23.

Joey svoltò su Pritchard Avenue, una strada lunga e dritta che sembrava non avere fine. Senza il suo gilet si sentiva più nudo di una spogliarellista, ma era necessario se non voleva diventare un bersaglio mobile. Non che così passasse inosservato – era pur sempre un bisonte tatuato a cavallo di una Harley – ma senza i colori di un club sulla schiena era meno probabile che gli sparassero addosso.

O almeno così sperava.

Si guardò intorno. C'erano svariate botteghe: il barbiere col classico cilindro rotante con le tre strisce che ricalcavano il motivo della bandiera americana, una drogheria, una piccola farmacia. Ma ciò che attirò l'attenzione di Joey fu un bar. L'insegna era scolorita, si leggeva a malapena il nome, e sotto questa erano parcheggiate due moto.

Joey rallentò, lasciò la Harley sul ciglio della strada e smontò. Diede un'occhiata alle due moto, una 883 e una Roadster – non erano niente male – ed entrò. L'odore di birra e sudore lo raggiunse subito. Sulla destra c'erano dei videogames. Un flipper era occupato da un tizio grasso con i capelli lunghi e una barba rada. Teneva la pancia poggiata sul vetro come un prosciutto sul bancone di un macellaio e schiacciava i tasti ai lati con più foga del necessario. Aveva un'aria seria, la stessa di un chirurgo impegnato in un complicato intervento.

In fondo al locale c'era il bancone, dove un paio di tizi sedevano a bere su sgabelli dall'aria parecchio scomoda. Sulla sinistra c'erano dei tavoli, molti dei quali occupati, e più in là ancora un biliardo dove due tizi giocavano.

Joey si avviò verso il bancone e prese posto accanto a un tizio con una camicia a quadri con le maniche strappate. Il braccio destro era un'accozzaglia di tatuaggi. Joey chiamò il barista con un cenno e ordinò una birra. Il barista prese un boccale, lo riempì, glielo fece scivolare sotto il naso e girò i tacchi.

«Sto cercando un tizio», lo fermò Joey.

Il barista si voltò. «Mi hai preso per l'ufficio informazioni?»

«Sei di queste parti, no? Magari lo conosci.»

Il barista lo scrutò. «Sei uno sbirro?»

«Mi hai guardato bene?»

«Se sei uno sbirro devi dirmelo.»

«Non sono uno sbirro. Sto solo cercando Lonnie Parker. Sai dove posso trovarlo?»

Il tizio tatuato si girò. «Che vuoi da Parker?» chiese.

Il barista ne approfittò per allontanarsi.

«Solo farci due chiacchiere», rispose Joey.

«E l'argomento di conversazione?»

«Voglio entrare nel suo club.»

Il tizio squadrò Joey da capo a piedi. «La stazza ce l'hai, ma le palle?»

«Due e rotonde», rispose Joey. «Vuoi vederle?»

Il tizio si passò la mano sulle labbra e sorrise a mezza bocca. «Sono uno che si fida», rispose.

Chiamò il barista e gli indicò il bicchierino che aveva sotto il naso. L'uomo arrivò con una bottiglia, riempì il bicchiere e si allontanò. Il tatuato buttò giù il whisky e smontò dallo sgabello.

«Andiamo», disse.

«Dove?» chiese Joey.

«Vuoi vedere Parker o no?»

Joey si alzò. Il barista gli urlò dietro che non aveva pagato la birra e il tatuato disse: «Mettila sul mio conto.»

«Non ce l'hai mica un conto, tu», fece il barista.

«Vuol dire che gliela offri tu.» Si rivolse a Joey. «Andiamo.»

Passarono accanto ai tavoli da biliardo. I tizi impegnati a giocare li degnarono di un'occhiata. Il tatuato infilò un breve corridoio e aprì una porta. Joey lo seguì e si ritrovò sul retro del locale: un quadrato chiuso.

«Fammi indovinare», disse Joey. «Parker aveva un impegno.»

Il tatuato si voltò e Joey vide che aveva indossato un tirapugni. «Hai vinto un calcio in culo. Vediamo se indovini anche che succede adesso.»

«Che ti faccio il culo a strisce verticali», disse Joey.

Il tatuato gli mostrò i denti, e mentre Joey si preparava, la porta alle sue spalle si aprì e ne uscì il ciccione che giocava a flipper. Aveva una macchia di sudore sulla maglia, all'altezza dell'ombelico. Si chiuse la porta alle spalle e incrociò le braccia sul petto. Era grosso da far schifo. Non quanto Maude, ma ci andava vicino.

«Lui è Bob», disse il tatuato.

«Bob...» salutò Joey.

Bob non rispose.

«Non è un gran chiacchierone», spiegò il tatuato.

«Sicuro che non è ritardato?»

«Naa. È solo un po' timido.»

«Volete attaccarmi insieme o devo scegliere io chi pestare per primo?»

Il tatuato grugnì divertito. «Hai capito male. Bob è qui per assicurarsi che non te la fili.»

«Non ci crederai, ma questa l'ho già sentita.»

Si piegò un poco, spinse il culo all'infuori e sollevò le braccia. Sembrava un lottatore di sumo. Il tatuato lo guardò incuriosito, quindi sollevò i pugni. La luce del tramonto illuminava la metà superiore dell'edificio alle sue spalle, lasciando all'ombra il quadrato entro il quale si trovavano i tre bestioni.

Joey e il tatuato cominciarono a girare in circolo come due leoni in gabbia. Il tatuato si avvicinò trascinando i piedi sul cemento. Joey non arretrò, e quando l'altro fu abbastanza vicino fintò un attacco. Il tatuato scattò, si accorse che Joey non aveva davvero intenzione di colpirlo e si incacchiò. Tentò un diretto col tirapugni, poi un calcio basso. Joey schivò il pugno e assorbì il calcio come meglio poté. Il tatuato arretrò ristabilendo le distanze.

«Tutto qui?» fece Joey. «Se questo è il tuo meglio, preferisco provare con Bob.»

Il tatuato si rifece sotto. Fintò un colpo e provò un gancio. Joey sollevò il braccio e il tirapugni lo colpì poco sopra il gomito. Il tatuato continuò a menare pugni e calci bassi. Joey riuscì a evitare solo i pugni. I calci lo raggiunsero, e in un'occasione quasi perse l'equilibrio. Il tatuato lo beccò alla caviglia e la forza del colpo fece traballare Joey, che si riprese subito e si accorse che l'altro l'aveva costretto in un angolo.

«Ora non fai più tanto lo spaccone, eh?» disse il tatuato.

«Ho deciso di prendere a esempio Bob», rispose Joey, suscitando un sorrisetto nell'altro.

Il tatuato si lanciò su Joey come un diavolo e prese a tempestarlo di pugni. Joey gli bloccò il polso destro, quello attaccato alla mano col tirapugni, e i due iniziarono a darsele con l'unica mano libera. Mentre se le davano come due fabbri il tatuato provò a sottrarsi, ma Joey non lo mollò. Se avesse lasciato la presa, l'altro avrebbe ripreso vantaggio.

Il tatuato lo colpì poco sopra l'occhio, spaccandogli un sopracciglio. Il sangue ruscellò sull'occhio di Joey, che d'improvviso si ritrovò orbo come un pirata. Il tatuato ne approfittò per mollargli una ginocchiata nei coglioni. Joey mollò un oughf! di sorpresa e si piegò, lasciando la presa. Libero di usare il tirapugni, il tatuato iniziò a fargli il culo. Colpì Joey alle costole più volte, poi tirò fuori un coltello a serramanico e fece scattare la lama.

«Chi cazzo sei?» chiese a Joey, rannicchiato a terra come un feto. «Non hai l'aria di uno sbirro, ma magari mi sbaglio. Potresti essere un federale.»

«Sono Babbo Natale», rispose Joey. «Ma non dirlo in giro.»

Il tatuato gli ficcò la lama nella coscia. Joey urlò e allungò le mani verso il coltello. Il tatuato lo ricacciò indietro con un pugno sul grugno.

«Te chiedo di nuovo», riprese il tatuato. «Chi cazzo sei, e perché cerchi Parker?»

«Okay, hai vinto. In realtà sono la Fatina dei Denti, devo dare a Parker gli arretrati...»

Il tatuato rigirò la lama. Joey urlò come un porco scannato. La porta alle spalle di Bob si aprì e incontrò la schiena del grassone. Il barista disse: «Ehi, che diavolo combinate?»

«Una chiacchierata fra amici», disse Bob.

Mise una mano in testa al barista e lo ricacciò dentro.

«Ne ho piene le palle di voi figli di puttana. Ora chiamo la polizia», sbraitò il barista.

«Tu non chiami un cazzo di nessuno», disse Bob. «O ti faccio a pezzi il locale e poi ti apro a metà quella testa di cazzo.»

«E mandalo al diavolo», fece il tatuato.

Si voltò un istante e Joey approfittò di quel momento. Tirò indietro la gamba sana, e quando l'altro si voltò gli stampò la suola in faccia. Il tatuato volò via. Joey si sollevò usando il muro alle sue spalle come appoggio, afferrò il coltello che spuntava dalla coscia sinistra e lo tirò via. Il dolore lo fece ruggire. Raggiunse zoppicando il tatuato e gli rese pan per focaccia. Gli mollò qualche cazzotto, lo girò sulla pancia e gli piantò un ginocchio sulla schiena. Poi gli ficcò il coltello tra le scapole. Il tatuato mollò un urlo che riverberò sulle pareti di cemento e arrivò in paradiso.

«Vinnie!» urlò Bob.

L'ansia nella voce era palpabile.

«Dov'è Parker?» chiese Joey.

«Fottiti», disse Vinnie.

Joey ruotò il coltello.

Vinnie urlò e prese a piagnucolare. «Bob!» chiamò.

Joey si voltò e vide che Bob era indeciso sul da farsi.

«Il vecchio sta chiamando gli sbirri», disse Bob.

«Aiutami, cazzo!» sbraitò Vinnie.

Bob guardò la porta, poi Vinnie. «Non posso farmi beccare. Sono in libertà vigilata», disse.

Spalancò la porta e filò via.

«Gran bell'amico», fece Joey. «Allora? Sto aspettando.»

«Non ti dico un cazzo, vai a faaaaaAAAA...!»

Joey rigirò di nuovo il coltello. «Sto perdendo la pazienza», disse, e rigirò ancora la lama.

«Bridge Street! Una sala biliardo su Bridge Street, Cristo!» guaì Vinnie.

«Visto che era facile?» disse Joey.

Lo afferrò per i capelli e gli sbatté la faccia sul cemento. Vinnie partì per il mondo dei sogni.

«Figlio di puttana.»

Joey si alzò e zoppicò fino alla porta. Infilò il corridoio e tornò nel bar. Il barista era dietro il bancone. Aveva la faccia tirata e imbracciava un fucile. Disse: «Ho chiamato la polizia.»

Teneva le canne puntate su Joey. Le mani gli tremavano.

«Congratulazioni. Sei un cazzo di eroe», disse Joey.

Attraversò il bar e uscì. La 883 era sparita. Inforcò la sua Harley con qualche difficoltà e schizzò via. Fece tutta la Pritchard senza rispettare uno STOP, e quando udì i belati delle sirene si infilò in un vicolo. Vide le porcilaie schizzare in strada, attese che si allontanassero e ripartì. Pochi minuti più tardi imboccò il vicolo dove i ragazzi aspettavano.

«Che cazzo ti è successo?» chiese Vince quando lo vide. «Hai preso un camion di faccia?»

Si accorse della ferita alla gamba.

«E quella?» chiese indicandola.

«Un tizio con la luna storta», rispose Joey.

Smontò stringendo i denti, e quando Vince si avvicinò per aiutarlo lo fermò con un cenno della mano.

«Quando sarò morto potrai toccarmi», fece Joey.

«A giudicare da come sei messo, sei sulla strada buona.»

Joey ghignò. «So dove stanno quegli stronzi. Una sala biliardo su Bridge Street.»

«D'accordo», fece Bowie. Guardò l'arancio del sole che andava spegnendosi. «Preparatevi.»

Venere ammiccava in cielo come un gioiello distante anni luce.

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