2.
Hunter si alzò e camminò fino alla porta. Posò l'orecchio sul legno e restò in ascolto. Nessun rumore sospetto. Ruotò il pomello e aprì uno spiraglio. Buttò un occhio, si assicurò che suo padre non fosse in corridoio e uscì. Passò accanto al piccolo parapetto e udì la Tv dabbasso. Immaginò il suo vecchio seduto in poltrona e gli augurò di strozzarsi con la prossima birra.
L'avrebbe bevuta lo stesso, anche se non era della sua marca preferita. Quella era solo una scusa per gonfiarlo di botte. Ne trovava sempre una.
Hunter si infilò in bagno e chiuse la porta. Si guardò allo specchio. Aveva una guancia rossa e gonfia come un pomodoro maturo. C'era un taglio che campeggiava nel mezzo di quella rosa vermiglia. Poca roba, se paragonato ai segni che il suo vecchio gli lasciava di solito sulla schiena e sul culo.
Aprì l'anta dell'armadietto a specchio e prese dal ripiano più basso ovatta e tintura di iodio. Quella roba bruciava un casino, ma era quasi piacevole se paragonata alle ripassate del suo vecchio.
Intinse l'ovatta e si tamponò la ferita.
Cazzo, se bruciava.
Se fosse stato grosso come uno di quei biker che avevano invaso la Main Street avrebbe appeso il suo vecchio al primo ramo e l'avrebbe randellato come una pentolaccia messicana. Usando un bastone chiodato.
«Figlio di puttana», mormorò a denti stretti.
Se sua madre fosse stata lì non l'avrebbe permesso. Avrebbe ucciso quel bastardo ciucciabirre nel sonno, pur di farlo smettere.
Già, ma la mammina non c'è, gli fece notare una voce, dura come l'acciaio. È al cimitero, sepolta sotto un metro e mezzo di terra.
Hunter ripose la tintura e gettò l'ovatta nel cestino sotto il lavabo. Per un attimo la vista si appannò e il mondo si scompose in tanti prismi. Hunter ricacciò indietro le lacrime e, da liquido che era, il mondo tornò solido come un blocco di pietra.
Non fare la femminuccia, si disse.
La voce interiore assunse le armoniche paterne, col risultato di farlo incazzare come una biscia. Hunter soffocò il ricordo di sua madre e uscì dal bagno. Tornò dabbasso e si affacciò in soggiorno.
Il suo vecchio ronfava della grossa. Aveva la canottiera sollevata oltre l'ombelico e il mento sul petto. Ogni volta che inspirava il pancione si gonfiava come una grossa palla medica. Con tutte le birre che si era scolato avrebbe dormito fino a ora di cena.
Hunter gli augurò di schiattare nel sonno e uscì.
Era sulla Main Street. Costeggiava il lato destro, quello più lontano dal Torton's Antiquary, e rifletteva su come impiegare il tempo. Aveva davanti a sé un pomeriggio intero. Poteva andare alla cava. Aveva sentito che gli sbirri avevano rinvenuto un cadavere, da quelle parti.
L'idea non era malaccio. Magari gli andava di culo e ne scovava uno anche lui. Sarebbe stata una gran figata se avesse visto un dito, o un'intera mano, spuntare dal terreno.
Era così immerso in quella fantasia macabra che non si accorse di Torton se non all'ultimo istante. Il vecchio l'aveva visto, era uscito dal negozio e aveva attraversato la strada.
Hunter se lo ritrovò davanti. Sollevò il mento e, quando lo riconobbe, restò interdetto. Torton aveva in mano un pezzo di legno, lungo e sottile e flessibile il giusto. Se lo batteva nel palmo mentre guardava Hunter. Il suono era quello di un applauso rallentato.
Prima che Hunter potesse fare alcunché, Torton lo afferrò per la maglia e lo trascinò all'interno dello spaccio dove Hunter comprava la birra per il suo vecchio. Chiuse la porta a vetri e ci si piazzò davanti a gambe divaricate.
«Adesso facciamo i conti», disse.
Sorrise. Indossava la dentiera. Sembrava un cannibale pronto a gettarsi su uno stufato di esploratore.
«Che diavolo succede?» chiese un vocione roco.
Hunter si voltò verso il bancone. Riconobbe Pete Johnson, il padrone della baracca.
«Questo teppista mi ha spaccato la vetrina», disse Torton, e indicò Hunter con il legno flessibile.
«Che cazzo hai fumato?» fece Hunter.
Torton si rivolse a Pete. «Guarda da te, se non mi credi.»
Pete lasciò la sua postazione e si avvicinò alla vetrata che affacciava su Main Street. Dall'altro lato della strada c'era il negozio di Torton. Una delle vetrine aveva un buco frastagliato che sembrava una bocca aperta con denti di vetro.
Pete si voltò e guardò Hunter come fosse un criminale della peggior specie. Poi i suoi occhi si spostarono su Torton.
«Vuoi chiamare gli sbirri?» chiese.
«Pensavo di risolverla tra noi», rispose Torton. «Un paio di cinghiate sul sedere, come si usava ai miei tempi, e siamo pari e patta.»
«Non l'ho nemmeno guardata storto, quella cazzo di vetrina», disse Hunter.
«Chiudi il becco», disse Pete. «Conosco il tuo vecchio, e se è vero che la merda non cade mai troppo lontana dal buco del culo, tu devi essere balordo almeno quanto lui.»
Disse a Torton, a voce bassa: «Ce n'è un altro, di balordo.» Indicò col pollice un tizio che rovistava in un frigorifero in fondo al locale. «Meglio aspettare che si levi dai coglioni.»
Il tizio prese una confezione da sei di birra e la portò alla cassa. Pete lo raggiunse, incassò i dollari e tornò da Torton.
Il tizio passò accanto ad Hunter e lo guardò di sfuggita dall'alto del suo metro e novanta. Aveva una barba folta e disordinata, i capelli che gli arrivavano alle scapole e un gilet di pelle con una toppa sul retro. I capelli coprivano lo scalpo di una gnocca con ampie ali d'angelo che teneva in mano un cranio umano, come Amleto. Un Amleto con le tette.
Il gigante guardò Torton, si chinò e disse: «Buh!»
Torton sobbalzò e fece un passo indietro. Il gigante rise, guardò Pete e Hunter, poi disse: «Cos'è, organizzate una festicciola tra amici?»
«Mi ha sfondato la vetrina del negozio», rispose Torton. «Stiamo aspettando gli sbirri.»
«Sono tutte stronzate», disse Hunter.
Il gigante lo guardò.
«Direbbe qualsiasi cosa pur di salvare le chiappe», si intromise Pete.
«Quella a che ti serve?» chiese il gigante, e indicò con un movimento della testa il legno flessibile che Torton teneva in mano.
«A niente», rispose Torton, e lo fece sparire dietro la schiena.
«Vuole farmi il culo a strisce», disse Hunter.
Il gigante li guardò uno per uno. Poi si sistemò la confezione di birra sotto l'ascella e uscì senza degnare i presenti di una parola né di un'occhiata supplementare.
Pete passò accanto a Torton, chiuse a chiave la porta e ruotò il cartello da APERTO a CHIUSO. Il legno flessibile riapparve come in un numero di magia nella destra di Torton. Il vecchio lo batté sul palmo aperto della sinistra. Ciaf. Ciaf. Ciaf.
«Veniamo a noi», disse. «Pete, tienilo fermo.»
Pete si avventò su Hunter e lo cinse da dietro con un abbraccio da orso. Hunter si ritrovò le braccia bloccate. Provò a scalciare gli stinchi di Pete come un cavallo imbizzarrito ma mancò il bersaglio. Pete sollevò un piede, colpì la giuntura dietro un ginocchio e Hunter si ritrovò nella posizione di un cavaliere dinanzi al re.
«Portiamolo sul retro», disse Torton.
Pete prese a trascinare via Hunter. Cercava di tenerlo, ma il ragazzo era una furia.
«E sta' un po' fermo», disse Pete, e gli rifilò un cazzotto nello stomaco.
Hunter sentì l'aria abbandonare i polmoni e le gambe diventare molli. Smise di dimenarsi come un'anguilla e Pete lo trascinò con facilità verso l'entrata del magazzino sul retro. Aprì la porta con un calcio e si infilò dentro. Torton lo seguì continuando a schiaffeggiarsi il palmo con quel suo legno. Sembrava un maestro d'altri tempi. Pete lo lasciò e Hunter si accasciò accanto a una cassa di legno.
«Calagli i calzoni», disse Torton.
«Che vuoi fare?» chiese Pete.
«Voglio insegnargli a stare al mondo.»
Pete si allungò e afferrò i calzoni di Hunter. Glieli sbottonò, e quando Hunter provò a reagire gli assestò un cazzotto alle reni.
«Sta' fermo. Farà meno male se collabori», fece Pete.
Hunter lasciò che gli calasse i calzoni fino alle caviglie.
«Adesso le mutande», disse Torton.
«Puoi farlo anche se gliele lasci su», osservò Pete.
«Niente affatto.»
Pete indugiò, ma alla fine fece come gli aveva detto Torton.
«Adesso mettilo lì sopra», disse Torton, e indicò la cassa di legno. «Chiappe all'aria.»
Pete afferrò Hunter per un braccio.
«Non fare cazzate», disse mentre lo aiutava a distendersi sulla cassa, le chiappe offerte a Torton. «Finirà tutto in pochi minuti.»
Torton si posizionò di fronte alle chiappe di Hunter.
«Vediamo se dopo avrai ancora voglia di fare il simpatico», disse Torton, ricordando lo scambio di battute risalenti a qualche ora prima.
Sollevò il legno flessibile e lo calò su una chiappa. Ci fu un sonoro ciaf! e Hunter vibrò da capo a piedi, ma non emise un fiato. Torton ne fu deluso. Sollevò il legno e lo calò con maggiore impeto sulla chiappa già colpita. Il risultato fu identico.
«Lo stronzetto ha le palle», disse Pete.
«Chiudi il becco», rispose Torton, stizzito.
Si arrotolò le maniche della camicia fino al gomito. Impugnò il legno, allargò le gambe e lo calò per la terza volta. L'impatto lasciò una striscia rossa su una chiappa ma non spillò un solo gemito ad Hunter.
«Il suo vecchio deve avergliene date tante che ormai neanche le sente più», disse Pete.
Torton grugnì e mollò un altro colpo. Prese il ritmo e continuò a menare Hunter finché, dopo l'ennesima frustata, il legno non si spezzò in due.
«Al diavolo», fece Torton, ansante, e lanciò via il legno.
Le chiappe di Hunter erano rosse come le guance di una puttana. Torton si slacciò la cintura, la sfilò dai passanti e la impugnò come una frusta.
«Ehi, non credi che ne abbia prese abbastanza?» chiese Pete, ora allarmato.
Torton aveva uno sguardo assatanato.
«Il suo vecchio gliene dà molte di più. Hai visto come gli ha ridotto la faccia?»
«Che ne sai che è stato lui?»
«Ho riconosciuto la mano», fece Torton.
Frustò il pavimento, fece ruotare il polso e lasciò andare il braccio. Il suono della cintura sulle chiappe di Hunter fu quasi osceno.
«Cristo, vacci piano. È solo un ragazzino», disse Pete, e si azzittì quando l'altro gli rifilò un'occhiata che avrebbe aperto un buco nel cemento.
«È un teppista. Hai visto come mi ha ridotto la vetrina?»
«Non l'ho toccata quella vetrina», disse Hunter, la voce incrinata.
Dunque aveva pianto, anche se in silenzio. Pete lo ammirò. E si vergognò per quello che gli stavano facendo.
«Louis», disse a Torton, «forse è il caso di piantarla.»
Fece un passo verso la cassa ma Torton gli si piazzò davanti. «Non abbiamo ancora finito.»
Aveva gli occhi di un pazzo, e la pressione sanguigna glieli spingeva in fuori. Pete si allontanò di qualche passo e Torton riprese la sua posizione da boia. Fece schioccare la cintura, nera come un'anguilla, e vibrò un'altra frustata. Hunter tremò quando il colpo lo raggiunse, e stavolta si lasciò sfuggire un gemito sommesso. Torton lo udì e sorrise come una iena.
Pete rabbrividì.
«Sembra che qualcuno voglia fare conversazione», disse Torton. «Lo dicevo, io, che aveva solo bisogno di un po' di incoraggiamento.»
Una nuova frustata. CIAF! Hunter strinse i pugni e versò un paio di lacrime che si infransero sul legno, scurendolo. Mugolò. Sentiva le chiappe in fiamme. Neanche il suo vecchio gli aveva mai dato una ripassata simile. Di solito si stancava presto o crollava perché troppo ubriaco. Torton invece sembrava intenzionato ad andare avanti ancora a lungo.
«Chiedi scusa», disse Torton.
«Non ho fatto niente», mormorò Hunter.
Torton lo frustò ancora. Hunter strinse i pugni e si lamentò.
«Chiedi scusa.»
«Per l'amor di Dio, ragazzo, fa' come dice», fece Pete.
«Non l'ho toccata... quella vetrina di merda», disse Hunter.
Pete lo vide stringere i denti, forse in previsione di una nuova frustata, e decise di averne abbastanza.
«Adesso basta», disse, e raggiunse Torton.
Gli afferrò il polso mentre il vecchio preparava un nuovo colpo.
«Che diavolo fai?» sbottò Torton.
«Gliene hai date abbastanza.»
«Togliti dai piedi. Non ho ancora finito.»
«Invece hai finito.»
Torton provò a spingerlo da parte ma Pete tenne botta.
«Mollami», disse Torton.
Aveva ancora quello sguardo da matto, e il labbro superiore era arricciato a scoprire i denti.
«Ragazzino», disse Pete, senza distogliere lo sguardo da Torton, «tirati su i calzoni e fila via.»
«Figlio di puttana», fece Torton, dimenandosi nel tentativo di liberarsi.
Hunter si mosse lento come un bradipo. Si alzò, tirò su mutande e calzoni e, camminando come un bacucco che l'è fatta sotto, passò accanto ai due uomini. Torton si infuriò e diede fondo a tutte le sue energie, ma Pete era più forte e riuscì a trattenerlo.
«Figlio di puttana!» urlò Torton. «Teppistafiglioditroia!»
Schiumava di rabbia. Seguì Hunter con gli occhi mentre questi passava oltre. Sembrava un cazzo di dipinto fantasma. Li avesse ruotati ancora, quegli occhi da matto, avrebbe potuto guardarsi il cervello.
Hunter uscì dal magazzino trascinando le suole sul pavimento e zoppicando ogni due passi. Ora capiva come si sentiva una vacca dopo la marchiatura. Le chiappe sfregavano contro le mutande e facevano scintille. Arrivò alla porta, tentò la maniglia, si accorse che era chiusa e sbloccò la serratura. Fece tutto con calma. Si sentiva svuotato.
Uscì in strada e si ritrovò davanti il tizio che era entrato a comprare la birra. Era a cavallo di una moto e beveva una birra. Vide Hunter, si asciugò la barba bagnata col dorso della mano e disse: «Ti hanno dato una bella ripassata.»
Hunter non rispose.
«Mica gli hai dato la soddisfazione di vederti piagnucolare?»
Hunter scosse la testa e il gigante annuì.
«Fatti un goccio», disse offrendo la birra ad Hunter. «Cura tutti i mali. Meglio di un cazzo di sciroppo.»
Hunter si avvicinò trascinando i piedi e prese la birra. L'avvicinò alle labbra e prese un sorso. Se lo rigirò in bocca un paio di secondi e lo buttò giù. Era amara come un intruglio da fattucchiera. Fece una smorfia.
«Ci devi fare la bocca», disse il gigante. «Poi ti sembrerà una cazzo di ambrosia. Vorrai che te la sparino in vena.»
Hunter non era convinto.
«Quegli stronzi ci sono andati giù pesante», fece il gigante.
Guardava la ferita sulla guancia di Hunter.
«Non me l'hanno fatta loro», disse Hunter. Si accorse di avere le labbra secche e fu costretto a mandare giù un altro sorso di birra.
«Ah no?»
«No. È stato il mio vecchio.»
«Porca puttana. Sei un sacco da boxe, tu.»
Hunter mandò giù un altro sorso.
«Comincia a solleticarti, eh?» fece il gigante con un ghigno.
«Non è male», ammise Hunter.
«Scommetto che il tuo vecchio ne va matto.»
«La berrebbe direttamente dall'uccello, se potesse.»
Il gigante ghignò.
«Questa è la sua preferita», fece Hunter, e sollevò appena la lattina. «Me le ha suonate perché gli ho comprato la Busch.»
«Te le avrei date anch'io se mi avessi portato quella merda», disse il gigante.
Ghignava ancora, come se scherzasse. Hunter bevve l'ultimo sorso di Budweiser e gettò la lattina in strada. La porta dello spaccio si aprì e Torton uscì come una furia, seguito da Pete che gli urlava dietro di fermarsi. Aveva ancora la cinta in mano. Guardò Hunter, poi il gigante in moto, e sembrò indeciso sul da farsi. Alla fine mise una mano sulla spalla di Hunter.
«Leva quella cazzo di mano se non vuoi ritrovartela su per il culo», disse il gigante.
Torton si congelò. Guardò il gigante, e dall'espressione che gli trovò in viso capì che non scherzava.
«Mi ha distrutto una vetrina», fece Torton, quasi a volersi giustificare.
«Non mi frega un cazzo. Gli hai già fatto il culo. Ora smamma.»
«Louis, vieni via», disse Pete, e prese Torton per un braccio.
Il vecchio se lo scrollò di dosso come un insetto fastidioso e iniziò a strattonare Hunter.
«E va bene», disse il gigante.
Smontò e raggiunse Torton. Pete provò a mettersi in mezzo.
«Lascia che gli parli io. Non c'è bisogno di...»
Il gigante gli posò una mano sul petto e lo spinse di lato. Pete volò via come una sagoma di cartone e andò col culo per terra. Poi fu la volta di Torton. Il gigante gli piazzò le mani sotto le ascelle e lo sollevò come fosse un bimbo. Lo sbatté contro il muro e, tenendolo sollevato senza apparente sforzo, disse: «Se ti rivedo anche solo a guardare storto...» Si voltò verso Hunter. «Com'è che ti chiami?»
«Hunter.»
«Io sono Bowie. Come il coltello, non come il cantante, anche se era un figo della madonna.»
Hunter si accorse del fodero agganciato alla cintura del gigante, dal quale spuntava un'impugnatura in corno. Bowie tornò a guardare Torton, che si era fatto pallido come un cadavere.
«Se ti rivedo a guardare storto Hunter, un vetro rotto sarà l'ultimo dei tuoi problemi. Comprende?» Torton annuì con vigore. «Voglio sentirtelo dire.»
«Ho capito», rispose Torton.
Il gigante lo mise giù. Guardò la cintura che il vecchio teneva in mano.
«Falla sparire. Più la guardo, più mi viene voglia di legartela attorno al collo e portarti a spasso come un cazzo di cane.»
Torton la fece scivolare tra i passanti dei calzoni. Ad Hunter non sfuggì il tremolio delle mani. Era un miracolo che non si fosse pisciato addosso per lo spavento. Il gigante osservò tutta la manovra, poi si rivolse a Pete.
«Prendi una confezione da sei di Budweiser e dalla al ragazzo», disse.
Pete si alzò e corse dentro. Tornò fuori con la birra e la consegnò ad Hunter.
«Mettila in fresco e fai sparire quella merda di Busch», disse il gigante al suo nuovo amico lillipuziano. Lanciò occhiate torve ai due uomini. «Levatevi dal cazzo o giuro che vi do fuoco.»
Pete si infrattò nello spaccio e chiuse la porta a chiave. Torton si allontanò su gambe di gelatina, attraversò la strada e traballò fino al negozio. Entrò e si chiuse la porta alle spalle.
«Grazie», disse Hunter.
Si voltò e prese a zoppicare con la birra sottobraccio. Era più lento di una tartaruga su una sedia a rotelle.
«Nanetto.» Hunter si voltò. «Di questo passo arrivi per il giorno del giudizio. Ti do uno strappo.»
Hunter tornò indietro. Il gigante attese con pazienza che lo raggiungesse.
«Pensi di riuscire a montare?»
Hunter fece un tentativo ma, quando sollevò la gamba, le chiappe urlarono.
«Mi sa di no», disse.
Bowie lo prese come aveva fatto con Torton e lo posò sul sedile della sua Harley. Hunter si contorse e fece una serie di smorfie quando le chiappe toccarono il sedile.
«Ti farà male per un pezzo», disse Bowie.
«Ci sono abituato», rispose Hunter.
«Il tuo vecchio mena forte, eh?»
«Come un fabbro monco.»
Bowie ghignò. «Piaceresti un sacco a Vince, tu», disse.
Montò in sella e mise in moto. La Harley ruggì e tossicchiò fumo.
«Mai stato su uno di questi gioielli?»
«No.»
«Allora ci sarà da divertirsi. Tieniti e attento alla birra. Te la farei mettere in borsa, ma c'è già la mia», disse Bowie.
Rimosse il cavalletto, raddrizzò il manubrio e fece inversione nel bel mezzo della Main Street. Passarono davanti al Torton's Antiquary. Torton li spiava dall'unico vetro intatto, quello della porta. Bowie sollevò il medio. Hunter ci pensò su e lo imitò.
«Va' a farti fottere, pezzo di merda!» urlò Bowie.
«Figlio di puttana!» sbraitò Hunter.
Schizzarono via, la Harley che vibrava come un'amante eccitata. Hunter sentì il motore sotto le chiappe che ruggiva ed ebbe la sensazione di cavalcare un grosso felino incazzato. La schiena del gigante era larga come la Muraglia Cinese e lo proteggeva dal vento. Quando Bowie accelerò, i lunghi capelli fluttuarono scoprendo lo scalpo dell'Amleto con le tette. Lo sguardo lascivo della donna e le tette strizzate in un corpetto che lasciava poco all'immaginazione fecero ad Hunter un certo effetto.
«Dove ti scarico?» chiese Bowie girandosi appena.
«Hoover Street», urlò Hunter cercando di farsi udire oltre i ruggiti del motore.
Bowie percorse ancora qualche metro e svoltò. La Harley si chinò appena di lato e Hunter si aggrappò al gilet. Il gigante se ne accorse e ghignò. Raddrizzò la Harley e disse: «Sbaglio o ti si è stretto il buco del culo?»
«Va' a farti fottere», disse Hunter.
Bowie rise come un orco. Guardò nello specchietto destro e vide che Hunter si era accigliato. La cosa lo fece ridere più forte. Percorsero tutta Hoover Street fino al punto in cui incrociava con Washington Street e Hunter batté la mano sulla schiena di Bowie. Il gigante buttò un occhio allo specchietto laterale.
«È quella», disse Hunter, e puntò il dito.
Bowie seguì la direzione e vide la bicocca cadente. Rallentò, spense il motore e mise i piedi in terra per fermare la Harley.
«Ѐ qui che vivi?» chiese Bowie. Tirò in fuori il cavalletto con la punta dell'anfibio. «Cristo, che cesso di posto. Senza offesa.»
«A Natale è meglio. Lo riempiamo di luci, mettiamo un Babbo Natale in veranda e Rudolph sul prato.»
«Mi prendi per il culo?»
«Sì», disse Hunter.
Bowie ghignò. «Che sagoma.»
Smontò e aiutò Hunter a fare altrettanto.
«Come vanno le chiappe?»
«Mi sembra di avere un panino alla piastra al posto del culo.»
«Mettici del ghiaccio. Io facevo così quando il mio vecchio mi suonava come una pentolaccia.» Hunter lo fissò, incredulo. Bowie sorrise. «Non sono sempre stato una montagna di muscoli. Alla tua età ero magro come uno spillo. Il mio vecchio, quel figlio di puttana – spero stia cacando carboni all'inferno –, stava via tutto il giorno e quando tornava era più bevuto di una spugna. Potevi sentire l'odore di distilleria da un miglio. Metteva piede in casa e puntava mia madre come un toro che vede il rosso. Allora io mi mettevo di mezzo, lo provocavo, così si scordava di lei e se la prendeva con me. Me ne ha date tante che mi bastano per questa vita e per la prossima. Ho certe cicatrici sul culo che un domatore di leoni se le sogna.
«Un giorno mi prende per il collo e mi ficca la testa nella tazza del cesso. Sul fondo c'è uno stronzo grosso come una pannocchia. Doveva averlo appena mollato. Mi tiene giù la faccia, a un centimetro da quella pannocchia marrone, e mi fa: 'Vedi quella merda? Sei inutile come lei. Un giorno ti farò a pezzi e ti scaricherò nel cesso, perché è quella la fine che meriti, inutile figlio di puttana'. Tira lo sciacquone e io mi becco un bello shampoo con tanto di balsamo alla merda. Poi mi molla e si leva dai coglioni. Io resto lì un'eternità, seduto accanto alla tazza del cesso, l'odore di merda nel naso e la testa bagnata.»
Bowie tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di Marlboro e un accendino. Aprì il pacchetto, prese una sigaretta per sé e ne offrì una ad Hunter, che la sfilò con due dita. Osservò Bowie che si accendeva la propria e tirava un paio di boccate. Il gigante gli lanciò l'accendino. Hunter l'afferrò al volo, accese la sigaretta e tirò una profonda boccata. Tossì come un malato di colera. Bowie ghignò.
«Oggi è giornata di prime volte. Più tardi ti porto a fare una scopata, così sei a posto.»
Esaurita la tosse, Hunter tenne la sigaretta tra indice e medio a forbice e ascoltò il resto della storia.
«Sono lì seduto che non penso a un cazzo, mi segui?» fece Bowie. «Ho staccato il cervello e sono talmente andato che se anche mi ficcassero una marmotta nel culo non scoreggerei per cacarla fuori, ed ecco che mi scatta qualcosa. Mi alzo e vado in cucina, dove mio padre sta ricordando a mia madre che inutile troia lei sia, prendo un coltello da un cassetto e glielo ficco in gola. Il mio vecchio spalanca gli occhi per la sorpresa mentre il sangue schizza come l'acqua di una fontanella attappata dalla ferita che gli ho aperto qui.»
Bowie si toccò il collo all'altezza della giugulare.
«Lui afferra il manico e inizia a tirare. E più tira, più sangue zampilla. Se l'avesse tenuto dentro fino all'arrivo dell'ambulanza, forse a quest'ora sarebbe ancora vivo. Conciato male, ma vivo. Invece il coglione tira fuori la lama, il sangue schizza come acqua dal buco in una diga e arriva fino al lavandino. Un paio di schizzi raggiungono persino il lampadario. Mia madre, che fino a quel momento è rimasta zitta, inizia a urlare come una papera dal culo in fiamme. Corre al telefono e chiama l'ambulanza. Il mio vecchio si alza, impugna il coltello e prova a ficcarmelo in un occhio, ma è lento come mia nonna in carriola e ho tutto il tempo per evitarlo e fargli uno sgambetto. Il coltello gli scivola di mano e io lo mando sotto il tavolo con un calcio. Mia madre intanto sta urlando al telefono. Sul pavimento, sotto la faccia di quel figlio di puttana, si va allargando una pozzanghera rossa. Il mio vecchio apre e chiude la bocca e trema. Poi smette di tremare e la bocca resta aperta come quella di un pesce a corto d'aria. A quel punto dico a mia madre di piantarla di starnazzare, e che se ha una bottiglia di champagne quello è il momento di tirarla fuori, perché quello stronzo è crepato. Finalmente.»
Bowie fece un tiro e buttò fuori. Il fumo gli uscì dalle narici come a un drago. Restarono in silenzio per un po'. Hunter lasciò che la sigaretta gli si consumasse tra le dita a forbice. Una volta finito, buttarono le cicche sul prato spelacchiato.
«Devo squagliarmi», disse Bowie. «Se il tuo vecchio ti rompe le palle, fammi un fischio. Ci penso io a fargli cambiare umore. Mi trovi al Little Bitch, su Bowden Street.»
Mise in moto, rimosse il cavalletto e fece manovra.
Hunter lo guardò filare via.
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