tu non ci sei.» stavolta fu lui ad urlare, disperato. La prese per le spalle per creare un contatto, guardò i suoi occhi acquosi e si maledisse per il dolore che le aveva causato. «Possiamo essere miserabili insieme.» stavolta sussurrò, come per celare quella frase al mondo, all'aria di Chicago che avrebbe portato quelle parole chissà dove. «Torna a casa con me, Cleo. Ti prego, torna a casa con me.» la supplicò mentre le prendeva il viso dalle mani, passando i pollici dove le lacrime avevano lasciato dei solchi, nel disperato tentativo di portare via il suo dolore, di trasmetterle tutto l'amore che provava per lei, solo per lei.
La battaglia tra cuore e mente ebbe inizio senza esclusioni di colpi ma gli occhi di Harry, profondi come pozzi e sinceri come non mai, non le diedero molta scelta e le proteste della sua ragione furono vane quando lasciò che le labbra del ragazzo si poggiassero con delicatezza sulla sua fronte, in un bacio dolce e leggero.
«Portami a casa.» sussurrò lei, cercando disperatamente le sue dita. Le trovò, pronte ad intrecciarsi con le sue in un gioco che avrebbero sempre amato.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top