3 || Back to December (Taylor's Version)
It turns out freedom ain't nothin' but missin' you
Wishin' I'd realized what I had when you were mine
I'd go back to December, turn around and change my own mind
I go back to December all the time
CAPITOLO 3 || sushi, biscotti e bambini
Stava mangiando dei nigiri di gambero, Ethan, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Bloccandosi con le bacchette a mezz'aria, non poté fare a meno, in questo preciso ordine, di spaventarsi e poi, subito dopo, domandarsi come mai gli stessero bussando e non suonando il campanello.
Certo era, però, che la cosa non gli dispiacesse affatto, sia perché detestava quel maledetto suono trillante e sia perché, seconda cosa, sua madre stava dormendo pacificamente da qualche ora: svegliarla non era nei piani, specie per via di tutto il tempo che impiegava per riposarsi.
Ancora con il gambero penzolante tra le labbra, corse alla porta calandosi velocemente indosso il giubbotto. Le pantofole con le orecchie da gatto ai piedi a fargli da supporto contro il freddo gelido dell'inverno di Winterford.
Non ci pensò nemmeno a guardare dallo spioncino, brutta abitudine che avrebbe dovuto togliersi, considerando che, prima o poi, a causa di ciò sicuramente qualcuno l'avrebbe accoltellato, e aprì la porta con il suo miglior sorriso (con gambero).
Per poco il gambero però non resuscitò quando Ethan si accorse di avere Lucas davanti.
Rimase lì a fissarlo, piegando la testa incredulo.
«Che shhtai fadento?», domandò, aggrottando le sopracciglia.
Lucas non riuscì a non ridere, nonostante quell'evidente tentativo di bloccare le labbra in una linea retta. «Stavi mangiando?»
Ethan indicò il gambero.
«Certo, hai ragione, domanda stupida», rispose l'altro, scuotendo il capo. «Ti ho portato dei biscotti.»
Sfilandosi la coda del gambero dalle labbra, il professore lo fissò ancora più interrogativamente: «Biscotti? È il sacchetto della signora Patty quello? Ma non ho ordinato nulla.»
«Ti ho detto che ti ho consegnato il tuo ordine, per caso?»
«Touché.»
Lucas gli porse la busta. «Senti, Ethan...»
«Sì?»
«Io, uhm...»
Notando il tremolio che scosse il suo ex fidanzato, Ethan non esitò a farsi da parte sulla soglia della porta, indicando l'ingresso con un cenno del capo: «Su, coraggio, vieni dentro. Così te lo offro io un caffè stavolta.»
«Oh no, non è nec...»
«Insisto, Luc, dai.»
Alla menzione di quel soprannome, che lo aveva accompagnato per tutta la durata della loro relazione, Lucas non ebbe il coraggio di rifiutare e si fiondò all'interno dell'abitazione con la testa china.
«Grazie.»
«Mica devi ringraziarmi», Ethan abbozzò un sorriso. «Solo, ti dispiacerebbe se tenessimo un volume di voce basso? La mamma sta dormendo e non vorrei disturbarla.»
«No, certo, l'avevo immaginato. È per questo che ho bussato.»
«Oh.»
«Perché quella faccia sorpresa?»
«No, niente, è che... beh, non pensavo che...»
«Che avrei prestato attenzione?»
«Già.»
Lucas annuì, la tensione che si stava già accumulando. «Allora...»
«Sì, hai ragione, andiamo in cucina. Vieni pure.»
Ethan non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che, a passo felino, l'altro lo stesse seguendo, era come sentire il suono della sua stessa ombra.
Accomodandosi dov'era seduto fino a qualche minuto prima, gli indicò la sedia di fronte, mentre apriva il sacchetto di biscotti e ne appoggiava qualcuno su un tovagliolo.
I resti di sushi giacevano abbandonati al suo fianco e Lucas non poté fare a meno di sentirsi in colpa per averlo interrotto.
«Scusa per averti rovinato la cena.»
«Non ti preoccupare, avevo pure appena iniziato.»
«Beh, ti ho comunque...»
Prima ancora che potesse finire di parlare, Ethan gli lanciò un hosomaki addosso. «Su, mangia.»
«Ma...»
«Hai già mangiato?»
«No, però, Ethan capisci che...»
«Zitto e mangia, dobbiamo finirci tutto quest'ordine, ho preso troppa roba.»
«E quindi la appiccichi a me?»
«Guarda che l'esperto nel terminare gli avanzi sei sempre stato tu!»
«Ma dove?»
«Ogni singola volta!», rise Ethan, sospirando. «Grazie per i biscotti, comunque», fece, passandogli la confezione piena di sushi. «Non dovevi.»
«Beh, mi sembrava scortese presentarmi a casa tua senza niente.»
«Che te ne pare di una motivazione per questa improvvisata? Te lo dico, ho sentito bussare e mi sono cagato addosso, stavo per prendere un matterello e colpirti.»
«Ma se non hai mai usato un matterello in vita tua», lo rimbeccò Lucas, fissandolo storto. «Comunque dovresti proprio imparare a usare lo spioncino.»
«E tu come fai a sapere che non ci ho guardato?»
«Perché mi hai aperto la porta 8.04 secondi dopo, Ethan. E considerando il pezzo di gambero che avevi in bocca non puoi averci guardato, o ti si sarebbe spiaccicata la coda nel naso.»
«Ha senso.»
«A parte questo... stavo dicendo, mi sembrava scortese venire qui a mani vuote e perciò ho optato per qualcosa che sapevo piacesse anche a tua madre.»
«Uh, grazie... Ma, Luc, dimmi le cose come stanno, per favore, perché sei venuto qui?»
«Perché volevo vederti.»
Di certo, non si aspettava una risposta tanto diretta, ed infatti Ethan boccheggiò mentre cercava di riconnettere il cervello.
Per fortuna che ci faceva pure l'insegnante.
«Qualche, uhm, motivo in particolare?»
Lucas intinse un roll nella salsa di soia. «Andiamo, vuoi davvero giocare la carta del finto tonto?»
«Sì?»
Rialzando lo sguardo dalla ciotolina con il liquido scuro, Lucas lo fissò con un'intensità tale che Ethan per poco non ci rimase secco: «Voglio sapere se c'è ancora una possibilità per una ripresa di una relazione tra me e te.»
Ora sì che quasi soffocò.
«Oh, io.... Lucas... uhm...»
«Non sono venuto a pretendere una risposta ora, non in questo preciso momento almeno», lo rassicurò, facendo un passo indietro. «Ma... vederti ha risvegliato in me sensazioni che non provavo da tempo. Vederti mi ha ricordato per quanto tempo mi sia pentito di non averti seguito a Londra, Ethan. E... se c'è anche una minima possibilità di ricominciare, voglio saperlo.»
«Luc», mormorò il professore. «Non mi pare il caso, io...», si interruppe, non sapendo nemmeno cosa dire o da dove cominciare.
Per quanto tempo aveva sognato che Lucas gli dicesse una cosa del genere? Per quanto tempo aveva desiderato sentire un voglio stare con te da parte sua? Chris ne aveva avuto, detto con molta franchezza, le palle piene.
Ma ora che era lì, ora che lo stava sentendo, beh... non era così sicuro che fosse una buona idea.
«Lo so che sei in una relazione, lo so che non è giusto da parte mia venire qui e dirtelo, ma... Ethan, ci ho pensato così tanto, per così tanti anni.»
«Io... ti ringrazio per avermelo detto, Lucas. Grazie per essere stato onesto, ma... vedi, quando ci siamo separati, non credo di essere mai stato tanto male. Sì, sicuramente la morte di mio padre ha influenzato tutte le reazioni che ho avuto in quei mesi, ma quando tu mi hai detto di smetterla di vederci, mi hai spezzato il cuore. Sono passati tanti anni e non serbo più rancore, ma ho sofferto e non voglio replicare.»
«Ethan, dammi una possibilità, ti prego. Posso dimostrarti che le cose possono andare diversamente stavolta, che siamo cambiati e maturati entrambi e che non siamo più i bambini di un tempo!»
«Io sto con Chris, Luc.»
«Lo so», sussurrò il ragazzo, annuendo. «E credimi, mi odio per star facendo ciò, mi odio per essere qui, ma... Dio, Ethan, per te farei qualsiasi cosa!»
Il professore gli negò lo sguardo, ruotando la testa di lato. «Avresti fatto di tutto anche quando mi hai risposto che avresti preferito farti tagliare una gamba che venire a Londra?»
«Ho sbagliato, non posso negarlo. Ma non mi sono reso conto del mio errore almeno fino a quando non ho realizzato di averti perso, e quando ciò è successo era già troppo tardi, te n'eri andato e non rispondevi neanche più alle telefonate e ai messaggi.»
«Mi hai spezzato il cuore, Luc», bisbigliò. «È semplicemente questa la questione.»
«È il mio rimpianto pù grande.»
«Sono veramente contento che tu sia venuto a parlarmi, ma per quanto ci tenga ancora a te e quello che abbiamo avuto, non è la cosa giusta. Abbiamo avuto la nostra chance ed è andata perduta. Forse dovremmo rassegnarci.»
«Rassegnarci?», replicò Lucas, alzando un sopracciglio. «Mai.»
«Andiamo, hai sempre avuto la coda di ragazzi e ragazze dietro. Non avrai problemi a trovare qualcuno.»
«Io voglio te, accidenti!»
Ethan socchiuse le palpebre per qualche istante. «Quello che è stato è stato, ormai. Il passato è passato und die Rose ist ohne warum, sie blühet weil sie blühet», asserì in tedesco. La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce. «Forse dobbiamo solo lasciar andare il passato, non credi?»
«Pensi davvero che ora che ti ho ritrovato ti lascerò andare tanto facilmente?»
«E tu non pensi che Chris non ne sarà felice?»
«Ci ho pensato, eccome, pure a questo. E sono arrivato ad una conclusione... non voglio trasformarti in qualcosa che non sei, perciò... se dovessi volermi dare una possibilità, se volessi me... prometto di non fare niente.»
«Che vuoi dire?»
«Hai idea di quanto io stia morendo dalla voglia di baciarti, ora?»
Ethan trattenne il fiato.
«Esatto, tanto. Ma non lo farò. Non lo farò per rispetto tuo e della tua relazione. Non lo farò perché non voglio renderti un traditore. Non lo farò perché ti conosco.»
«Luc...»
L'altro però scosse il capo. «Non è l'unico motivo per cui sono venuto qui.»
«Qual è l'altro?»
«Ho visto che non hai ancora appeso le decorazioni, avevi detto che l'avresti fatto ieri.»
«La mamma era in vena di ricordi ieri, abbiamo guardato tutti gli album fotografici realizzati da papà.»
«Oh.»
«Mh mh, è stato un colpo, ma al tempo stesso è stato bello.»
«Mi spiace...»
Ethan abbozzò un mezzo sorriso. «Non importa. Stavi dicendo?»
«Beh, volevo aiutarti a decorare.»
«Hai sempre detto che le decorazioni sono una cosa che odi!»
«Odio appenderle, non odio le decorazioni.»
«E mi stai proponendo di aiutarmi?»
Lucas lo fissò in un modo tale che lo fece pentire di essere nato sveglio: «Ti proporrei pure di affogarmi, ET.»
«Dovrei esserne felice?»
«Scegli tu.»
Gli rispose l'altro, sgraffignando un biscotto e addentandolo. «Allora? Dove le tieni queste decorazioni?»
«Non so se sia una buona idea, Luc. Anzi, ne sono pure quasi convinto.»
«Quasi? Quindi c'è una parte di te che vorrebbe?»
«Luc...»
«Come amici, ET, come amici. In memoria dei vecchi tempi.»
Sospirando, il professore acconsentì. «E va bene», mormorò. «Va bene.»
E senza aggiungere altro, corse a prendere lo scatolone con le cose da appendere.
Sarebbero state delle ore proprio lunghe, le successive.
«Ci pensi mai agli universi paralleli?»
Gli chiese Lucas all'improvviso, mentre insieme, senza mai guardarsi in faccia, appendevano delle ghirlande rosse alle scale.
La luce soffusa delle candele profumate che sua mamma gli faceva accendere sempre ad illuminare il loro operato.
«Sì, tu?»
«Sì.»
«Perché me l'hai chiesto?»
«Per niente in particolare. Mi sono ricordato che un tempo ti sarebbe piaciuto insegnare anche filosofia, ecco tutto.»
«Ah sì, bei vecchi tempi. Ma se ti ricordi volevo insegnare anche letteratura.»
«Oddio, cosa mi hai sbloccato! Mi ricordo ancora il tuo quadernino, quello dove ti appuntavi sempre le frasi e che ti portavi sempre dietro!»
«Chissà che fine ha fatto, non l'ho mai più rivisto.»
Di certo, Lucas non gli avrebbe mai detto di averlo avuto lui per tutto quel tempo.
Di averlo conservato un po' come un diario in attesa di tornare dal suo proprietario.
Di aver riletto quei pensieri all'infinito solo per dire di essersi sentito vicino all'autore.
Qualche frase ce l'aveva pure bella scolpita nella testa.
The storms in my head ruined the garden that my soul holds.
La sua preferita fin dal momento in cui Ethan gliel'aveva fatta leggere.
«L'avrai portato a Londra con te e poi l'avrai dimenticato in qualche cassetto», suggerì Lucas, Ethan che annuì distrattamente.
«Sì, forse.»
Per un attimo cadde il silenzio, che ben presto però venne interrotto dal suono dello sbadiglio di sua madre, segno del suo risveglio, sommato a quello incredibilmente fastidioso del citofono.
Ethan si spicciò ad aprire la porta, confusamente, e per poco non gli venne un attacco di cuore quando una figura maschile lo spinse dal petto all'istante, ricacciandolo dentro la casa.
Lucas sgranò lo sguardo, incerto su cosa fare davanti a quella specie di maschera bianca che l'uomo aveva indosso, almeno fino a quando Ethan non afferrò la prima cosa non di vetro dell'appartamento che trovò e la lanciò addosso al suo aggressore.
«Sei un coglione, Chris!», sbuffò. «Mi farai venire un infarto prima o poi.»
Lucas alzò le sopracciglia, immediatamente consapevole di chi avesse di fronte.
«Scusa!», esclamò l'inglese, liberandosi il viso dalla maschera e non riuscendo a smettere di ridere. «È che prima o poi devo insegnarti a guardare dallo spioncino!»
«Non è una scusa per farmi prendere un colpo, deficiente!», ribadì Ethan, tirandogli un coppino dietro al collo.
Riuscendo un po' a pacarsi, finalmente Chris si rese conto di chi fosse presente in casa e con il suo miglior sorriso porse la mano a Lucas, fingendo di non averlo mai visto in tutta la sua vita.
«Ciao! Io sono Christian, puoi chiamarmi Chris!»
«Lucas.»
«Stavate appendendo le decorazioni? Aw! Che bello.»
«Sì, prima che ci traumatizzassi.»
«Che esagerato sei, Ethi-Ethi.»
«Effettivamente ha ragione, ET», confermò Lucas, beccandosi una fulminata da Ethan. «Dovresti imparare a guardare lo spioncino.»
«Sì, ho capito, me l'hai detto prima. Ma qui mi sfugge un dettaglio...»
«Cioè?», domandò Chris, riaprendo la porta solo per recuperare il proprio bagaglio. «Cos'è che non ti quadra, messere?»
«Cosa ci fai qui? Pensavo dovessi arrivare la prossima settimana!»
«Ma come...», Chris sembrò incupirsi, l'ansia che si stava palesando nella sua voce.
Voltandosi totalmente verso i due ragazzi, prese a sorreggersi la pancia, massaggiandola in maniera circolare. «Ethan... sono incinta!»
La faccia di Ethan sarebbe stata da incorniciare, tant'era sconvolto.
«Ma che cazzo stai dicendo?»
«Hai sentito bene! Sono incinta, Ethan! E non riesco a tollerare il fatto che tu sia venuto qui senza di me, lasciandomi da solo a casa a custodire il nostro bambino!»
«Ma hai bevuto?»
«LE PERSONE INCINTE NON BEVONO!»
Ethan sbatté le palpebre lentamente, forse cercando di darsi un contegno, salvo poi cedere inesorabilmente alla tentazione.
«Di quante settimane?»
Chris lo fissò fintamente offeso. «NON SAI NEMMENO...»
«Non strillare.»
«Non sai nemmeno di quante settimane?! Uff, sei una delusione come padre!»
«Hai assolutamente ragione, ma vedi... sono venuto qui per metterti le corna.»
«E lo dici con una tranquillità tale?»
L'altro quasi scoppiò a piangere.
Ethan si mise a ridere. «Sei un idiota, Chris.»
«Grazie, grazie!», sorrise il suo migliore amico, con un finto inchino. «Lo so di essere meraviglioso!»
Poi si rivolse nuovamente a Lucas: «Giuro che di solito sono normale!»
«Non è vero.»
«Tu stai zitto, Ethi-Ethi, non hai diritto di parola.»
«Motivo?»
«Damnatio memoriae.»
«Sì, Caligola. Dai, su, rispondimi alla domanda che ti ho fatto.»
«Te l'ho detto, mi sono licenziato!»
La bocca del professore si spalancò: «Ma sei scemo?»
«No! Tanto a furia di stare seduto su quella sedia mi si piallava il culo, come pretendo di farmi inculare se...»
«CHRIS!»
Ridacchiando, il ragazzo tornò composto. «Ti volevo fare una sorpresa, ma mi sa che ti ho trovato in buona compagnia.»
Solo allora Lucas sembrò ridestarsi dal suo stato di tepore. «Oh no no! Stavamo solo...»
«Appendendo le decorazioni, sì. È il nuovo modo di dire che vi stavate mangiando con gli occhi?»
«CHRIS!»
«Basta strillare, Ethan!»
«Tu smetti di dire cagate!»
«Mai!»
Gli tirò un altro aggeggio dal mobile.
«AIA, ETH. Sei pazzo?»
«Sì.»
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