5 || Come In With the Rain (Taylor's Version)
I'll leave my window open
'Cause I'm too tired at night to call your name
Just know I'm right here hoping
That you'll come in with the rain
CAPITOLO 5 || Lezioni di storia
La luce invernale si rifletteva sui banchi consumati del vecchio liceo di Winterford, dove l'eco delle risate adolescenziali sembrava non essere mai davvero svanito, quando Ethan Thompson entrò in aula con passo deciso, la borsa a tracolla piena di appunti, un paio di libri e qualche cimelio per catturare l'attenzione della classe.
Davanti a lui, i ragazzi erano immersi nei loro telefoni, intenti a chiacchierare o a scambiarsi video sottovoce. Alcuni lo fissavano con un misto di curiosità e scetticismo, altri non si presero nemmeno la briga di alzare gli occhi. Alcuni invece, come i suoi vecchi studenti durante le ripetizioni, sgranarono lo sguardo stupefatti e gioiosi.
Ethan sorrise tra sé e sé: sapeva che non avrebbe avuto vita facile, ma d'altronde aveva sempre amato le sfide. Preferiva di gran lunga le classi complicate a quelle più pacate, gli dava più soddisfazione vederle appassionarsi al mondo della storia.
Sfoggiando il suo miglior sorriso, esordì con un: «Buongiorno, ragazzi», appoggiando con calma la borsa sulla cattedra. La sua voce era ferma, ma non autoritaria, come se stesse iniziando una conversazione invece che una lezione.
Bastò questo a strappare l'attenzione di alcuni studenti.
«Il mio nome è Ethan Thompson e sarò il vostro professore per qualche settimana, fino alle vacanze di Natale. Sono stato scelto per coprire la vostra supplenza ma lasciate che vi dica subito due cose: in primis, se preferite potete chiamarmi Ethan, e seconda cosa... non sono qui per insegnarvi nozioni. Sono qui per farvi innamorare.»
Le parole lasciarono la classe in un silenzio sospeso, finché un ragazzo alzò un sopracciglio con aria divertita. «Innamorarci di cosa, sentiamo?», chiese.
Ethan si prese un secondo per rispondere, allungandosi per estrarre dalla sua borsa una moneta antica, tenendola tra le dita e lasciandola brillare sotto alla luce. «Della storia», disse, lanciando il tondino con un semplice gesto al suo interlocutore.
«Ma è noiosa», protestò una ragazza dall'ultima fila.
«Beh, lo è se la guardate come un elenco di date e guerre!», controbatté, osservando il ragazzo di prima rigirarsi la moneta tra le dita. «Ma la storia è molto di più di questo. È viva. È la somma di ogni respiro, ogni battito di cuore, ogni decisione folle e coraggiosa che ci ha portato fino ad oggi. Prendete la moneta che ho lanciato al vostro compagno!»
Lui gliela ripassò subito ed Ethan ne approfittò per mostrarla alla classe. «È romana. E sapete cosa penso ogni volta che la guardo? Chi l'ha toccata per primo? Un soldato che tornava da una battaglia? Un mercante che cercava fortuna? O magari qualcuno come voi, un giovane con sogni e paure, in un mondo tanto diverso ma così simile al nostro!»
Alcuni studenti si raddrizzarono sui banchi, incuriositi.
Ethan colse quel momento per approfondire.
«Pensate al mondo romano: un impero vastissimo, dove culture diverse si incontravano e si scontravano. Dove le strade erano costruite così bene che alcune esistono ancora oggi. Dove la politica era un'arte e un'arma, e ogni moneta aveva il volto di qualcuno che voleva essere ricordato per sempre. Non credete sia magnifico?»
Poi si fermò, lasciando cadere la moneta sulla cattedra con un tintinnio.
«Ma non finisce qui. Perché, dopo la caduta dell'Impero Romano, c'è stato un periodo che molti chiamano medioevo, o medium aevum in latino, l'età di mezzo che separava l'età moderna dall'età classica. Sapete come lo chiamavano invece i contemporanei? Semplice, non lo chiamavano affatto. Per loro, non era 'buio'. Per loro era il presente, era il mondo. Non pensate che sia magico? E in quel mondo c'erano cavalieri, dame, ma anche contadini e mercanti che inventavano modi nuovi per vivere, amare, combattere. Ci sono stati momenti negativi, così come in ogni periodo, ma le popolazioni hanno sempre saputo risollevarsi. E sapete qual è la vera differenza tra loro e noi?»
Si concesse una pausa teatrale, lasciando che la classe si tendesse verso di lui, come attratta da una calamita.
«Soltanto qualche secolo.»
Qualcuno sbuffò, forse per la banalità della risposta, ma il silenzio si fece quasi tangibile. Ethan sorrise e concluse: «La storia non è qualcosa di morto. È viva in ogni cosa che ci circonda, e se impareremo a guardare con attenzione, potremo scoprire non solo il passato, ma anche noi stessi. Perché, per quanto vogliamo negarlo, non siamo che piccoli prodotti del tempo, piccole goccioline in un mare infinito.»
I suoi vecchi studenti presero ad applaudire, tirandosi dietro anche la metà dei loro compagni.
La restante parte la conquistò nella parte finale della sua lezione, quando ebbe concluso tutti i cimeli da mostrare e quando ognuno dei ragazzi gli pendeva dalle labbra.
La campanella suonò poco dopo, rompendo l'incantesimo, ma i ragazzi rimasero immobili per un attimo prima di alzarsi.
Alcuni si avvicinarono alla cattedra, bombardandolo di domande.
«Prof! Può portarci altre monete?»
«Prof, cosa ne pensa del Re Artù? È esistito davvero?»
«Che tipo di libri legge per sapere tutte queste cose?»
Ethan rise, promettendo di rispondere a tutto nelle prossime lezioni.
Quando uscì dall'aula, una familiare sensazione di soddisfazione lo colpì: un piccolo trionfo personale che gli scaldava il cuore in quel freddo mattino di dicembre.
E per la prima volta da anni, finalmente aveva provato ancora quella connessione con la sua casa.
Quando ebbe terminato le ore di lezione, ormai fuori dal liceo, Ethan si strinse nel proprio cappotto, lasciando che il gelo pungente gli colorasse le guance di rosso.
Stava attraversando il giardinetto pubblico per tornare verso casa, distratto dal pensiero della lezione del giorno dopo, quando si scontrò con qualcuno.
«Scusa— », iniziò a dire, ma si fermò non appena alzò gli occhi.
Chris.
Il suo ex ragazzo, nonché migliore amico, con il sorriso irresistibile e lo sguardo disarmante, era lì davanti a lui, elegante e perfettamente a suo agio nonostante l'aria pungente.
«Shiao bellishimo!», lo salutò lui, sventolando la mano in aria.
«Hai bevuto, Chri?», ridacchiò. «Sembri più strano del solito.»
«No, sono solo felice di vederti! Non lo vedi come sono barzotto?»
«Siamo in una scuola...»
«Veramente siamo fuori», lo corresse l'altro, in tono saccente. «E comunque, per tua informazione, volevo comprare dell'erba da un tizio, stava pure per vendermela.»
«Tu sei tutto scemo.»
«Credo fosse il fratello di un ragazzino qui.»
«Ma che dici?»
«Boh era alto, secco come uno stecchino, gli mancavano un po' di capelli ed aveva un piercing al naso.»
«Chris?»
«Sì?»
«Sai che hai descritto tua madre?»
«Ma vaffanculo!»
Ethan rise mentre, prendendo a braccetto l'amico, si allontanava dall'istituto.
Insieme camminarono fianco a fianco per le strade addobbate del villaggio, attirando inevitabilmente l'attenzione dei cittadini.
Gli sguardi curiosi li seguivano, e Ethan poteva quasi sentire i mormorii che iniziavano a serpeggiare: Chi è quel ragazzo? Sembrano così affiatati...
Scelse di ignorarli e senza prestarvi un secondo in più della propria attenzione si confinò con l'amico all'interno del negozio della signora Patty.
Non passò molto prima che le voci arrivassero anche a Lucas, le cui mani si strinsero nervosamente attorno a una vecchia moneta.
Era certo che si trattasse di Chris, ma non per questo la cosa gli desse meno fastidio.
Non ci pensò due volte ad agire.
Calandosi il cappotto indosso, si precipitò dalla signora Patty in fretta e furia, con la consapevolezza che, ovunque fossero andati quei due, lei l'avrebbe saputo.
Ed infatti la donna, la sua più grande salvezza, gli indicò immediatamente l'appartamento del professore e di sua madre.
Lo raggiunse all'istante, correndo talmente tanto che per poco non si ammazzò attraversando la strada.
Ricomponendosi, e fingendo di non aver sudato sette camicie, bussò alla porta e attese con pazienza che Ethan gli aprisse.
Si trovò davanti Chris però, che prese a sorridergli. «Ciao!», esclamò. «Vuoi uno spinello?»
«Come scusa?»
«CHRIS!», lo riprese la voce di Ethan, tuonante. «Ti pare una cosa da d... oh ciao, Luc. Allora sì, puoi dirlo.»
«Credi voglia uno spinello?», domandò Lucas accennando una risata.
«No, ma meglio che lo chieda a te che, cosa ne so, alla Smith sister.»
«E chi sarebbe?», fece Chris.
«Una suora che fa sempre l'elemosina nel viale.»
«Ah.»
«Già», Ethan sospirò. «Maaa, dicci pure. Come mai sei venuto, Luc?»
«Sono quasi certo di aver ritrovato tra i vecchi oggetti di mia madre una moneta francese, che lei diceva appartenesse al regno di Carlo Magno. Ti dispiacerebbe controllare? Vorrei esserne certo.»
«Hai una moneta di Carlo Magno in casa?»
«Sta' zitto, Chris!», lo rimbeccò Ethan. «E comunque, sì, nessun problema. Ce l'hai qui per caso?»
«No, a casa, non ho voluto portarla in giro di proposito, temevo l'avrei persa.»
«Oh certo!», Ethan annuì. «No, hai fatto benissimo. Vuoi che venga a controllarla ora?»
«Potresti?»
«Certo. Chris, vuoi venire anche tu?»
«Oh no, no, tranquilli. Vado a farmi raccontare da tua madre segreti imbarazzanti sulla tua infanzia!»
E senza dare tempo all'amico di ribadire, Chris sparì oltre la porta lignea.
Lucas si mise a fissare Ethan con l'espressione divertita.
Il professore sospirò, indicandolo. «Sette anni, è il mio migliore amico da sette anni.»
«Pensa tu che culo.»
«Pensa tu che sfiga!»
L'abitazione di Lucas era proprio come Ethan la ricordava, con l'atmosfera calda ed il crepitio del camino che accompagnava il solito profumo di tè.
Togliendosi le scarpe all'ingresso, ricordando ancora i tempi in cui lo faceva tutti i singoli giorni, si infilò le pantofole morbide riservate agli ospiti e abbozzando un sorriso si lasciò condurre dal suo ex fidanzato fino alla sua sala libreria.
Nonostante l'avesse vista infinite volte, la reazione che aveva all'entrare in quella stanza era sempre la stessa: gli scaffali dell'immensa libreria, che copriva tre e un quarto delle quattro pareti, erano così pieni ed alti da sembrare giganti di legno.
Appoggiata al muro, sotto all'unica finestra, se ne stava la scrivania finemente intagliata, con la sua sedia, sorella gemella, a farle compagnia, e le poltrone morbide ai lati per sedersi a leggere.
«Wow.»
«Non è cambiato nulla dall'ultima volta in cui ci sei venuto, Ethan.»
«Forse, ma sicuramente hai più libri.»
«Se lo dici tu», Lucas alzò le spalle. Poi indicò la scrivania: «Ecco, la moneta è lì.»
«Okay, fammi vedere», fece lui, calandosi addosso gli occhialini che usava per analizzare dei reperti e sistemando il ponte sul naso.
Poi, sulla fronte si posizionò la piccola torcia, tenuta con una fascia, ed infine, con i guanti ad avvolgergli le dita, sollevò la moneta.
Non ci volle molto prima che, osservando attentamente la moneta posata sul tavolo, Ethan prendesse a scuotere il capo. C'era pure tristezza nella sua voce, mentre, pacatamente, gli comunicava ciò che Lucas sapeva già.
«Non credo sia autentica, Luc. La rifinitura non sembra originale, e questa incisione... Onestamente, potrei chiedere un parere a un mio amico esperto, io non me ne intendo di numismatica e non vorrei...»
Prima ancora che potesse finire di parlare, Lucas lo inchiodò nell'unico spazio di parete libero, afferrandolo per il colletto.
I loro respiri si intrecciarono, ed il calore di un camino sarebbe impallidito di fronte alla colossale intensità di quel momento.
«Che... che stai facendo?»
«Ti brillavano gli occhi», gli rispose l'altro, facendogli stringere lo stomaco.
Il cuore martellava con così tanta violenza che iniziò a temere che se avesse rallentato sarebbe morto.
«Di che stai parlando, Luc?»
«Quando parli di storia, quando citi qualsiasi cosa inerente ad essa... ti brillano gli occhi, Ethan.»
«Lo sai anche tu che è la mia passione.»
«Eccome se lo so...»
«Che vuoi dire?»
«Ho letto ogni articolo che hai pubblicato, idiota. Ho letto ogni tua singola pubblicazione, sia che si trattasse di una riga che di saggi di 30 pagine. Chiedimi qualsiasi cosa, ho memorizzato tutte le parole.»
«Perché? Perché l'hai fatto?»
«Perché?», fece Lucas retoricamente. «Perché era l'unico modo che avevo di ascoltarti.»
Ethan dovette ricacciare giù a fatica l'impulso di baciarlo.
«Avresti potuto chiamarmi.»
«Andiamo, mi avresti risposto? Non prendiamoci in giro, per favore.»
«Lucas, ho aspettato per anni una tua chiamata. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, per sette cazzo di anni ho aspettato che ti facessi vivo, che mi dicessi qualcosa, che mi dimostrassi che a me, dopotutto, ci tenevi ancora. Ma non è successo, e alla fine mi sono arreso. Sì, il sentimento c'è. Il sentimento non sparirà mai, ma non mi spingi a tirarlo fuori così, non mi spingi a non reprimerlo. Io ho il diritto di essere felice, Luc, e questo... questo non lo so se possa rendermi felice.»
Lucas ascoltò ogni parola con un groppo in gola, le lacrime che iniziavano ad accumularsi alla base degli occhi.
«Non hai idea di quante volte io abbia avuto la tentazione di lasciare la finestra aperta, Luc, solo per vedere se saresti arrivato anche tu, insieme alla pioggia», gli sussurrò, osservando il suo ex fidanzato allontanarsi di qualche passo, con la testa bassa.
«Ti ho perso, non è così?»
Ethan scosse il capo. «Dimmi la verità. Perché non sei venuto a Londra?»
«Cosa vuoi sapere?»
«La verità, Luc, solo la verità.»
«I-io...»
«Dimmelo, ti prego.»
«Avevo paura che saremmo cambiati.»
Tentennò. «Avevo paura che saremmo finiti ad odiarci, ET. Avevo paura che ti avrei perso e non avrei mai potuto sopportare il tuo rancore.»
«Perché mai avremmo dovuto odiarci?»
«Perché è questo quello che succede quando uno vuole una cosa ed uno ne vuole un'altra. Io volevo restare e tu volevi partire: ti ho lasciato libero di andare.»
«E non hai pensato che sarei rimasto? Che per te, che per l'amore che provavo nei tuoi confronti, avrei detto di no a qualsiasi cosa?»
«Certo che ci ho pensato!», esclamò Lucas, rialzando la testa di colpo, le iridi cariche di sofferenza. «È per questo che ti ho detto quella cosa di Londra. Non saresti stato felice! Non me ne sarei mai andato, Ethan, se avessi potuto passare il resto della mia vita al tuo fianco. Ma non era la cosa giusta in quel momento per te.»
«E per te sì, invece?!»
«Che domande! Ovvio che no. Ma la tua felicità per me contava più di qualsiasi altra cosa e ho fatto quello che ritenevo giusto pur di garantirtela.»
«Garantirmela?», Ethan lo spintonò, ricacciandolo indietro. «Non mi hai garantito proprio niente, Lucas! Non ho mai smesso di essere innamorato di te, non mi sono mai disinnamorato! E Londra non era un cazzo senza di te! Hai idea di quanto dolore io abbia provato per la tua scelta?»
«Volevo solo che potessi realizzare il tuo sogno, ET.»
«E io volevo stare con te, pensa tu che idiota.»
«Andiamo, ora non farmi credere di essere un santo. Non hai mai risposto alla mia lettera!»
«Che lettera?»
Quando si rese conto che Lucas non stesse scherzando, Ethan strinse le palpebre. «Che lettera, Luc?»
Ma prima che Lucas potesse rispondergli davvero, prima che potesse dirgli che pure lui lo amava ancora, che pure lui non si era mai disinnamorato, il suono del campanello lo interruppe, ed un tintinnio di campanelli gli fece drizzare i peli.
Il coro dei bambini.
Non poteva ignorarli, no?
Quanto sarebbe stato stronzo da parte sua?
Ma...
C'era Ethan davanti a lui.
C'era Ethan che gli aveva appena aperto il suo cuore.
Ci pensò il professore a risolvere il dilemma, perché si sfilò la torcia dalla nuca e gli occhialini e si passò la mano tra i capelli scuri. «Io me ne vado.»
«No!»
«Non puoi far aspettare i bambini...»
«Chi se ne importa? Ho aspettato sette anni per te!»
«Mi dispiace, Luc, è troppo tardi.»
E si affrettò a correre alla porta per aprirla.
Salutò in fretta e furia i bambini e si addentrò nel cammino di neve con l'impellente desiderio di piangere.
E chissà, forse lo fece anche.
Ciò che è certo, però, è che Lucas pianse, pianse eccome.
The loss of his life.
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