8.

Qualcuno bussava alla porta. Hunter si stropicciò gli occhi e mise i piedi in terra. Guardò fuori della finestra. Il cielo si andava schiarendo. Fece le scale e si fermò a due passi dalla porta. Vide un paio di spalle enormi e una testa come un pianeta oltre la tendina bianca.

«Eddai Schizzo, non ho tutto il giorno», fece Vince.

Hunter aprì.

«Ti sei deciso», disse il biker, sulla soglia.

«Che ore sono?» chiese Hunter, la voce impastata.

«Per te è l'alba, per me è quasi ora di andare a nanna. Prima, però, devo scaricare 'sta roba.»

Hunter si accorse del borsone ai piedi di Vince. Il biker lo raccolse ed entrò. Hunter si fece da parte per farlo passare.

«Non disturbarti, conosco la strada», fece Vince, e andò di sopra.

Hunter chiuse la porta e andò in cucina. Aprì lo sportello del frigo e trovò il deserto dei Tartari. Chiuse, raggiunse il lavandino, fece scorrere l'acqua e bevve. Non era champagne ma neanche distillato di merda. Diciamo una via di mezzo tra i due.

Sentì Vince muoversi al piano di sopra. Chissà che cazzo stava combinando. Dopo un po' lo sentì scendere e uscì in corridoio. Vince non aveva più il borsone con sé.

«Tutto sistemato», disse ad Hunter. «Vado a schiacciare un pisolino.»

Raggiunse la porta, la aprì e, mentre usciva, si fermò. Si voltò e disse ad Hunter: «Bowie ha deciso di promuovere Roy. In mattinata gli diamo la nuova divisa. Ti va di passare?»

«Okay», fece Hunter.

«Grandioso», disse Vince, e si congedò con un ghigno dei suoi, anche se un po' fiacco rispetto al solito.

Hunter lo udì scendere i gradini e, quando la Harley ruggì, gli tornò in mente il sogno che aveva fatto. Una strana euforia, figlia di quella provata la notte prima, mise il naso fuori dalla tana.

Tornò di sopra e, con il sogno che gli vorticava nel cervello come un uccello che ha perso l'orientamento, si mise a letto e si addormentò. Quando si svegliò, tre ore più tardi, lo stomaco brontolava. Decise di uscire, ma prima si cambiò i vestiti. Indossava ancora la maglia strappata del giorno prima. Fece anche una tappa al cesso per controllare la ferita. Aveva un aspetto di merda, ma non troppo. La bagnò con un po' di tintura di iodio e se la fasciò. Alla fine sembrava una mummia bendata – male – per un quarto. Indossò una maglia pulita e uscì.

Il cielo era di un azzurro che faceva male agli occhi, e il sole splendeva fulgido come l'anima di Dio.

Hunter serrò la porta, si ficcò la chiave in tasca e si incamminò lungo la Glover. Aveva una fame d'inferno e le tasche vuote come una tomba il giorno del Giudizio Universale. Doveva farsi venire in mente qualcosa. Lo sfiorò il pensiero di recarsi al Little Bitch, ma l'ultima cosa che voleva era mendicare un tozzo di pane. No, doveva cavarsela da solo. Come faceva il Piccolo Cacciatore.

Svoltò su Main Street e si diresse verso lo spaccio di Pete Johnson. Non aveva voglia di rimettere il naso lì dentro, ma non c'era granché scelta. In quel buco di culo di città, lo spaccio di Johnson era come un'oasi in mezzo al deserto. Buttò un occhio al Torton's Antiquary e non vide in agguato il vecchio. Si decise allora a mettere il naso oltre la soglia dello spaccio. Pete era dietro la cassa, seduto a leggere il giornale. Ogni tanto alzava lo sguardo, dava un'occhiata in giro e lo riportava sulla carta.

Quando Hunter entrò, Pete sollevò la testa, lo vide, e una valanga di emozioni gli passò sul volto. Si irrigidì, abbassò lo sguardo e finse di leggere il giornale. Hunter lo degnò di un'occhiata veloce e sparì fra gli scaffali.

Un ragazzo allampanato, con capelli biondo cenere che gli arrivavano alle spalle e una barba corta, si aggirava per il negozio. Ecco a chi erano dirette le occhiate di Pete Johnson. Hunter gli passò di fianco e si mise alla ricerca di qualcosa da poter inguattare. Per fortuna indossava una maglietta larga, che gli cadeva ben oltre la cinta. Vide uno snack della grandezza giusta. Lo prese, sollevò la maglietta e se lo ficcò nella cinta.

«Ehi.»

Hunter si girò, convinto di trovare Pete Johnson che lo scrutava con occhi di fuoco. Invece trovò gli occhi umidi del giovane che lo fissavano. Sembravano quelli di un pesce. Indossava una maglia col logo dei Nirvana, gualcita come un lenzuolo dopo una notte di sesso sfrenato, e pantaloni larghi. Una cintura, che era una corda infilata tra i passanti, aiutava i pantaloni a restare su.

«Quello stronzo non mi toglie gli occhi di dosso.»

Hunter guardò i calzoni del giovane. «Quanta roba puoi inguattare, lì dentro?» chiese.

«Un bel po'.»

Hunter si sporse dal retro di uno scaffale per guardare in direzione della cassa. Pete Johnson era impegnato a leggere le notizie del giorno, ma non lesinava un'occhiata veloce di quando in quando.

Hunter tornò a rivolgersi al giovane. «Ficcaci dentro tutto quello che riesci. Io lo tengo impegnato. Ci vediamo fuori.»

Il ragazzo annuì. Hunter raggiunse la cassa. Pete Johnson sollevò lo sguardo e gli rivolse una smorfia. Hunter capì che provava a sorridere.

«Ciao...» mormorò.

Gli uscì fuori come il sospiro di uno spettro. Si schiarì la voce.

«Come stai?» chiese, imbarazzato peggio di un prete in un bordello.

«Come uno col culo a fette», rispose Hunter.

In realtà il culo non gli faceva più tanto male. A forza di prenderle gli era diventato di gomma. Assorbiva il dolore come un airbag gli urti.

Pete fece una smorfia. Le orecchie gli diventarono rosse come due fette di pomodoro.

«Il mio vecchio dice che avete fatto un buon lavoro. Non buono quanto il suo, ma la sufficienza ve la meritate tutta», disse Hunter.

Il volto di Pete divenne come la pelle di un tamburo. Le rughe appena accennate si tesero, scomparendo.

«Ha detto anche che non gli piace quando uno tocca la sua roba. E anche se avete fatto un lavoro coi controcazzi, nessuno vi ha detto che potevate farlo, e adesso è parecchio incazzato. Dice che nel pomeriggio vuole chiarire la cosa con te e con quell'altro bacucco che sta qui di fronte.»

«È stato Torton a prenderti a cinghiate», disse Pete, abbassando il giornale.

«Vero, ma tu l'hai aiutato.»

«Ma se mi sono messo in mezzo per fermarlo! Santo Dio, se non era per me, a quest'ora il tuo culo era buono per la vetrina di un macellaio!»

«Se proprio volevi fermarlo, dovevi farlo dopo la prima cinghiata.»

Pete strinse il giornale fra le dita tremanti. Hunter non riuscì a capire se tremasse per la rabbia, la vergogna o la paura dovuta alla notizia che Joe Grimes gli avrebbe fatto visita nel pomeriggio. Non che avesse importanza. Mentre Pete provava a digerire la tonnellata di merda che Hunter gli aveva ficcato in gola, il giovane passò dinanzi alla cassa con la nonchalance di un mentecatto che attraversa una pioggia di bombe munito di ombrello e uscì dallo spaccio.

Hunter fece per andarsene, ci ripensò e sparò ancora una cartuccia.

«Se mi vede tornare con un'offerta di pace, che so... diciamo un paio di confezioni di birra, forse decide che non vale la pena alzare il culo e venire fin qui, e resta a sbronzarsi davanti alla Tv.»

Pete si rianimò. Hunter vide la scintilla di una fioca speranza farsi largo nei suoi occhi. Mollò il giornale, si alzò e andò a prendere due confezioni di Budweiser dal frigorifero. Le impilò una sull'altra e le consegnò ad Hunter, che girò i tacchi e uscì dallo spaccio.

Una volta fuori si guardò in giro, alla ricerca del giovane. Quando iniziava a pensare che quella brutta copia di Kurt Cobain se la fosse filata, vide la zazzera di capelli spuntare da un vicoletto. Il giovane gli fece segno. Hunter lo raggiunse e si infilò nel vicolo.

«E quelle?» chiese il giovane indicando le confezioni di birra.

«Bottino di guerra», rispose Hunter.

«Come cazzo hai fatto?»

«L'ho ipnotizzato. Svuota le tasche.»

Il giovane sollevò la maglia, tolse la roba che aveva fregato e la ammucchiò ai piedi di Hunter. Alla fine c'era una montagnola, e Hunter si chiese come diavolo avesse fatto a fregare tutta quella roba. Aveva rubato anche due sacchetti di noccioline. Se li era ficcati nelle mutande. Hunter fu felice di lasciargliele.

Si spartirono il bottino come due marmocchi dopo la questua dell'Halloween. Poi il giovane prese le confezioni di birra.

«Quelle sono mie», fece Hunter.

«Cazzo te ne fai? Hai sì e no l'età per bere dal cartone del latte.»

«Ho degli amici grossi e incazzati che bevono come spugne.»

Il giovane ghignò. «E chi sono? I Teletubbies?»

«No, i Death's Angels

Il ghigno si spense.

«Balle», disse Cobain.

«Chiedi a Bowie», fece Hunter. «Se vuoi ti ci porto. Stanno al Little Bitch, su Gas Street. Così gli dici che ti sei fregato la loro birra.»

Il giovane tergiversò. Alla fine, posò le confezioni di birra, raccattò la propria parte di bottino, se la ficcò nella cinta e se ne andò. Hunter si riempì a sua volta, e gonfio come una calza la mattina di Natale, passò davanti allo spaccio di Pete, senza fretta, e si girò a guardare all'interno. Pete era assorto. Fissava la cassa e aveva la faccia di uno che ha appena seppellito la madre.

Hunter sorrise come un folletto dispettoso e passò oltre.

Quando arrivò al Little Bitch, trovò un paio di Angels nello spiazzo antistante il bar. Armeggiavano con una moto. Uno era chino, l'altro in piedi a osservarlo. Quello chino si alzò, si voltò e disse qualcosa. Hunter riconobbe Ozzy.

«Portala sul retro, te la rimetto in sesto in un attimo», disse Ozzy.

Quell'altro montò in sella, e Hunter vide che si trattava di Moses. Aveva un'aria incazzata. Spingendosi con i piedi, si avviò nella direzione opposta a quella dalla quale arrivava Hunter. Ozzy restò un attimo a guardarlo, mosse verso il bar e si accorse di Hunter.

«Yo, Schizzo», disse. Si accorse degli svariati rigonfiamenti che deformavano maglietta e calzoni. «Che cazzo hai fatto?»

«Provviste per l'inverno», rispose Hunter.

Ozzy ghignò. «Anche quella?» chiese guardando la birra.

«Questa è per voi.»

«Sei un mito. Vieni dentro, che la mettiamo in fresco.»

Varcarono la soglia del Little Bitch. Gli Angels erano dentro. Tutti meno Moses e Vince.

«Quest'anno Natale arriva in anticipo», esordì Ozzy.

Gli Angels si voltarono e videro Hunter che lo tallonava. Bowie smontò dal suo sgabello e gli andò incontro. Come Ozzy, notò le gibbosità sotto i vestiti.

«Che hai, lì sotto?» chiese, e sollevò la maglia di Hunter.

Vide gli snack e l'altra roba che faceva capolino da sopra la cintura e ghignò.

«Sei un tipo pieno di sorprese», disse.

Joey, seduto poco distante, si avvicinò.

«Neanche Arsène Lupin avrebbe saputo fare meglio», commentò.

«Chi?» chiese Bowie.

«Lascia perdere», tagliò corto Joey.

Bowie lo scrutò corrucciato.

«Questa è per voi», disse Hunter, e porse la birra a Bowie.

Il gigante mollò la maglia e prese le due confezioni di Budweiser.

«E questa come hai fatto a fregarla?» chiese Joey.

Hunter gli raccontò tutta la storia.

«Be', mi pigliasse un colpo», fece Joey. «Oltre alle palle hai anche un bel po' di ingranaggi ai piani alti.»

«Niente male per uno alto come un nano da giardino», fece Ozzy.

In quel mentre spuntò Moses dal corridoio in fondo al locale. Guardò Ozzy e sbraitò: «Ti muovi? Sto diventando vecchio, porca di una puttana.»

Girò i tacchi e sparì. Sentirono la porta sul retro sbattere.

«Il dovere mi chiama», disse Ozzy.

Lui e Bowie si lanciarono un'occhiata di difficile interpretazione, poi Ozzy infilò il corridoio dal quale Moses era spuntato. Bowie posò la birra sul bancone. Roy, seduto alle sue spalle, prese le due confezioni, aggirò il bancone e le mise in fresco.

«Quel tizio che ti ha aiutato», fece Bowie, «si chiama Zane. Coltiva basilico e lo spaccia per marijuana.»

«Gli darei tanti calci in culo quanti a un Viper», disse Joey.

«A proposito di Vipers», disse Bowie, «meglio se vado a parlarci, con Moses. Aveva l'aria di chi sta per fare qualche cazzata.»

Neanche il tempo di dirlo che udirono il rombo di un motore. Si voltarono verso la vetrina e videro il furgone di Matt Wilkes che lasciava lo spiazzo. Alla guida c'era Moses. Un istante dopo Ozzy venne fuori dal corridoio, trafelato.

«Mi dispiace, ho provato a fermarlo. Vuole ammazzare lo stronzo che gli ha scassato la moto.»

Bowie si alzò. «Andiamo», disse.

Raggiunse la porta d'ingresso. Gli Angels lo seguirono senza fiatare.

«Se i Vipers non lo ammazzano, lo faccio io», disse a nessuno in particolare. «Roy, le chiavi della tua moto?»

«Sono nell'accensione», fece Roy.

«Resta col ragazzo», disse Bowie, e uscì.

Roy, che stava seguendo la corrente, si fermò. Joey gli passò accanto e gli strizzò una spalla. Gli Angels gli sciamarono accanto. Un paio gli affibbiarono una pacca sulla schiena.

«Ora mi tocca fare anche la baby-sitter», sbuffò Roy.

Aggirò il bancone e si chinò. Quando riemerse aveva in mano una lattina di birra.

«Ne vuoi?» chiese. Hunter fece segno di no. «Non c'è nient'altro in fresco.»

«Sto bene così», disse Hunter.

Roy stappò la birra e bevve.

«Mettiti comodo. Ne avranno per un bel po'», disse.

Hunter si arrampicò su uno sgabello. Sfilò tutta la roba che gli impediva di sedere comodo e la mise sul bancone. Guardò il gilet di Roy e notò per la prima volta una differenza con quelli degli altri Angels. Quello di Roy era piuttosto scarno. Ricordava che Vince e Bowie avevano delle toppe ad altezza del petto, e che su quelle strisce di tessuto c'era scritto qualcosa, ma non è che ci avesse prestato molta attenzione. Il gilet di Roy ne aveva solo una, di toppa, un po' sopra il cuore. Sulla sua c'era scritto: PROSPECT.

Roy aggirò il bancone e sedette accanto ad Hunter.

«Intanto che aspettiamo potresti offrirmi qualcosa», disse Roy, guardando la refurtiva sparsa sul bancone.

«Prendi quello che vuoi», disse Hunter.

«Era quello che speravo di sentire.»

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